Che è successo ai liberali?

Pubblicato il 20 Gennaio 2011 alle 14:41

Tra il settembre 2009 e il maggio 2010 un'"onda gialla" ha attraversato l'Europa. Le ultime elezioni in Germania e Gran Bretagna hanno visto il trionfo dei partiti liberali, l'Fdp e i LibDem, che hanno fatto il loro storico ingresso al governo come partner di coalizione dei conservatori. I loro leader, Guido Westerwelle e Nick Clegg, erano i ragazzi copertina del momento, giovani, freschi e non compromessi con una classe politica screditata dalla crisi. C'era addirittura chi parlava di fine del sistema bipolare, ma in ogni caso pareva chiaro a tutti che i liberali si sarebbero attestati stabilmente come ago della bilancia tra destra e sinistra.

Quei tempi sembrano ormai lontanissimi. Fdp e LibDem hanno entrambi subito drammatici cali di popolarità. I primi sono ormai al di sotto della soglia del 5 per cento necessaria a entrare in parlamento. Westerwelle è il politico con il rating più basso del paese: secondo quanto rivelato da WikiLeaks un diplomatico statunitense lo ha definito un perfetto incapace, e molti tedeschi sembrano essere d'accordo. I secondi hanno appena perso un'elezione considerata un test importante e sono al 7 per cento nelle proiezioni, il minimo dal 1990.

Che cosa è successo? A parte le gaffes dei loro leader, che sul palcoscenico politico si sono rivelati molto meno disinvolti che sulle poltrone dei dibattiti preelettorali, il motivo delle loro difficoltà attuali è lo stesso dei loro passati successi. Il posizionamento politico-ideologico flessibile ha permesso ai liberali di muoversi agilmente tra le linee, sfruttando le pesantezze dei partiti tradizionali in un contesto di incertezza e disorientamento generale, ma si sta rivelando uno svantaggio nella guerra di trincea della politica quotidiana.

Entrambi i partiti sono in crisi d'identità: l'Fdp non è riuscito a imporre una svolta liberale alla Cdu, che non ha abbandonato i retaggi "socialdemocratici" della Grande coalizione con la Sdp. La leadership di Westerwelle è sotto attacco e se il partito dovesse confermare il suo disastroso trend alla prossima serie di elezioni locali, il congresso che si terrà a maggio potrebbe essere l'ultimo a svolgersi sotto la sua presidenza. Tra i LibDem si parla addirittura di scissione: l'ala sinistra del partito non gradisce l'acquiescenza di Clegg alle posizioni "reazionarie" di David Cameron, e guarda con sempre più interesse agli ammiccamenti del Labour, che con Ed Miliband come segretario è un partner ben più appetibile che ai tempi di Blair.

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Come spiega Martin Kettle sul Guardian, "le coalizioni sono sempre difficili per i partiti minori, che ottengono meno credito quando le cose vanno bene e si prendono tutta la colpa quando vanno male". Inoltre sia destra che sinistra gradirebbero il ritorno al bipolarismo tradizionale e la scomparsa dei concorrenti "asimmetrici". Ma secondo Kettle, "se nel breve periodo la tendenza è questa, a lungo termine la politica moderna sarà sempre più caratterizzata dalla volatilità e dal pluralismo. Che ci piaccia o no, i piccoli partiti sono destinati a durare".

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