Il nome Gubad Ibadoghlu potrebbe suonare nuovo, ma è un simbolo della repressione degli attivisti climatici da parte del governo azero.
Ibadoghlu, senior visiting fellow della London School of Economics, è stato brutalmente picchiato dalla polizia e arrestato nel 2023, dopo aver criticato le politiche petrolifere e del gas del paese. Durante la detenzione gli è stata negata l’assistenza medica necessaria, è stato poi trasferito agli arresti domiciliari e rischia fino a 17 anni di carcere.
Markéta Gregorová, deputata ceca del gruppo dei Verdi al parlamento europeo, ha nominato Ibadoghlu per il premio Sacharov per la libertà di pensiero, conferito per la prima volta nel 1988 nientemeno che a Nelson Mandela. “È di vitale importanza che riconosciamo e sosteniamo la lotta dell’opposizione azera in vista della conferenza COP29 a Baku”, ha dichiarato agli altri parlamentari, i quali alla fine hanno votato una proposta per mettere fine alla dipendenza dell’Ue dal gas dell’Azerbaigian.
Gli europarlamentari sono stati solo l’ultima voce, tra le tante, che condannano l’annosa repressione interna ed esterna del regime nei confronti di attivisti, giornalisti, leader dell’opposizione e altri, compresi i cittadini dell’Ue. Una repressione che si è intensificata notevolmente in vista del vertice sul clima delle Nazioni Unite, che si tiene dall’11 al 22 novembre.
C’è anche altro sul conto dell’Azerbaigian: l’offensiva militare su larga scala contro la regione armena del Nagorno-Karabakh nel 2023. Tuttavia, la presidenza sta cercando di presentare il vertice come una “COP della pace”.
Anche un documento pubblicato dal think tank britannico Chatham House contesta le prospettive dell’Azerbaigian di arrivare a un importante risultato in questa COP. “La dipendenza dell’economia del paese dai combustibili fossili e la sua inesperienza nell’agire per l’ambiente suggeriscono che avrà difficoltà a sostenere una leadership credibile” e “una cultura politica autoritaria che resiste a un esame critico va anche contro ai principi di trasparenza e inclusione che sono alla base del sistema delle Nazioni Unite”, scrivono i ricercatori Ruth Townend, Laurence Broers, Arzu Geybulla, Glada Lahn, Jody La Porte, James Nixey e Ľubica Polláková.
Per quanto ospitare i vertici dell’Onu in tutto il mondo sia cruciale per un maggiore coinvolgimento dei paesi in via di sviluppo nei negoziati, la stampa europea è attenta al collegamento tra i diritti umani e il clima.
Bernard Kouchner, ex ministro francese degli affari esteri ed europei, commenta così i recenti avvenimenti in un articolo per Le Monde: “Non si può separare la lotta contro il cambiamento climatico dal rispetto dei diritti umani”. La comunità internazionale deve “affrontare le proprie contraddizioni”, scrive Kouchner. “Mentre la Francia è ora più che mai immersa nell’incertezza politica, non dobbiamo dimenticarci delle scadenze internazionali più importanti in un momento in cui l’ecologia dovrebbe essere la priorità dei nostri governi”.
“Come si può giustificare lo svolgimento di un evento così cruciale in un paese che si discosta dal diritto internazionale, dipende enormemente dagli idrocarburi e viola i diritti umani trattenendo 23 ostaggi armeni senza un motivo valido a morire nelle sue prigioni?”, scrive Kouchner: “A un anno dalla pulizia etnica di 120mila armeni nel Nagorno-Karabakh è già stato dato all’Azerbaigian il diritto di ospitare un evento prestigioso come la COP29. Questa scelta solleva interrogativi sia a livello umanitario che ecologico. La Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfccc) sembra agire come se gli eventi degli scorsi mesi non siano avvenuti, dando carta bianca all’Azerbaigian per continuare a violare il diritto internazionale”.
Lo scorso giugno, Thomas Latschan ha riportato su DW la preoccupante situazione nel paese.
“L’Azerbaigian è anche uno dei paesi più corrotti al mondo”, nota. “La corruzione è stata usata deliberatamente anche fuori dal paese, nel Consiglio d’Europa […]. Si è scoperto che Baku invitava ogni anno 40 membri del Consiglio d’Europa e li inondava di regali costosi”.
Latschan nota inoltre che “se questo non è ancora stato criticato più duramente dall’Unione europea è, secondo i testimoni, anche dato dal fatto che l’Azerbaigian sia percepito sempre di più come un importante fornitore di petrolio e gas. Dall’inizio della guerra di aggressione della Russia all’Ucraina, l’Ue ha voluto diventare più indipendente dal petrolio e gas russo. Nel 2022, la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha quindi firmato una lettera di intenti con Ilham Aliyev, secondo la quale Bruxelles si impegnava a raddoppiare le importazioni di gas dall’Azerbaigian negli anni a venire”.
Anche Emmanuel Clévenot e Justine Guitton-Boussion denunciano su Reporterre “la dittatura che ospita la COP29 e reprime gli ambientalisti”. I giornalisti hanno intervistato Myrto Tilianaki, dell’ong Human Rights Watch, che ha spiegato: “Fondare un’associazione che è indipendente dallo stato è quasi impossibile. E se le autorità si rendono conto che un attivista ha comunque ricevuto soldi dall’estero… viene accusato di contrabbando”. Una strategia consolidata che mira a dissuadere chiunque dall’avventurarsi nella creazione di un contropotere.
Ma c’è di più, afferma Damian Carrington editor sulle questioni ambientali per The Guardian: un’inchiesta di Global Witness ha rivelato che “molti profili finti sui social media stanno promuovendo la Cop29 in Azerbaigian. I profili sono stati creati perlopiù dopo luglio”, afferma, “quando sette dei primi dieci post con più reazioni che usavano gli hashtag #COP29 e #COP29Azerbaijan erano critici nei confronti del ruolo dell’Azerbaigian nel conflitto con l’Armenia, usando hashtag come #stopgreenwashgenocide. Da settembre la situazione è cambiata: tutti i dieci post con più reazioni venivano dal profilo ufficiale della COP29 Azerbaigian”.
Quindi cosa si può fare realisticamente? “L’Ue può salvare uno dei prigionieri politici dell’Azerbaigian”, secondo Zhala Bayramova, avvocata per i diritti umani e figlia di Ibadoghlu, che ha chiesto ai parlamentari di consegnare a suo padre il premio Sacharov, consentendogli così di lasciare il paese. Bayramova ha espresso le sue preoccupazioni su EUobserver: “Se un professore della London School of Economics può essere rapito per strada in pieno giorno, allora chi è al sicuro?”
In collaborazione con Display Europe, cofinanziato dall'Unione europea. I punti di vista e le opinioni espressi sono esclusivamente quelli dell'autore o degli autori e non riflettono necessariamente quelli dell'Ue o della Direzione Generale per le Reti di Comunicazione, i Contenuti e la Tecnologia. Né l'Unione europea né l'autorità che ha concesso il finanziamento possono essere ritenute responsabili.

Questo articolo ti interessa?
È accessibile gratuitamente grazie al sostegno della nostra comunità di lettori e lettrici. Pubblicare e tradurre i nostri articoli costa. Per continuare a pubblicare notizie in modo indipendente abbiamo bisogno del tuo sostegno.
Perché gli eco-investitori si ritrovano a finanziare le “Big Oil”? A quali stratagemmi ricorre la finanza per raggiungere questo obiettivo? Come possono proteggersi i cittadini? Quale ruolo può svolgere la stampa? Ne abbiamo discusso con i nostri esperti Stefano Valentino e Giorgio Michalopoulos, che per Voxeurop analizzano i retroscena della finanza verde.
Vedi l'evento >
Partecipa alla discussione
Divento membro per tradurre i commenti e partecipare