Da che parte andrà l’Eurozona?

Paralisi politica, stretta monetaria da parte della Bce e tassi d'interesse alle stelle per i titoli di Grecia, Irlanda e Portogallo: alla vigilia del cruciale vertice di Bruxelles le premesse sono tutt'altro che rassicuranti.

Pubblicato il 10 Marzo 2011 alle 16:26

Ieri il Portogallo ha fatto un altro passo verso l’orlo del baratro: dovendo pagare circa il 6 per cento sull’indebitamento biennale. La resa dei bond decennali è salita al 7,8 per cento dopo che l’agenzia cinese di rating Dagong ha declassato il debito del paese, portandolo a BBB+.

"Tassi di interesse di questo livello non sono sostenibili", ha affermato Carlos Costa Pina, segretario del Tesoro portoghese, imputando la responsabilità dell'ultimo declassamento alla mancanza di una strategia debitoria coerente da parte dell’Ue, più che a eventuali mancanze da parte del Portogallo.

Costa Pina ha respinto le esortazioni degli economisti portoghesi ad accettare il bailout di Ue e Fmi piuttosto che prolungare l’agonia. "Non ci sono giustificazioni. Il Portogallo non ha bisogno di aiuti dall’estero, ma che l’Ue vari misure urgenti per ripristinare la fiducia dei mercati".

David Owen di Jefferies Fixed Income ha detto che la decisione della Bce di preannunciare gli aumenti dei tassi ha irrigidito il credito e ha messo in crisi il paese. "Con il suo operato la Bce ha reso inevitabile il bailout del Portogallo. Come fece la Bundesbank durante la crisi del 1992".

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Secondo Owen la Bce sta giocando alla politica del rischio calcolato con i leader dell’Ue, esercitando pressioni affinché trovino una soluzione alla crisi in occasione dei summit previsti questo mese. Ma è un gioco rischioso. "La Spagna non è ancora al sicuro. Tra quello delle famiglie e quello delle aziende, il suo indebitamento complessivo si aggira sui 2.500 milioni di euro. Una cifra spaventosamente alta".

Non ci sono ancora segnali che Germania, Paesi Bassi e Finlandia acconsentiranno a prolungare i tempi previsti per riscuotere i crediti del Fondo europeo di stabilità finanziaria, permettendo di acquistare i bond degli stati debitori o di erogare prestiti a questi paesi in modo che possano ricomprare il loro stesso debito con un’operazione di “ristrutturazione-soft”.

In Germania pare invece che gli umori si stanno irrigidendo. I Länder regionali hanno iniziato a chiedere un parere per ogni accordo sul Fesf. Il ministro della giustizia dell'Assia, Jörg-Uwe Hahn, “respinge categoricamente” tutte le manovre orientate a un “Transferunion” dell’Ue, un debt pool o una fusione fiscale.

I tre blocchi della coalizione al Bundestag hanno diffuso un documento in cui impongono al governo di resistere a qualsiasi tipo di concessione per un’unione del debito. Angela Merkel ha poco spazio di manovra, perché l'attesa sentenza della Corte costituzionale tedesca in merito alla legalità dell’intera manovra di salvataggio approntata dall’Ue incombe come una spada di Damocle.

"L’Ue farà troppo poco e troppo tardi: a imporre la soluzione saranno i mercati", ha detto Louis Gargour di Lng Capital al forum sui bond di Euromoney, per poi aggiungere che la Grecia si trova già in una spirale debitoria inarrestabile per cui spende il 14,3 per cento delle sue entrate fiscali in interessi. Gargour prevede una “sforbiciata” del 50 per cento del debito, forse in conformità con le direttive del Piano Brady che fece seguito alla crisi debitoria dell’America Latina.

La Grecia precipita

La crisi greca sta andando di male in peggio. Il rendimento a dieci anni si è fermato al 12,78 per cento e il tasso di disoccupazione a dicembre si è impennato al 14,8 per cento, giusto per ricordare che l’impatto sociale dell’austerity deve ancora farsi sentire.

La Grecia sta subendo la più forte contrattura fiscale mai sperimentata da un’economia moderna occidentale, e malgrado ciò l’indebitamento pubblico entro il 2013 supererà il 150 per cento del pil, anche se si adeguerà alle clausole volute da Ue e Fmi. "Dovremmo dichiarare bancarotta e tornare alla dracma, facendola pagare agli speculatori stranieri che ci hanno ridotto così", si legge su Avriani, giornale vicino al governo socialista.

In Irlanda si percepiva una rabbia simile quando il socialista Joe Higgins ha denunciato il “letale coctkail di misure di austerity approntato dagli stregoni di Bruxelles e Francoforte”. Il premier Enda Kenny ha detto che l’Irlanda “vive il suo momento più nero prima dell’alba”. Finora aveva minimizzato le voci di uno scontro aperto con la Germania sulle clausole del bailout, ma se l’Ue rifiutasse di cedere, i politici irlandesi potrebbero costringerlo a dichiarare il default delle banche più importanti.

George Magnus di Ubs ha detto che i leader dell’Ue vivono in “un universo parallelo” e sono incapaci di vedere che la crisi debitoria dell’Ue non può essere risolta senza risalire alle sue cause originarie e ricapitalizzare le banche.

Senza una cancellazione del debito l'unione monetaria europea rimarrà invischiata in una profonda recessione, ma l’Ue non potrà procedere in questo senso fino a quando i prestatori non saranno abbastanza forti da assorbire le perdite. "Spetta alle banche stabilire l’ordine con cui procedere, altrimenti ci sarebbe un altro caso Lehman. L’Ue e il Fmi contraddicono tutto ciò che abbiamo imparato col tempo. Le banche americane in sei settimane hanno ottenuto 200 miliardi di dollari in equity, e ciò si è rivelato un punto di svolta. Se l’Ue facesse la stessa cosa, la crisi si dissolverebbe".

Olli Rehn, commissario Ue per l’economia, ha promesso un cambiamento politico per ridurre l’onere sugli stati indebitati, compreso il taglio dei tassi d'interesse imposti all’Irlanda. In ogni caso, l'ultima parola spetterà ai leader dell’Ue, che dovranno risponderne ai loro elettori arrabbiati. La zona euro resta un insieme di stati sovrani. Questo è il nocciolo dell’intera faccenda. (traduzione di Anna Bissanti)

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