Di nuovo appesi a un referendum

Il 28 febbraio il governo irlandese ha annunciato la consultazione popolare sul trattato fiscale. Malgrado il clima di grave recessione, elevata disoccupazione e crescente risentimento verso Bruxelles, per la stampa irlandese non c'è alternativa al sì.

Pubblicato il 29 Febbraio 2012 alle 16:48

L’Irlanda sta per diventare il primo e per ora unico paese della zona euro a dare un verdetto democratico sul trattato fiscale europeo. Approvato nel gennaio scorso su pressione della Germania, il trattato prevede l'introduzione della regola del pareggio di bilancio nelle legislazioni nazionali e concede alla Corte di giustizia europea il diritto di imporre sanzioni agli stati che violassero tale intesa, e sarà firmato a Bruxelles dai rappresentanti di 25 stati dell’Ue venerdì 2 marzo (il Regno Unito e la Repubblica Ceca si asterranno). In seguito al parere del procuratore generale irlandese, secondo il quale occorre un referendum sulle dieci pagine del testo, il primo ministro Enda Kenny ha annunciato al parlamento che “sarà chiesta al popolo irlandese l’autorizzazione a procedere”.

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Sono profondamente convinto che sia nell’interesse nazionale dell’Irlanda approvare questo trattato, perché così potrà proseguire quel progresso ininterrotto iniziato l’anno scorso.

Ricordando che l’Irlanda ha bocciato il trattato di Nizza nel 2001 e quello di Lisbona nel 2008, l’ Irish Times sostiene che nei referendum “la popolazione è abituata a rispondere no alla domanda che si trova davanti”, ma in ogni caso loda il premier per la sua “entusiastica convinzione che il popolo farà la cosa giusta”. Secondo il quotidiano filoeuropeo

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un rifiuto delineerebbe uno scenario spaventoso per questo paese. Dato che il trattato non prevede che tutti gli stati partecipanti lo ratifichino prima di diventare operativo, un ‘no’ dell’Irlanda lascerebbe il paese indietro rispetto alla  zona euro, che andrebbe avanti con una maggiore integrazione. L’Irlanda resterebbe un membro formale dell’Ue, ma si collocherebbe fuori dal nucleo centrale che di fatto è già diventato l’avanguardia dell’Ue. Cosa ancor più importante, il ‘no’ priverebbe il nostro paese dell'accessi ai meccanismi di salvataggio e finanziamento, uno scudo di vitale importanza per la nostra posizione sui mercati e la nostra ripresa. 

Per l’Irish Examiner tutti devono capire "le conseguenze del proprio per noi e per i nostri figli":

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Chi si oppone al referendum, invece di limitarsi a dire ‘no’ perché legittimamente arrabbiato a causa delle molte, spiacevoli e ingiuste conseguenze della perdita dell’indipendenza economica, deve offrire un’alternativa praticabile per finanziare il nostro stato in bancarotta. Il referendum comporta di scegliere tra due assoluti: saremo dentro o fuori. È difficile immaginare che i nostri colleghi europei – assediati su più fronti – vogliano sollevare obiezioni e predisporre soluzioni speciali per un unico piccolo stato così fortemente dipendente dai finanziamenti dell’Ue, a prescindere dalle misure draconiane che quei prestiti comportano.

Prevedendo che il governo sosterrà che un ‘no’ porterà ‘conseguenze terribili’, l’Irish Independent osserva che

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è una magra consolazione che la faccenda sia più semplice da comprendere rispetto alle implicazioni dei trattati di Maastrich e di Lisbona. In modo disonesto, i governi di allora affermarono che quei trattati non avevano grande importanza. La sensazione che qualcuno avesse gettato fumo negli occhi degli elettori deve aver contribuito alla loro sconfitta. Per comprendere il trattato fiscale basta poco. E ci si può fare una chiara idea di quello che potrebbe accadere se fosse respinto. […] L’ultimo grande paradosso è che in esso non c'è molto che non sia stato introdotto nella legge irlandese dopo l'aggiustamento delle regole dell'eurozona del 2011, a parte le modifiche costituzionali.

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