È ora di buttarsi

Il 22 gennaio i croati votano il referendum sull'adesione all'Unione europea. Di fronte alla crisi dell'euro dubbi e retaggi nazionalistici tornano a farsi sentire.

Pubblicato il 20 Gennaio 2012 alle 16:24

Dopo la firma del trattato di adesione della Croazia all'Ue [il 9 dicembre 2011], il messaggio di benvenuto più bello, commovente e originale non è arrivato né da Zagabria né da Bruxelles, ma dalla Polonia. Su YouTube molti polacchi, per lo più giovani, hanno dato il benvenuto alla Croazia senza ipocrisie né falsi sentimentalismi, in un'atmosfera di gioia spontanea [in caso di sì al referendum del 22 gennaio, la Croazia entrerà nell'Ue il primo luglio 2013]. In questo modo i polacchi hanno dimostrato che l'Europa attuale, scossa da crisi, dubbi e divisioni, può e deve essere l'Europa dei valori comuni, della gioia e della speranza. Bruxelles ha teso la mano alla Croazia, ma la Polonia ha rinfrancato lo spirito dei croati.

Anche i polacchi sono entrati nell'Europa pieni di timori, in particolare sulla perdita della loro sovranità e sulla scomparsa del mondo rurale. Come in Croazia, la chiesa cattolica polacca si è battuta in favore dell'Europa, nel timore più o meno evidente che i grandi paesi vicini cominciassero a rivedere il passato e il futuro del paese. Ma smentendo questi timori, la Polonia ha mostrato che si può trarre profitto dall'adesione all'Ue in un momento in cui la maggior parte dei paesi grandi, potenti e ricchi attraversano una crisi profonda. La Polonia è rimasta Polonia ed è diventata Europa. Non è stato necessario creare una nuova Euroslavia nei Balcani per permettere alla Croazia di entrare nell'Ue.

La storia dei negoziati di adesione, lunghi e difficili, è stata contrassegnata da pregiudizi, timori e ignoranza, e si è fatto ricorso tanto al catastrofismo, alla xenofobia e al nazionalismo quanto al fattore cosmopolita e sovranazionale. Così il presidente Tudjman, che era favorevole all'Europa, in un eccesso di orgoglio ha rifiutato di entrare a far parte del Gruppo di Visegrad (composto da Polonia, Ungheria, Slovacchia e Repubblica ceca), ritenendo che la Croazia non aveva bisogno di allearsi con gli ex satelliti della Russia. Altri invece, sull'esempio dell'ex primo ministro Sanader, si sono dimostrati disposti ad accettare qualunque cosa pur di accelerare l'adesione. Un atteggiamento che ha dato vita a false illusioni, come quella di entrare nell'Ue insieme alla Bulgaria e alla Romania.

L'Europa non tollera più mezze adesioni, ma “non ha criticato tutto ciò che era croato”, come qualcuno voleva far credere. Si è data da fare per pacificare la polveriera balcanica, ma non ha esitato a riconoscere i risultati ottenuti da ogni paese sulla strada del rispetto delle condizioni imposte. E così, dopo la Slovenia, adesso è la Croazia ad approdare nel porto europeo senza aspettare i suoi vicini.

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L'Europa attuale non è il paese della cuccagna. Nella situazione attuale anche i paesi più grandi come la Germania e la Francia hanno accettato di privarsi di parte della loro sovranità. In questa Europa nessuno si batte per la creazione di una nuova Jugoslavia o per il ritorno del comunismo. In questa Europa il croato è riconosciuto come lingua ufficiale, e Zagabria ha il diritto di chiedere la protezione di tutto quello che riguarda il suo patrimonio, la sua tradizione e le sue particolarità.

Dopo la firma del trattato di adesione, molti miti nazionalisti sono venuti meno e i pregiudizi regionali si sono rivelati effimeri. La campagna per il referendum si è svolta senza particolari eccessi, ma la giovane élite intellettuale – liberata dai miti di Tudjman – ha dato risposte pericolose a un certo numero di questioni che aveva sollevato.

Nelle sue generalizzazioni semplicistiche questa élite afferma che l'Europa ha da tempo tradito i suoi principi, si è balcanizzata molto tempo prima che i Balcani diventassero europei, così come la Croazia si è balcanizzata prima di diventare europea. Secondo questa corrente di pensiero, non si ha bisogno di questa Europa in piena crisi economica e di valori, che è solo l'ombra di se stessa. In altre parole, si vuole un'Europa perfetta per una Croazia che è ben lontana dall'esserlo.

Questi nuovi croati “irreprensibili” si mostrano più arroganti dei francesi, più testardi degli inglesi e più irresponsabili dei greci. Non si scuseranno mai per le loro profezie sbagliate, ma sono pronti a condannare la Croazia a un futuro senza speranza considerandosi più europei dell'Europa. In passato ci si vantava di essere “il più antico popolo europeo”, oggi si è orgogliosi di essere “il popolo più esigente”.

Sondaggi

Verso la vittoria del sì

Secondo un recente sondaggio, realizzato su un campione di mille persone, il "sì" all'adesione della Croaza all'Ue dovrebbe prevalere con il 60 per cento dei voti. Kukuriku (la coalizione di centrosinistra al potere da novembre) e Hdz (partito conservatore, al governo durante i negoziati e oggi all'opposizione) si sono uniti per sostenere il fronte del "sì". Al loro fianco si è schierata anche la Chiesa cattolica.

I sostenitori del no, che ammonterebbero al 31 per cento degli elettori, si rivolgono soprattutto alla destra nazionalista e alla sinistra anticapitalista. Il sì prevale largamente tra i diplomati che guadagnano più di 500 euro al mese e vivono nella capitale Zagabria e nella provincia dell'Istria. Secondo i sondaggi l'affluenza dovrebbe attestarsi attorno al 60 per cento.

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