Attualità Profughi ucraini in Polonia

Emergenza migranti in Polonia: la crisi con la Bielorussia ha permesso di reagire a quella ucraina

Nel 2021 migliaia di persone provenienti dal Medio Oriente e dal Nord Africa hanno attraversato il confine bielorusso per raggiungere i paesi dell’Unione, a cominciare dalla Polonia. I volontari polacchi raccontano come quella situazione li ha preparati alla successiva ondata di profughi, quella proveniente dall’Ucraina l’anno successivo, e accolta in modo molto diverso.

Pubblicato il 29 Febbraio 2024 alle 09:02

Quando Karol Wilczyński, coordinatore di comunità di Cracovia e volontario per l’ong umanitaria Grupa Granica, ha saputo dello scoppio della guerra in Ucraina, sapeva già a chi rivolgersi. Circa un anno prima aveva trascorso alcune settimane nella regione polacca della Białowieża per soccorrere i rifugiati, aiutato da alcuni dei più noti attivisti del paese, tra cui Maja Ostaszewska, Marek Kalita, Mateusz Janicki e Aleksandra Popławska, con i quali ha lavorato per aiutare le persone detenute ed evitare che fossero respinte in Bielorussia: un’esperienza straziante e sconvolgente, che ha creato tra loro un legame molto forte.

Nel gennaio 2022 Wilczyński e altri volontari hanno ritenuto che la maggior parte del lavoro fosse stata fatta: dopo una serie di negoziati diplomatici, il numero di persone in arrivo attraverso la Bielorussia è diminuito e i punti di assistenza umanitaria al confine tra i due paesi sono scesi a tre. Così, Wilczyński è tornato nel sud della Polonia, dove si dedica alla sua carriera, tiene corsi sull’islamofobia all’Università Jagellonica di Cracovia e scrive di crisi migratorie. Il peggio dell’emergenza in Polonia è passato, pensa. Passano le settimane e in Europa torna la guerra. Centinaia di migliaia di persone si dirigono verso Cracovia dal confine ucraino, a sole quattro ore da lì.

Imparare dalla solidarietà 

Wilczyński ha ancora una chat con le persone con le quali ha lavorato: invia loro un messaggio e tutti quanti si mettono al lavoro. Nel giro di sei ore il teatro Słowacki di Cracovia si è trasformato in un rifugio in grado di ospitare 120 persone; donne e bambini dormono in brandine allestite nella sala prove, non lontano dall’imponente sala, con il suo sipario di velluto rosso e il lampadario largo tre metri e mezzo.

Wilczyński afferma che è stato “il livello di fiducia” che si è creato con le persone con le quali era stato nella foresta di Białowieża a permettere loro di muoversi all’unisono. “Senza questo legame, non avremmo avuto questa struttura. E, senza questa struttura, non avremmo potuto reagire e allestire un punto di accoglienza così rapidamente”.

Storie di questo tipo, in Polonia, non mancano. Chi tempo prima aveva preparato della zuppa per i migranti al confine con la Bielorussia, si rimette ai fornelli. I volontari recuperano i numeri di telefono raccolti dopo la crisi in Afghanistan del 2021 per contattare persone disposte ad accogliere qualcuno in casa loro. I seminari pensati per formare i nuovi volontari sono pronti per ripartire. Kalina Czwarnóg fa parte del consiglio di amministrazione della Fondazione Ocalenie, che aiuta rifugiati e immigrati a cominciare una nuova vita in Polonia. La donna racconta che, all’inizio dell’emergenza al confine con la Bielorussia, l’ondata di interesse da parte di chi voleva dare una mano “è stata controproducente”.

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“Abbiamo ricevuto tantissime telefonate in cui tutti ci chiedevano: ‘Come posso aiutare? Cosa devo fare? Vi mando questo, vi mando quell’altro”, ricorda. “E questo non ci aiutava. Eravamo in una situazione infernale”.

I due pesi e due misure delle autorità

Quando è cominciata la guerra in Ucraina, un numero crescente di persone è accorso ad aiutare. Ma questa volta l’organizzazione era preparata: “Abbiamo comunicato molto chiaramente cosa serviva. […] Chi chiamare, dove andare, con chi parlare. E questo ha agevolato il nostro lavoro e il coinvolgimento di chi voleva partecipare”.

Czwarnóg si trova spesso a riflettere sulle similitudini  tra il lavoro che ha svolto nelle due diverse situazioni: ricorda le prime settimane dell’invasione a Korczowa, un paesino di confine di meno di 600 persone dove un magazzino alla periferia della città si era trasformato in rifugio per migliaia di persone. Aprendo la porta, un’aria “familiare” l’ha riportata al fruscio delle foglie e all’odore di pioggia della foresta di Białowieża. “È difficile da descrivere... ma penso fosse la paura”, dice. “Quelle persone si trovavano in circostanze molto diverse, ma poi ho capito: in realtà non c’era alcuna differenza”.

Le reazioni al suo arrivo non avrebbero potuto essere più diverse, invece. Anziché cacciarla o trattarla come una delinquente, la guardia di frontiera polacca le ha chiesto i documenti e se poteva aiutarla. “Mi sono sentita schizofrenica. Insomma, sono nello stesso paese, parlo con le stesse persone… non riuscivo a credere a quanta differenza ci fosse”, racconta.

Se da una parte lo stato polacco si è mostrato pronto ad accogliere le vittime della guerra in Ucraina, dall’altra è stato particolarmente ostile nei confronti dei rifugiati mediorientali e africani arrivati in Polonia attraverso il confine nord-orientale con la Bielorussia. E, anche se questa volta l’opinione pubblica era meno polarizzata, agli attivisti non è sfuggita l’ironia della situazione: dopotutto, gran parte di ciò che sapevano su come affrontare il disastro umanitario in corso, tanto apprezzato, l’avevano imparato lottando contro le autorità in quello precedente.

Futuro incerto

Quel che differenzia le due emergenze è la loro portata in termini numerici. Per questo motivo le organizzazioni locali si sono viste costrette a crescere fino a un punto che non avevano previsto.

Sono oltre dieci anni che Anna Dąbrowska gestisce un’organizzazione locale, Homo Faber, che si occupa dell’integrazione di rifugiati e migranti a Lublino. Dal 24 febbraio 2023 i fondi si sono fatti più importanti e complicati da gestire: da una squadra iniziale di tre persone, sono passati a più di 300 volontari e uno staff di 62 persone. La politica è entrata in gioco, cercando di ottenere influenza e prendersi il merito, e in soli due mesi l’associazione ha avuto più di 120 visite da ong di tutto il mondo.


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Dąbrowska era sicura di conoscere la sua città e usava questi incontri per insistere sugli aspetti dei quali Lublino avrebbe avuto bisogno per essere un luogo accogliente, opponendosi a soluzioni “copia e incolla” prese da altre emergenze, a favore di piani che tenessero conto delle necessità locali.

“Non voglio che ci usino per i loro interessi, né che siano loro a risolvere i problemi al posto nostro. Riteniamo di dover essere noi a guidare questi processi”, dice.

La capacità di Dąbrowska di gestire questa improvvisa presenza di così tanti attori della solidarietà era in parte il risultato della loro precedente assenza. Lublino non è troppo lontana dal confine con la Bielorussia, dove anche lei aveva lavorato come volontaria. Le organizzazioni umanitarie internazionali erano poche e disperse, e il dittatore bielorusso Aljaksandr Lukašėnka spediva i rifugiati mediorientali che arrivavano in Bielorussia dal Sud globale attraverso i confini dell’Ue, usandoli come pedine nella sua partita a scacchi geopolitica. “Abbiamo chiesto aiuto”, racconta Dąbrowska. “Ma nessuno voleva essere coinvolto per motivi politici”. Il presidente polacco Andrzej Duda, del partito di destra Diritto e Giustizia, ha definito i volontari polacchi “sciocchi e traditori” e, nel settembre 2023, un’operatrice umanitaria di 48 anni è stata incriminata per il suo impegno nel cercare di fermare le violazioni dei diritti umani al confine.

È difficile stabilire quanto l’opinione pubblica effettivamente condivida questo disprezzo. All’apice dell’emergenza dei rifugiati provenienti dalla Bielorussia, quasi tre quarti della popolazione sostenevano il diritto degli operatori umanitari ad aiutare le persone al confine. Ma Wilczyński dice che, nonostante le statistiche, ha sempre sentito di avere un bersaglio sulla schiena. Non gli sfugge nemmeno l’ironia del fatto che, benché il suo operato nella foresta non sia stato visto di buon occhio, quella stessa esperienza, quelle stesse reti e quegli stessi strumenti sono stati fondamentali in una società desiderosa di aiutare l’Ucraina. 

Ora anche questo sta cambiando. Il sostegno pubblico per l’Ucraina in Polonia sta diminuendo e la coalizione di opposizione ora al potere non ha detto nulla di sostanziale sull’inversione dei piani del governo uscente di interrompere gli aiuti ai rifugiati ucraini entro il 2024. Ma per un po’, dice Wilczyński, “è stato bello non essere soli”.

👉 L’articolo originale su New Eastern Europe

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