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La parata del 9 maggio 2020, a Minsk.

L’epidemia riaccende la speranza di un cambiamento

A Minsk il presidente Aleksandr Lukašenko ha tenuto a organizzare il 9 maggio la parata annuale per commemorare la vittoria sul nazismo, malgrado l'epidemia di Covid-19. Ma, se il regime può continuare a costringere i cittadini a sfilare, ha perso il controllo sull'informazione e le proteste, spiega la giornalista bielorussa Iryna Vidanava.

Pubblicato il 2 Giugno 2020 alle 17:55
БелТА | YouTube  | La parata del 9 maggio 2020, a Minsk.

La giornata è grigia, fredda e piovosa. Rabbrividisco nel mio vestito estivo mentre aspetto il nostro turno per danzare alla parata del Primo Maggio a Minsk. Mentre avanziamo a passo di valzer sotto la tribuna dei capi di governo, mi accorgo che sono imbacuccati in cappelli, guanti e cappotti.

Al lato dell’immensa piazza mia nonna mi sta aspettando. D’abitudine sorridente, sembra preoccupata mentre mi avvolge in una giacca calda. Appena arriviamo a casa, mi spinge sotto la doccia e mi strofina energicamente con il sapone. È il primo maggio 1986, cinque giorni dopo l’esplosione della centrale nucleare di Chernobyl. Non c’è ancora stata alcuna notizia ufficiale del disastro, il governo nasconde la verità, ma si sussurra che qualcosa di terribile sia successo. 

Questo ricordo d’infanzia è affiorato mentre guardavo lo spettacolo surreale della folla che ha partecipato alla parata del 9 maggio, che si è svolta a Minsk nonostante la pandemia di Covid-19. Il presidente Aleksandr Lukašenko, nella sua uniforme militare, circondato dai veterani più anziani – nessuno dei quali portava una maschera – guardava con orgoglio alle centinaia di soldati e studenti che marciavano. Nel suo discorso ha dichiarato: “Non avevamo altra scelta e, se l’avessimo avuta, avremmo fatto la stessa cosa.” Ha aggiunto che dobbiamo le nostre vite alle vittime di guerra.

La parata e il discorso del presidente hanno provocato una levata di scudi. Non siamo più nel 1986: i bielorussi oggi, grazie a internet e agli smartphone, sono ben informati del pericolo dell’entità della crisi sanitaria in corso, in Bielorussia e nel mondo. 

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L'opinione pubblica ha risposto che i nostri nonni, che hanno sofferto per noi, non vorrebbero vederci morire per un virus diffusosi a causa di una parata. 

Sebbene il regime in Bielorussia possa ancora costringere i cittadini a marciare alle parate, ha perso il controllo dell’informazione. Seguendo la tradizione sovietica, il governo ha dapprima provato a soffocare le notizie sul virus. Ma i cittadini hanno iniziato a condividere informazioni su internet e le notizie si sono diffuse velocemente grazie ai social network, alle messaggerie e ai siti e giornali on line. 

Giornalisti indipendenti hanno raccontato le storie del Covid-19 della gente comune e hanno messo in evidenza le condizioni precarie del sistema sanitario e la sua incapacità nel proteggere pazienti e personale. Attraverso lunghissime inchieste presso le istituzioni e domande scomode fatte ai politici, sono riusciti ad abbattere il muro di omertà creato dal governo e a forzare le autorità a fornire aggiornamenti regolari. 

Tuttavia, il governo continua a rifuggire le proprie responsabilità e a tentare di silenziare le voci critiche. Tutti sanno bene che, quando in televisione le autorità garantiscono di avere la situazione sotto controllo, la situazione è tutt’altro che rosea. I cittadini hanno imparato da questo regime che, in situazioni del genere, non c’è altra scelta che prendere l’iniziativa. Ed è ciò che hanno fatto. 

Mentre Lukašenko dava ordini invano –  fendendo l’aria con parole vuote, per usare le parole di mia nonna –  chiedendo di  utilizzare materiale  di protezione che nessuno aveva e rimproverava i medici per essersi ammalati, dei volontari hanno avviato una campagna di raccolta fondi, comprato migliaia di respiratori, mascherine provviste di filtro e le hanno consegnate agli ospedali in tutto il paese in pochissimi giorni. 

Parecchi ristoranti alla moda della capitale, frequentati principalmente da hipster, hanno iniziato a preparare pasti gratuiti per il personale sanitario. L’associazione Minsk Hackerspace ha progettato e prodotto visiere protettive in plastica per lo staff medico usando stampanti 3D. Una popolare marca di abbigliamento ha fabbricato camici di protezione. Una startup che progetta tute da gamers ha fabbricato mascherine. Centinaia di imprese private e migliaia di cittadini hanno fatto donazioni per supportare le strutture sanitarie e le vittime del virus. Diverse organizzazioni cittadine hanno unito le forze nella campagna nazionale #BYCOVID19, raccogliendo 250mila dollari in 45 giorni in uno dei paesi più poveri d’Europa. 

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Per più di vent’anni, il regime ha cercato di sopprimere la libertà di associazione e di espressione organizzando finte elezioni, costruendo una macchina della propaganda, controllando il settore privato e utilizzando metodi di repressione pervasivi. Oggi vediamo che questa tattica ha fallito. L’ammirevole reazione dei cittadini alla crisi del Covid mostra che in Bielorussia la società civile si sta sollevando, nonostante le condizioni avverse. 

Il cosiddetto “stato forte” non è altro che un bullo vigliacco, incapace di reagire di fronte a una minaccia reale. Cittadini coraggiosi, che si sono organizzati e mobilizzati così rapidamente e su così ampia scala, si stanno dimostrando più efficaci della balbettante burocrazia statale. In Bielorussia, l’autoritarismo non sembra essere la risposta. 

Sfortunatamente, i dirigenti arroganti raramente ammettono i propri errori o si fanno da parte. Al contrario, spesso diventano più aggressivi. Il nostro capo dello stato si rivolge ai suoi cittadini con rabbia e minacce, invece di usare gratitudine e compassione. La trasparenza e la responsabilità restano concetti sconosciuti per le istituzioni governative. Il virus ha evidenziato l’incapacità delle autorità di agire rapidamente e in maniera responsabile. Di conseguenza, la fiducia dell’opinione pubblica è crollata. 

Ho l’impressione che il dissenso della società civile sia ora più grande che mai. Con le elezioni presidenziali alle porte (previste ad agosto), le proteste aumentano: sono guidate da blogger che prendono la parola per chiedere conto la governo del suo operato. 

Il personale sanitario, deluso dalla mancanza di protezione e sostegno ricevuta dallo stato, si è unito alle proteste a ha preso, per la prima volta, la parola on line. Alcuni di loro sono stati arrestati e hanno perso il lavoro.

È una storia che già conosciamo. La polizia interrompe le proteste e persegue attivisti, giornalisti e blogger, anche quelli che sono malati, compresi quelli, inclusi i nostri, a cui è già stato diagnosticato il virus e che sono ricoverati in ospedale. E i nostri servizievoli tribunali continuano a condannarli ad anni di prigione. Ma questa volta sembra diverso. 

Al momento, la priorità dei bielorussi è di sopravvivere al virus. Ma, per quanto incerta la vita dopo la pandemia possa sembrare, i cittadini stanno già mettendo in discussione l’esistenza di questo governo in futuro. Trent’anni fa, ci è voluta una tragedia come quella di Chernobyl per scuotere le coscienze permettere ai cittadini di poter pensare un futuro diverso che ha permesso i cambiamenti che hanno portato a una  Bielorussia nuova e indipendente.

Oggi come allora, i cambiamenti non saranno né rapidi né facili. Ma, in questo momento assurdo e complicato, sono molto orgogliosa dei miei compatrioti e piena di speranza rispetto al  futuro del mio Paese.

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Quest’articolo è dedicato alla vita e all’opera di Yuri Zisser, un pioniere dell’informazione online in Bielorussia, fondatore di TUT.by, il più grande portale indipendente del Paese, filantropo e uomo d’arte, morto il 17 maggio 2020.

Questo articolo fa parte del Debates Digital project, contenuti digitali che comprendono testi e discussioni live di alcuni degli scrittori di maggior successo, accademici e intellettuali che che fanno parte della rete Debates on Europe. L'autrice parteciperà a un dibattito online diffuso il 9 giugno alle 19, ora di Roma, su YouTube.

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