Opinione Crisi umanitaria in Afghanistan

L’Europa deve sbloccare subito i fondi per ricostruire l’Afghanistan

Il recente ritorno dei taliban al potere in Afghanistan ha provocato il congelamento degli aiuti e una grave crisi umanitaria. Rossella Miccio, presidente di Emergency, spiega perché il paese non ritroverà la pace e lo sviluppo senza una cultura della cooperazione, della salute e del rispetto dei diritti umani. Per questo, e per evitare una nuova ondata di profughi, sottolinea, l'Europa deve fare la sua parte.

Pubblicato il 30 Novembre 2021 alle 15:47

L’Afghanistan è un paese afflitto da oltre 40 anni di guerre. Le statistiche sono impietose: nel 2019 si contavano  60 bambini su 1.000  morti entro i cinque anni di età, in Europa i dati parlano di 4 su 1.000. Il popolo afgano, che aveva iniziato a sperare in un futuro di pace nel 2002, ha fatto i conti con l’amara constatazione che, nonostante gli attori fossero cambiati, la realtà quotidiana non accennava a migliorare.

L'UNAMA (United Nations Assistance Mission in Afghanistan), ha iniziato a raccogliere dati sulle vittime civili solo nel 2009. Da allora al 30 giugno 2021, sono 116.076 le vittime totali: 40.218 i civili uccisi, 75.858 i feriti.

Questi numeri rappresentano, anche se solo parzialmente, la tragedia che il popolo afgano ha vissuto: leggendoli è facile cedere alla narrativa di un paese senza speranza. Esistono però delle realtà che non si arrendono e che attraverso una presenza pluriennale nel paese a fianco della popolazione, continuano a mettere in atto e promuovere interventi basati sui diritti umani.

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EMERGENCY opera in Afghanistan dal 1999, prima dell’inizio della guerra al terrorismo. Da allora non ha mai lasciato il Paese;spesso le immagini dei suoi ospedali vengono usate per raccontare la realtà sul campo. Tutto iniziò con un Centro chirurgico nella valle del Panjshir per offrire cure gratuite alle vittime della guerra, seguito poi da un Centro pediatrico e un Centro di maternità nello stesso complesso.

Nell’aprile del 2001, nella Kabul ancora in mano ai taliban, fu aperto il secondo Centro chirurgico dedicato alle vittime di guerra, e nel 2004, il Centro chirurgico di Lashkar-gah, nella provincia pashtun di Helmand, a sud del paese. Gli ospedali sono collegati ad una rete di 44 posti di primo soccorso e cliniche, disseminati su 30 distretti. Queste strutture hanno fornito un punto d’osservazione privilegiato durante gli ultimi 22 anni, dando la possibilità di essere testimoni dell’evoluzione del conflitto. 

Guardando i dati di UNAMA emerge una tendenza significativa e comune: il costante aumento dei feriti e della violenza. Dal 2001 al 2020 gli ospedali di EMERGENCY hanno visto aumentare del 632 per cento i pazienti ricevuti, passando da 686 feriti l’anno a 5.021, con un picco di 7.106 pazienti nel 2018. Il 40 per cento delle vittime di guerra curate nei nostri ospedali sono donne e bambini. 

Ma se da un lato il lavoro negli ospedali conferma ciò che rivelano i dati, dall’altro fornisce la possibilità di osservare i risultati raggiungibili grazie ad una politica di cooperazione e rispetto dei diritti umani.


È fondamentale garantire con urgenza protezione e assistenza umanitaria alla popolazione contribuendo quanto prima all’appello urgente lanciato dall’ONU per raggiungere 1,2 miliardi di dollari in aiuti umanitari e di cooperazione allo sviluppo


Durante 22 anni in Afghanistan, EMERGENCY ha speso circa 133 milioni di euro raccolti da donatori privati, istituzionali e, più recentemente, anche dal Governo afgano. Con questa cifra, oltre a curare milioni di persone, sono stati formati nuovi medici specialisti e personale sanitario, dando lavoro a circa 2.500 afgani e afgane. La cifra è praticamente equivalente a quella necessaria a mantenere un piccolo contingente militare nel paese, per un solo anno.

Il punto di vista privilegiato dato dal lavoro negli ospedali ha contribuito a formare la consapevolezza che investire nella salute significa investire nel futuro della popolazione afgana, tramite la ricostruzione di servizi essenziali e l’offerta di posti di lavoro, anche alle donne. La sanità è uno dei pochi settori per cui il nuovo governo concede espressamente la partecipazione attiva di personale femminile, consentendone anche la formazione. Offrire posti di lavoro e formazione professionale pluriennale ed ufficialmente riconosciuta è un elemento fondamentale per la ricostruzione di un paese devastato dai conflitti; significa creare sviluppo, restituire dignità e speranza, migliorare i servizi e porre le basi per un tessuto sociale più sano. 

Oggi però il contesto politico tutt’altro che stabile e la crisi economica potrebbero sfociare nell’ennesima guerra civile della quale potrebbero avvantaggiarsi forme di estremismo islamico più radicali rispetto ai taliban, ancora estremamente attive in varie provincie. Inoltre, secondo il World Food Programme, con l’inverno che incombe su 39 milioni di afgani ancora nel paese, circa 23 milioni di essi rischiano di andare incontro a fame e carestia.

È fondamentale garantire con urgenza protezione e assistenza umanitaria alla popolazione contribuendo quanto prima all’appello urgente lanciato dalle Nazioni Unite per raggiungere 1,2 miliardi di dollari in aiuti umanitari e di cooperazione allo sviluppo. EMERGENCY insieme ad altre realtà attive nel paese sta esortando i decision makers europei ad adottare ogni misura necessaria per inviare velocemente aiuti umanitari alla popolazione in stato di bisogno e ripristinare i trasferimenti bancari indispensabili per il supporto dei progetti di assistenza umanitaria già in corso e di quelli nuovi che saranno necessari. 


È nostro dovere morale cominciare a costruire la pace attraverso la pratica dei diritti, non soltanto con le parole e tantomeno con le armi


Sarebbe però miope pensare solo agli afgani che si trovano ancora in Afghanistan. È già iniziato infatti un aumento del fenomeno migratorio in uscita dal paese, spesso in direzione dell’Europa. Chi affronta questo viaggio ha enormi bisogni e necessità di accoglienza. È cruciale opporsi alla chiusura dei confini europei nel nome della sicurezza e del contenimento delle migrazioni. L’esclusione di un impegno da parte dell’Europa nell’accoglienza degli afgani in fuga non impedirà l’arrivo di persone in difficoltà alle nostre frontiere. È necessario assicurare la protezione internazionale agli afgani in Europa, a coloro che da anni bussano alle nostre porte scappando dalla guerra e a coloro che in questo frangente stanno lasciando il paese, adottando come unico criterio il rispetto della dignità e dei diritti umani. 

È nostro dovere morale cominciare a costruire la pace attraverso la pratica dei diritti, non soltanto con le parole e tantomeno con le armi. Negli ultimi mesi l’Afghanistan è tornato a fare notizia ma gli afgani, nonostante gli occhi del mondo fossero puntati su di loro, si sono ritrovati soli nella disperazione figlia della guerra, traditi da un’élite politica locale che ha dimostrato incapacità e disinteresse per le sorti del paese e da una comunità occidentale che non ha saputo mantenere le promesse fatte nei precedenti 20 anni. Ora più che mai è necessario non disattendere le aspettative degli afgani, che la comunità internazionale ha nutrito per vent’anni e ha poi spezzato. 


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