Analisi Ue, informazione e democrazia

Fake news, disinformazione, interferenze nei processi elettorali: come si protegge l’Europa?

In un rapporto, la Fondazione Schuman fa il punto sulle misure, azioni e politiche europee volte a proteggere la democrazia nell’Unione, per contrastare le minacce che incombono su di essa.

Pubblicato il 1 Febbraio 2021 alle 08:00

La democrazia è il fondamento politico e morale dell’Unione europea e dei suoi Stati membri. Attraverso il suo corretto funzionamento, garantisce la pace civile e la prosperità delle società europee. Il valore della democrazia è anche uno strumento di potere e di influenza dell'Unione. Senza una democrazia funzionante, gli europei perderebbero la capacità di agire e difendere i propri interessi, sia attraverso il mantenimento di un multilateralismo basato sulle regole, sia attraverso la proiezione dei loro valori e standard presi ad esempio da altri.

Le elezioni presidenziali americane del 2020, dopo quelle del 2016, ricordano le sfide che le democrazie più consolidate devono affrontare. La moltiplicazione dei modi e dei mezzi per danneggiare le nostre società si riflette nel concetto di minacce ibride. La risposta in atto da diversi anni si basa quindi su una varietà di mezzi ma anche, nel contesto europeo, su un’articolazione tra il livello nazionale, che rimane sovrano in molti settori, e il livello europeo.

Le “minacce ibride”

In risposta a queste minacce, il 3 dicembre la Commissione europea ha presentato un Piano d’azione per la democrazia europea, che si concentra su tre aree: l’integrità delle elezioni e la pubblicità politica, la lotta alla disinformazione e il rafforzamento della libertà e del pluralismo dei media. Il piano completerà l'azione già intrapresa.

Dal primo attacco informatico organizzato con l’obiettivo di destabilizzare uno Stato europeo, nel 2007 in Estonia, e dalla crisi ucraina del 2014, l'Unione ha fatto i conti con una minaccia ibrida. La sua risposta è stata continua, con l’obiettivo di ottenere una visione d’insieme e di sostenere gli Stati membri nella prevenzione e nella risposta alle minacce. Nel 2016 ha adottato un Quadro comune per la lotta alle minacce ibride, che comprende 22 misure operative, e integrato nel 2018 da un piano per “aumentare la resilienza e rafforzare la capacità di risposta alle minacce ibride”.

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All'inizio del 2020, la Commissione e il Centro europeo di eccellenza per il contrasto alle minacce ibride (Hybrid CoE) hanno presentato agli Stati membri un “modello concettuale” per l’analisi delle minacce ibride, che è stato testato durante la crisi del Covid-19.  Il lavoro concordato è diventato la norma all’interno delle istituzioni e delle agenzie europee, ma manca ancora un coordinamento consolidato a livello governativo e una sufficiente consapevolezza nelle società.

Attacchi informatici e hackeraggio

Nel contesto della protezione della democrazia, le minacce informatiche riguardano sia il processo elettorale (l’integrità del voto) sia l’ambiente in cui esso può svolgersi (la sicurezza delle infrastrutture necessarie al buon funzionamento della società).Oltre alle imprese, gli ospedali sono regolarmente presi di mira, ad esempio nel Regno Unito nel 2017, in Francia nel 2019 e nella Repubblica Ceca nel 2020. Gli attacchi sono spesso attribuiti a hacker russi, ma nel giugno 2020 la presidente della Commissione si è rivolta alla Cina, avvertendola che gli attacchi informatici agli ospedali, nel bel mezzo di una crisi di coronavirus, “non possono essere tollerati”.

L’integrità di un’elezione può essere compromessa dall’hackeraggio delle liste elettorali o dei sistemi di raccolta dei risultati, ma anche dagli “hack and leak”, l’hackeraggio dei sistemi interni di un candidato o di un partito, seguito dalla pubblicazione di documenti reali o falsificati al fine di indebolire o screditare il candidato.

I due esempi principali, attribuiti alla Russia, sono l’hackeraggio delle e-mail del partito democratico americano e la loro pubblicazione da parte di Wikileaks prima delle elezioni presidenziali del 2016 e le “Macron Leaks” del 2017. Prima delle elezioni europee del 2019 sono stati segnalati attacchi di “denial of service” su siti che forniscono informazioni sulle elezioni europee in diversi Stati, tra cui la Finlandia e la Repubblica Ceca. Più di recente sono stati osservati attacchi informatici contro le reti governative locali. È stato così a Marsiglia due giorni prima del primo turno delle elezioni comunali del marzo 2020.

Nella primavera del 2019, l’Agenzia dell’Unione europea per la cybersicurezza (Enisa) ha pubblicato una serie di raccomandazioni per gli Stati membri e ha condotto un esercizio di simulazione con il Parlamento e la Commissione per testare le capacità già esistenti. Un gruppo di Stati ha elaborato un “manuale sulla sicurezza informatica delle tecnologie elettorali”, di cui almeno sedici Stati membri hanno seguito le raccomandazioni per garantire le elezioni europee.

Nel campo della sicurezza informatica, le minacce sono state quindi identificate e la sfida è soprattutto quella di mettere in comune informazioni, metodologie e mezzi d’azione in un’area in cui la sovranità degli Stati rimane chiaramente affermata e l’analisi dei rischi non è condivisa in modo equo.

Garantire l’integrità delle elezioni

Prima delle elezioni europee, nel settembre 2018, la Commissione ha proposto una serie di misure e raccomandazioni come base per un’azione comune volta a garantire i processi elettorali in Europa. La Commissione si è concentrata sulla sicurezza informatica, la trasparenza e la protezione dei dati.

Una delle misure principali di questo “pacchetto elettorale” è stata la creazione della Rete europea per la cooperazione elettorale, in cui gli Stati membri si scambiano informazioni sulla loro legislazione elettorale, sulla valutazione dei rischi e sulle campagne di sensibilizzazione, nonché sulle norme di protezione dei dati o sulla sicurezza informatica.

Entro la fine del 2021, la Commissione presenterà una proposta legislativa per aumentare i requisiti di trasparenza sul finanziamento dei partiti. Documentare l’aggiramento della legge è uno degli obiettivi della commissione speciale del Parlamento europeo sulle interferenze straniere, istituita a settembre, che si occupa, in particolare, delle accuse di finanziamento politico, legale o meno, attraverso prestanomi o donatori che si avvalgono di un candidato di un Paese terzo.

Come ha dimostrato lo scandalo Cambridge Analytica nel Regno Unito e negli Stati Uniti, i dati personali degli utenti della piattaforma possono essere utilizzati per campagne online.

Nel quadro del Codice di buone pratiche sulla disinformazione introdotto nel 2018, le piattaforme hanno l’obbligo di indicare chiaramente i nomi dei partiti, dei movimenti o dei candidati dietro i contenuti politici. Il sistema è stato poi applicato negli Stati membri. Hanno anche creato delle banche dati di pubblicità politica. Oggi la Commissione, il Parlamento e gli Stati membri chiedono alle piattaforme di rendere più trasparenti i criteri di visualizzazione della pubblicità politica e, in particolare, di aprire i loro algoritmi ai ricercatori.

Regolamentazione delle piattaforme

Finora l’approccio europeo è stato quello di favorire l’autoregolamentazione da parte delle piattaforme, ma non senza controllo. Ciò ha portato all’istituzione, nell’ottobre 2018, di un Codice di buone pratiche sulla disinformazione.

In un’analisi pubblicata nel settembre 2020, la Commissione ha sottolineato che, per essere più efficace, il Codice dovrebbe sviluppare definizioni comuni, procedure chiare e impegni precisi applicabili a tutti i firmatari e in tutti gli Stati membri. L’approccio della Commissione è ora più offensivo e si impegna ad utilizzare una logica di co-regolamentazione, con obblighi più concreti imposti alle piattaforme, che verrà attuata nel 2021.

La strategia dell'Ue comprende anche il sostegno all’informazione e ai media. L’Osservatorio europeo sui media digitali, istituito nel giugno 2020, riunisce verificatori dei fatti, ricercatori e diversi soggetti interessati al fine di sviluppare strumenti che consentano di comprendere meglio i meccanismi e gli effetti della disinformazione e della sua propagazione, individuare i responsabili e organizzare la lotta con gli attori della società civile.

L’Ue finanzia dieci progetti a sostegno dei media e del pluralismo, per un totale di 7 milioni di euro, e altri 62 milioni di euro sono previsti nel Quadro finanziario pluriennale 2021-2027 per il lancio di altri progetti a sostegno dei media e del pluralismo, tra cui una banca dati per rendere trasparente la proprietà dei media (Media Ownership Monitor).

Il Piano d’azione per la democrazia europea, che amplia e sviluppa la strategia messa in atto dal 2016 al 2018, si svolge in un contesto in evoluzione. La tendenza di fondo della diffidenza verso i governi e le élite, rafforzata da eventi come il movimento dei gilet gialli in Francia e, ancor più, dalla pandemia di Covid-19, ha cambiato l’origine e il corso dei tentativi di disinformazione.

La manipolazione e la menzogna diffuse in precedenza unicamente dall’estero, in particolar modo dalla Russia, sono ora diffuse anche dall’interno. Gli Stati membri e l’Unione non si trovano più ad affrontare soltanto interferenze straniere, ma anche un fenomeno endogeno, anche se rimane incoraggiato o finanziato dall’esterno. Il complottismo e il rifiuto del pluralismo che si sta manifestando negli Stati Uniti si sta sviluppando anche in Europa  non può essere combattuto solo da una risposta ibrida o dalla regolamentazione delle piattaforme. La risposta è politica e si basa in gran parte su fattori economici e sociali, ancor più nelle società europee indebolite dalla pandemia.

Da questo punto di vista, l’evoluzione degli Stati Uniti dal 2016 può far luce sulla riflessione in Europa. Da un lato, mentre le “fake news” si diffondono attraverso siti e social network, l’ampiezza della diffidenza così creata è rafforzata dall'atteggiamento di alcuni media e forze politiche. 

D’altra parte, Donald Trump ha infranto un tabù, quello di un capo di Stato democratico che contesta lo svolgimento delle elezioni e si rifiuta di riconoscere il risultato. È quindi necessario disporre di forti contropoteri istituzionali e civili. Mentre due governi dell’Unione (Ungheria e Polonia) rifiutano già in parte le basi dello Stato di diritto e dispongono di media propri, la difesa di contro-poteri  da parte degli altri Stati membri e delle istituzioni europee è di ancora più fondamentale.  

👉 Il policy paper sul sito web della fondazione Schuman.


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