Dati alla mano Europa e Covid-19

Come vengono usati i fondi europei nella gestione dell’emergenza Covid

Prima degli stanziamenti aggiuntivi, come il recovery fund, uno dei primi strumenti messi in campo dall’Ue è stata la possibilità per gli stati di reindirizzare i propri fondi europei nel contrasto all’emergenza. Vediamo come questo processo è avvenuto, in Italia e negli altri paesi.

Pubblicato il 19 Marzo 2021 alle 12:12

In questi mesi, l’emergenza coronavirus ha messo sotto pressione sia la capacità di risposta dei singoli paesi europei, sia quella dell’Unione europea nel suo complesso. Prima di tutto in campo sanitario, con la necessità di garantire l’accesso ai dispositivi di protezione, il potenziamento delle terapie intensive, gli investimenti nella ricerca sul vaccino e nella sua distribuzione. Poi per gli aspetti economici e sociali connessi con la crisi: con gli effetti del lockdown su consumi e produzione e la necessità di supportare le imprese con sovvenzioni e garanzie sui prestiti.

Per le sue caratteristiche intrinseche, la pandemia richiede risposte coordinate tra i paesi Ue, che siano rapide ed efficaci. Fin dalle prime settimane la crisi ha portato le istituzioni europee a mettere in campo diversi strumenti. Tra questi, i più conosciuti sono la sospensione del patto di stabilità, il piano Next Generation EU, i fondi Sure per il rischio disoccupazione, un apposito canale di credito del Mes, gli interventi della banca europea per gli investimenti, gli acquisti di titoli da parte della Bce. 

All’interno di questo quadro, una delle prime misure concretamente varate sono stati i pacchetti Crii e Crii+ (o Coronavirus Response Investment Initiative). Non si tratta di risorse aggiuntive, ma della possibilità di riprogrammare i fondi europei già esistenti per il ciclo 2014-20 su spese relative all’emergenza – dall’acquisto di materiali e attrezzature sanitarie al sostegno alle imprese e alle spese di protezione sociale.

                                             

Una partita decisiva che, dall'inizio della crisi a metà gennaio 2021, ha prodotto un incremento netto di 6,8 miliardi a livello Ue sul comparto salute e di oltre 3,5 miliardi nel supporto alle imprese colpite dall'emergenza. Risorse la cui implementazione sarà rendicontata a metà 2021 e che sono spesso state fondamentali per i governi nell’affrontare la pandemia, soprattutto nei primi mesi.

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Monitorare la riallocazione di queste risorse è cruciale. Soprattutto per rispondere a una domanda: che impatto hanno avuto i fondi europei nella gestione della crisi? La pubblicazione da parte della commissione Ue di alcuni dataset relativi a queste risorse dà la possibilità di valutare, paese per paese, che ruolo hanno avuto i fondi europei nella gestione della crisi. 

La riallocazione dei fondi Ue nel settore sanitario

La crisi ha comportato la necessità di spostare risorse verso i dispositivi di protezione individuale, le attrezzature mediche e altre infrastrutture sanitarie. In questa partita i fondi europei hanno avuto un ruolo decisivo, anche se purtroppo non semplice da monitorare. Come sottolineato anche dalla Commissione europea, le classificazioni esistenti risalgono a prima dell'emergenza ed è quindi molto difficile tracciare come i paesi abbiano utilizzato i margini concessi dai pacchetti Crii e Crii+.

Da maggio 2020 la Commissione ha introdotto nuove classificazioni specifiche per il Covid-19, ma il loro uso non è obbligatorio e dunque tali indicatori rischiano di produrre un'analisi incompleta. Un’altra strategia di monitoraggio, resa possibile dai dataset pubblicati dalla Commissione, consiste nell’isolare i fondi categorizzati come relativi al comparto salute ed osservare quali siano stati gli spostamenti dal 1° febbraio 2020 ad oggi (i dati raccolti ai fini di questa analisi sono relativi al 15 gennaio 2021).

Questo metodo ci consente di capire alcune tendenze. Nel 2020, nei fondi Ue relativi al comparto sanità sono stati ricollocati complessivamente 7,2 miliardi (con un aumento netto pari a 6,8 miliardi). 

Com'è è avvenuto questo spostamento? La categoria di intervento che registra gli incrementi maggiori è quella relativa alle infrastrutture sanitarie. La riallocazione su questi fondi è stata di 4,5 miliardi, quasi sempre in aumento. Segno che gli interventi in questo settore (contrassegnato dalla categoria d'intervento 053) sono stati ritenuti prioritari dai paesi Ue. Crescono i anche fondi per i programmi relativi all'accesso ai servizi sanitari, una categoria piuttosto generica che probabilmente ha consentito maggiore flessibilità di azione nella fase di emergenza.

                                       

Si possono osservare ricollocamenti minori, ma comunque significativi, anche nell'ambito degli interventi per la sanità elettronica. Su questi programmi si rilevano 177 milioni in entrata e 139 in uscita. Indice di una possibile ristrutturazione dei fondi relativi a questa categoria per ottimizzare gli interventi su questo settore in chiave Covid.

Nel confronto tra paesi Ue, il volume di ricollocamenti maggiore in ambito sanitario si è avuto in Spagna (2,7 miliardi in entrata, 95 milioni in uscita) e in Italia (2 miliardi in entrata, 683 milioni in uscita). Seguono Polonia, Romania, Irlanda, Grecia e Francia.

                                                

In 4 paesi (Cechia, Finlandia, Paesi Bassi e Svezia) l'ammontare dei fondi sulle categorie di intervento sanitarie non è cambiato dal 1° febbraio 2020 ad oggi. Questi paesi non sembrano quindi aver usufruito della flessibilità sui fondi europei consentita dai pacchetti Crii e Crii+ per rispondere all'emergenza Covid, almeno in ambito sanitario. Un motivo probabilmente è che gli stati più virtuosi nell'utilizzo dei fondi Ue avevano meno margine a disposizione rispetto a quanto stanziato dal bilancio 2014-20. Ungheria, Estonia e Austria hanno mantenuto stabili o ricollocato i fondi relativi alla sanità su altri comparti.

Fondi sanitari e trasferimenti tra regioni diverse

Un aspetto chiave del pacchetto Crii+ è la possibilità di trasferire i fondi Ue tra categorie di regioni diverse. Di norma, in base al regolamento Ue che disciplina i fondi europei, non è possibile spostare gli stanziamenti assegnati alle regioni meno sviluppate a quelle più sviluppate o in transizione.

La pandemia ha portato a rivedere questo limite, anche perché sono state soprattutto le aree metropolitane e i territori economicamente più dinamici a essere colpiti per primi dai contagi.

Come conseguenza, l'aumento degli stanziamenti sul comparto sanitario si è verificato per tutti i tipi di regione, ma in misura molto più massiccia su quelle sviluppate. Rispetto al 31 gennaio 2020, l'ammontare dei fondi sanitari è aumentato del 30% nelle regioni meno sviluppate, del 169% in quelle in transizione e del 255% in quelle più sviluppate.

Per l'Italia, l'incremento è stato dell'89% in quelle meno sviluppate. Queste partivano da un ammontare nelle categorie di intervento relative alla sanità di 435 milioni, quasi raddoppiato fino a 823 milioni. Variazione del 216% in quelle in transizione (da 18 a 58 milioni) e del 394% in quelle più sviluppate (da 230 milioni a 1,1 miliardi).

                                             

Il ricollocamento dei fondi Ue per l'economia e le imprese

Accanto al fronte sanitario, l'altro aspetto critico di questa emergenza riguarda il lato economico. La flessibilità garantita dai pacchetti Crii e Crii+ ha consentito massicci spostamenti di fondi sul sostegno alle imprese. Parliamo, nel periodo compreso tra il 1° febbraio 2020 e il 15 gennaio 2021, di circa 11 miliardi di riallocazioni, per un incremento netto superiore ai 3,5 miliardi di euro.

Come già visto in ambito sanitario, possiamo ricostruire questi dati confrontando gli spostamenti di fondi tra le diverse categorie di intervento. A differenza delle poche categorie relative al settore sanitario, in questo caso parliamo di 24 tipi di intervento diversi. Si va dagli investimenti produttivi nelle piccole e medie imprese (categoria 001) ai processi di ricerca e innovazione per le grandi aziende (002); dalle risorse per migliorare l'efficienza energetica e ambientale (categorie 068, 069, 070) a quelle per favorire l'adattamento ai processi produttivi di lavoratori e imprese (106).

Le riallocazioni positive maggiori si sono registrate sulla categoria 001, probabilmente anche per la maggiore genericità della sua definizione. Molti interventi relativi alle piccole e medie imprese potrebbero essere stati concentrati proprio sugli investimenti generici. 

                                               

Nel confronto tra i paesi Ue, è l'Italia ad aver effettuato i maggiori ricollocamenti (+2,9 miliardi in entrata e -1,6 miliardi in uscita). In definitiva, se il 1° febbraio 2020 le categorie di intervento relative alle imprese valevano 7,1 miliardi, lo spostamento dei fondi italiani su questo comparto ha portato il valore complessivamente a 8,4 miliardi.

                                              

Segue, in termini di risorse ricollocate, la Grecia con 1,3 miliardi in entrata e -82,8 milioni in uscita. Sono invece 4 i paesi in cui la quantità di fondi nel settore imprese non è sostanzialmente variata: Finlandia, Lussemburgo, Paesi Bassi e Svezia. Come già indicato, questi stati - avendo già vincolato gran parte dei propri fondi Ue - avevano meno margini di manovra, e hanno fatto un uso marginale delle possibilità consentite dai pacchetti Crii e Crii+.

Fondi per le imprese e trasferimenti tra regioni diverse

La possibilità di trasferire fondi da una regione all'altra è stata utilizzata molto anche per gli aiuti alle imprese. Anche in questo caso, quasi tutte le categorie di regioni hanno registrato un aumento a livello europeo, anche se con tassi di incremento diversi. 

A differenza delle riallocazioni sanitarie, gli aiuti alle imprese sono cresciuti soprattutto in quelle meno sviluppate. Le aree più fragili del continente hanno registrato un aumento del 6,3% (da 43 a 45,7 miliardi), seguite da quelle in transizione (+5,1%) e da quelle più avanzate (+2,6%). 

Perché in questo caso sono state incentivate soprattutto le regioni meno avanzate? Il motivo va probabilmente ricondotto alla differenza tra gli effetti immediati della crisi sanitaria e quelli della crisi economica. La prima ha colpito da subito soprattutto le regioni sviluppate, con un minor coinvolgimento iniziale dei territori svantaggiati. Ma questi non sono rimasti indenni dalle conseguenze economiche: le regioni meno sviluppate, spesso fortemente legate al sistema produttivo di quelle avanzate, hanno visto comunque rallentare la propria economia. Con il rischio di un ulteriore allargamento dei divari interni ai paesi.

In collaborazione con European Data Journalism Network

👉 Articolo originale su OpenPolis.


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