Quando qualche settimana fa ho lasciato la Groenlandia, non immaginavo che ci sarei tornato così velocemente. Il paese, nonostante copra un’area poco superiore a Francia, Germania, Polonia, Italia e Spagna messe insieme, ha circa 60mila abitanti.
E c’è una domanda a cui ancora non si è trovata risposta: quest’isola fa parte dell’Europa? Secondo il Consiglio nordico, “seppur appartenga al continente nord-americano, da un punto di vista geopolitico possiamo considerare la Groenlandia europea”.
Alcuni recenti sviluppi – tutti legati al rinnovato interesse da parte di Donald Trump per l’isola che, al momento, fa parte della Danimarca pur godendo di grande autonomia – sembrano un valido motivo per dedicare una rassegna proprio alla Groenlandia.
Dopo un’accesa telefonata tra la prima ministra danese Mette Frederiksen e il neo presidente Trump, in cui i due hanno discusso del rifiuto della Danimarca di vendere la Groenlandia, sono emersi segnali contrastanti riguardo alla reazione più appropriata da parte dell’Europa.
Da un lato, Frederiksen è andata in visita a Berlino, Parigi e Bruxelles per promuovere “l’unità europea” e ha annunciato un piano per la sicurezza dell’Artico da 2 miliardi di euro. D’altro canto, come scrive il Financial Times, l’Ue e la Nato hanno fatto un “voto di silenzio sulla Groenlandia dopo che la Danimarca ha esortato i suoi alleati a non rispondere alle minacce di Donald Trump circa l’annessione dell’isola”. Di conseguenza “non è stato fatto [...] alcuno sforzo per coordinare le dichiarazioni di Nato e Ue in difesa di Danimarca o Groenlandia.”
Ciononostante, Nielsen afferma che sarebbe “sorpreso” se i groenlandesi decidessero di rafforzare ulteriormente questa relazione e di rientrare nell’Ue. Come spiega il New Union Post, un allargamento dell’Ue “pone Islanda, Groenlandia e Norvegia in una situazione alquanto scomoda legata alle quote per la pesca e alla politica comune della pesca dell’Ue”.
Se la domanda invece è se i groenlandesi vogliono che l’isola diventi statunitense, la risposta è un “no” categorico. Questo è quanto emerge da un recente sondaggio realizzato da Verian per il quotidiano danese Berlingske e quello groenlandese Sermitsiaq (uno dei due quotidiani nazionali dell’isola). Come scrivono Daniel Tideman e Mia Gleerup Fallentin su Berlingske, “l’85 per cento dei groenlandesi è contrario all’idea che la Groenlandia lasci il Reame danese per essere annessa agli Stati Uniti mentre un 9 per cento risponde di essere indeciso”. Dal sondaggio emerge inoltre che “il 45 per cento dei groenlandesi [...] vedono l’interesse di Donald Trump per la Groenlandia come una minaccia e, se in questo momento dovesse scegliere tra la cittadinanza danese o americana, solo l’8 per cento preferirebbe la seconda”.
Sempre su Berlingske all’inizio di gennaio Julie Schneider ha analizzato un altro sondaggio, condotto dall’ente di statistica statunitense Patriot Polling, secondo il quale il 57 percento dei groenlandesi sono in realtà favorevoli all'annessione del paese da parte degli Stati Uniti. Schneider ha poi scoperto che tra il 12 e il 15 gennaio il sondaggio è stato menzionato 356 volte da organi di stampa in lingua russa e affiliati alla Russia, come Sputnik, Ria Novosti e Tass. José Ignacio Torreblanca, membro dello European Council on Foreign Relations, ha riferito a Schneider che la Russia starebbe cercando di sfruttare la Groenlandia per creare tensioni tra gli Stati Uniti, l’Europa e l’alleanza transatlantica.
L’emittente pubblica danese DR segnala che “il rischio di disinformazione sulla Groenlandia è in aumento” da quando Trump ha rinnovato il suo interesse per l’isola. Bufale che sembrano essere state pubblicate dall’emittente pubblica groenlandese, un profilo Facebook falso del primo ministro Múte Bourup Egede, una storia inventata secondo cui il politico danese di sinistra Karsten Hønge avrebbe cercato aiuto dalla Russia per impedire la separazione della Groenlandia: questi sono solo alcuni esempi della disinformazione che è circolata sulla Groenlandia nelle ultime settimane.
Come evidenziano Thomas Prakash, Frederik Gatzwiller e Alexzander Lundquist Thomsen nel loro articolo, un rapporto aveva concluso che non c’erano prove di interferenze straniere sull’isola. Il recente aumento della disinformazione coincide anche con l’avvicinarsi delle elezioni parlamentari in Groenlandia che dovrebbero tenersi entro il 6 aprile. “Alle ultime elezioni hanno votato circa 27mila persone, quindi bastano pochi voti per influenzare il risultato” scrivono i giornalisti.
Signe Ravn-Højgaard, sociologa all’Università della Groenlandia, pensa di aver capito l’origine del problema: “In Groenlandia, ci sono solo due aziende che operano nell’informazione e per cui lavora un numero relativamente ristretto di giornalisti che a loro volta devono occuparsi dei più svariati argomenti nei diversi formati. Non ci sono abbastanza risorse per verificare tutte le notizie e la Groenlandia resta di conseguenza potenzialmente vulnerabile alla disinformazione”.
Morten Løkkegaard, membro del parlamento europeo (Renew), crede che se i groenlandesi volessero davvero fermare l’avanzata di Trump, far parte dell’Ue potrebbe garantire loro la “protezione” necessaria. In una conversazione con Seb Starcevic su Politico Europe, Løkkegaard osserva che le dichiarazioni di Trump potrebbero involontariamente portare la Groenlandia a prendere in considerazione più seriamente la possibilità di rafforzare i suoi rapporti con l’Europa. “Questa potrebbe essere la spinta necessaria per un cambiamento politico e per far sì che i groenlandesi si interessino a ciò che accade in Europa”. Løkkegaard crede inoltre che la Groenlandia sia “una candidata ideale per l’Ue, grazie alla sua solida democrazia e a un efficiente sistema di welfare”.
C’è anche un terzo sondaggio, non meno importante di quelli citati sopra, che indaga invece la posizione dei groenlandesi rispetto alla completa indipendenza. Come racconta Mark Leibovich in un bell’articolo uscito su The Atlantic, l’ultimo sondaggio che si può ritenere affidabile era stato condotto nel 2019 dall’Università di Copenhagen e mostrava che il 68 percento dei groenlandesi avrebbe voluto l’indipendenza dell’isola in un futuro indefinito. Tuttavia, come precisa Lisa Munck Seidelin in un articolo per TV 2, se il voto si fosse tenuto all’indomani solo il 39 percento di loro si sarebbe dichiarato a favore.
Queste tendenze sembrano essere riflesse dalla struttura politica del paese, poiché “il parlamento è composto da 31 membri che, seppur con sfumature differenti, hanno a mio avviso tutti posizioni pro-indipendenza” continua Leibovich. Come hanno ribadito la parlamentare groenlandese Aaja Chemnitz e il primo ministro Egede: “Non vogliamo essere danesi, non vogliamo essere americani. Vogliamo essere groenlandesi”.
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