Piazza di Spagna, Roma, 1955

La gloria perduta dell’Europa

Dalle rovine del dopoguerra alla crisi di oggi: è davvero finita un'epoca per il Vecchio continente? Lo scrittore messicano Carlos Fuentes, europeo adottivo da oltre 60 anni, esprime tutta la sua inquietudine sul futuro dell'Europa. Con un tocco di nostalgia.

Pubblicato il 29 Luglio 2011 alle 15:21
Piazza di Spagna, Roma, 1955

Passano ragazze solari, bionde, poco vestite ma molto eleganti. I giovanotti affinano l'arte della seduzione. I vecchi mantengono eternamente la loro eleganza. I borghesi che riempiono ristoranti, bar e alberghi non sono da meno. I turisti percorrono e ripercorrono, a migliaia, i luoghi di una cultura che ha tremila anni di storia: dal Vaticano ai Fori Imperiali, dal Pantheon a Piazza di Spagna e a Piazza Navona, l'antico circo di Domiziano.

Quanto è lontana questa Italia che visitai per la prima volta nel 1950. Avevo ventidue anni, la seconda guerra mondiale era finita solo cinque anni prima, e il duce Benito Mussolini, dittatore dal 1922, era stato giustiziato dai partigiani e appeso a testa in giù a Piazzale Loreto a Milano, insieme alla sua amante Claretta Petacci, alla quale una donna pietosa aveva fermato la gonna per coprirle le gambe. Bambini scalzi correvano qua e là chiedendo l'elemosina. I mendicanti occupavano i punti chiave della città, le stazioni ferroviarie, le uscite dei ristoranti. La gente andava nei musei perché lì c'era il riscaldamento, negli alberghi no. In treno nessuno viaggiava in prima o seconda classe. La terza classe era piena di passeggeri con le valigie legate con la corda e vestiti, non da operai, ma da quello che erano veramente: membri della classe media impoverita. Gli operai, da parte loro, andavano a ingrossare le fila del Partito comunista italiano e cantavano “Chi non lavora, non mangia. Evviva il comunismo e la libertà”. La borghesia liberale, invece, invocava la protezione degli americani. Papa Pio XII (Pacelli) cercava di cancellare il sospetto di aver collaborato con i nazisti sfruttando le glorie dell'Anno santo (1950) e l'anticomunismo. Nelle città d'Italia convivevano sindaci comunisti e imprenditori capitalisti, molti dei quali sarebbero diventati i protagonisti del successivo sviluppo economico.

Comunisti e capitalisti uniti

Da allora, una borghesia ricca e potente, una classe operaia invecchiata o spiazzata dai nuovi metodi di lavoro non sindacalizzato e una gioventù inquieta e problematica hanno convissuto con governi, sia di centrosinistra che centrodestra, di scarsa rilevanza ideologica. È come se la politica italiana fosse stata un rito di passaggio della realtà economica più profonda del paese.

In chi si riconoscono oggi gli italiani? I migliori esponenti della sinistra non sono riusciti a creare alleanze politiche durature, per quanto si siano fondate e rifondate con nomi diversi. La destra, da parte sua, ha trovato uno strano personaggio, buffo e calcolatore, che il potere protegge dai procedimenti giudiziari che un giorno, quando lo lascerà, dovrà affrontare. Questo giorno, l'ultimo di Silvio Berlusconi, si sta avvicinando? Le tensioni interne al governo le ha manifestate il ministro dell'economia Giulio Tremonti, in assenza di Berlusconi, scomparso nel bel mezzo di una crisi che il presidente della repubblica italiana, l'ex comunista Giorgio Napolitano, ha gestito con la qualità che manca al premier: il genio politico.

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Una crisi paneuropea

La cosa interessante è che il ministro Tremonti, il futuro direttore della Bce Draghi, il presidente Napolitano e, tacitamente, importanti settori della sinistra postcomunista e della destra postberlusconiana hanno unito le loro voci per lanciare l'allarme su una crisi nazionale che sia Tremonti sia Draghi hanno cercato di attribuire a quella europea della quale, per definizione, l'Italia sarebbe vittima, ma non causa.

E invece la crisi è a livello europeo: questa è la tesi che avanza l'ex ministro delle finanze (cancelliere dello scacchiere) e primo ministro britannico Gordon Brown in un suo articolo molto discusso a livello internazionale.

"Perché l'Europa si è addormentata?", si chiede e ci chiede Brown. Mancanza di investimenti, disoccupazione, crescita troppo lenta: tutto annunciava una crisi. Di tutto il continente e non solo di singoli paesi come Irlanda, Portogallo, Grecia e forse Italia e Spagna. Una crisi paneuropea. Se non si capisce questo, i rimedi sono, e saranno, inefficaci.

La fine dell'eurocentrismo

Il problema, dice Brown, è europeo e ha tre aspetti. La banca europea non ha capito che non è solo una banca europea, e tanto meno nazionale, ma fa parte di un sistema globale. I problemi non si risolvono concedendo prestiti, sostiene Brown, perché essi rappresentano una questione di solvibilità o di insolvenza, non di liquidità.

I problemi non si risolvono in modo isolato. Brown invoca una strategia “paneuropea”, in luogo della "reazione di panico”, che includa una politica di ricostruzione a lungo termine. Se non lo farà, l'Europa entrerà in una fase di disagio sociale, caratterizzata dalla fobia degli immigrati e dai “movimenti di secessione”. Secondo Brown, i problemi comuni devono essere affrontati come tali. Non come questioni “locali” che non riguardano il resto del continente.

Ricordo l'Europa in macerie del 1950. La situazione attuale non ha niente a che vedere con il dramma del dopoguerra. Ma senza dubbio l' Europa dovrà adattarsi alle nuove economie che oggi stanno emergendo in Asia e in America Latina, e forse domani emergeranno anche in Africa. La gloria del suo lontano passato non tornerà più, ma neanche la miseria di ieri. L'Europa dovrà adattarsi a un mondo diverso, che non sarà mai più eurocentrico. (Traduzione di Bruna Tortorella)

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