Ingresso vietato a polacchi e bulgari. Angelo Cavalli, Presseurop

La guerra dei club

I membri fondatori contro gli ultimi arrivati, gli stati insolventi contro quelli virtuosi, i governi che chiedono continuamente contro quelli che penano ad accettare le conseguenze dell'Unione. L'analista politico bulgaro Ivan Krastev vede una nuova faglia che divide l'Unione europea. 

Pubblicato il 15 Marzo 2010 alle 16:42
Ingresso vietato a polacchi e bulgari. Angelo Cavalli, Presseurop

Diciamoci la verità: se la Grecia fosse un paese dell'Europa centrale la "crisi greca" non ci sarebbe mai stata. Primo, Germania e Francia non avrebbero mai ammesso nella moneta unica un paese specializzato in inefficienza economica, pessime abitudini politiche e con un gran talento per la contabilità "creativa". Secondo, se anche la Grecia "centroeuropea" fosse finita in qualche modo nell'eurozona, c'è da scommettere che Bruxelles avrebbe tenuto sotto stretto controllo le finanze di Atene. Ma la Grecia non è in Europa centrale. Mentre la Commissione europea combatte a spada tratta la corruzione nei paesi del "club Yalta" gli altri, specialmente quelli del "club Med", godono di un trattamento da europei virtuosi senza esserlo neanche lontanamente.

Immaginate un primo ministro bulgaro o romeno che controlla l'80 per cento dei media nazionali e ha l'abitudine di passare le vacanze trastullato da prostitute. Immaginate il capo di governo della Romania che si rifiuta di congelare i salari nonostante la crisi e gli ammonimenti di Bruxelles. L'Europa non è uguale per tutti: se succede a Sofia o Budapest è uno scandalo oltraggioso, se succede a Roma o Madrid è un piccolo fastidio. In Europa sono in molti a disprezzare la visione parziale della libertà di stampa del primo ministro italiano Silvio Berlusconi, ma Germania e Francia preferiscono tacere sull'argomento. Altrettanto preoccupante è la politica economica dell'attuale governo spagnolo, ma nessuno si azzarda a sollevare una critica aperta.

Il problema è a sud

Bruxelles è sicuramente responsabile per la tragedia economica della Grecia. Il ruolo del governo dell'Unione è comparabile a quello recitato dai revisori della Arthur Andersen nello scandalo Enron. La crisi greca ha svelato una realtà inquietante nascosta dietro alla retorica della solidarietà europea. L'Ue parla di solidarietà ma gli stati europei non ne vogliono sapere. Per rendersene conto è sufficiente pensare che il 70 per cento dei tedeschi vogliono la Grecia fuori dall'Euro. Recentemente un membro del parlamento tedesco ha consigliato ad Atene un brillante rimedio per i problemi del paese: vendere qualche isola. Nel frattempo i media greci tirano fuori una storia dietro l'altra sull'occupazione nazista della Grecia e sottolineano che la Germania è ancora in debito con il popolo ellenico e dovrebbe pagare un risarcimento economico. Diversamente da quanto si aspettavano molti politici e analisti, la crisi economica non ha risvegliato in Europa nessuno spirito di solidarietà. Anzi, è successo l'esatto contrario: la paura e la rabbia scatenatesi nei cittadini europei hanno partorito un sentimento di "rinazionalizzazione".

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Ed è l'Europa del sud, non quella centrale, il punto debole dell'economia comunitaria. Un anno fa si temeva che l'Europa centrale non avrebbe saputo affrontare la crisi in arrivo perché troppo viziata, politicamente instabile e con un'economia eccessivamente liberale. Oggi è evidente che le cose stavano e stanno diversamente. È l'Europa del sud – inconsistente, arretrata e lasciata troppo libera da Bruxelles – che non è in grado di rispondere alle sfide dell'emergenza economica. La differenza tra Ungheria e Grecia non sta nelle dimensioni dei problemi da affrontare, ma nella volontà politica dei governi di pagare il prezzo per uscire dal pantano. Al momento gli stati europei fuori dall'eurozona rispettano i criteri di Maastricht molto più di quelli che ne fanno parte. La Polonia è l'unica economia della Ue che non è stata colpita dalla recessione. Per dirla con le parole del primo ministro lituano, "fino a quando un paese non è membro della moneta unica i criteri di Maastricht bisogna applicarli seriamente. Ma una volta che sei dentro puoi fare praticamente quello che ti pare".

L'est paga con l'attesa

L'Europa centrale può vantarsi di aver superato il test della crisi (almeno finora) e di aver dimostrato di essere la zona europea più pronta ad affrontare i cambiamenti. Ciononostante ha molto da perdere se l'Ue fraintenderà le cause della crisi greca e si abbandonerà ai suoi peggiori istinti. Secondo la maggioranza degli economisti, essere fuori dall'eurozona è un problema quando l'euro è in salute, ma è ancora peggio quando la moneta unica è in crisi. Paesi come Bulgaria ed Estonia temono oggi che la "ricompensa" per aver rispettato i dettami di Maastricht sarà un altro lungo stallo nella sala d'attesa dell'Euro.

La loro preoccupazione è che Francia e Germania, spaventate dalla vulnerabilità dei "Piigs" (Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna), concentrino le forze per consolidare l'eurozona prima di allargarla. La crisi economica ha avuto effetti collaterali: oggi l'Ue è più divisa di quanto lo sia mai stata dall'inizio della guerra in Iraq. Fortunatamente, non è più una questione di "vecchia Europa" contro "nuova Europa", ma di stati dell'euro contro gli altri. Sfortunatamente, se date un'occhiata a una cartina geografica vedrete che l'eurozona coincide con la vecchia Europa e gli altri sono quasi tutti i paesi del club Yalta. (as)

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