Munizioni della seconda guerra mondiale vengono fatte brillare a Wist, Germania.

La guerra torna a galla

Dopo il 1945 gli alleati scaricarono in mare migliaia di tonnellate di armi chimiche. I fusti che le contengono potrebbero aprirsi da un momento all'altro, provocando una catastrofe ambientale.

Pubblicato il 16 Novembre 2011 alle 17:40
Munizioni della seconda guerra mondiale vengono fatte brillare a Wist, Germania.

Nessuno sa con esattezza quante armi chimiche si nascondano sotto i mari che circondano l’Europa. Soltanto nel Baltico, per esempio, gli Alleati scaricarono tutte le munizioni trovate negli arsenali tedeschi alla fine della Seconda guerra mondiale: si parla di almeno quarantamila tonnellate, tredicimila delle quali sarebbero sostanze tossiche. Basterebbe un sesto di questo materiale per spazzar via ogni forma di vita dal mar Baltico per quasi un secolo.

La prospettiva non è affatto rassicurante, tenuto conto che nei fusti gettati in acqua sono racchiusi iprite, cloropicrina, fosgene, difosgene e sostanze a base di arsenico che prima o poi fuoriusciranno dai contenitori divorati dalla ruggine. È impossibile sapere quando ciò accadrà, ma di sicuro accadrà. Dieci anni fa lo scienziato russo Alexandre Korotenko annunciò che la corrosione dei fusti sarebbe avvenuta tra il 2020 e il 2060 e a quel punto nulla avrebbe più trattenuto i veleni.

“Sì, è vero, ma è anche improbabile che tutti i fusti si aprano nello stesso momento”, sostiene Jacek Beldowski, che lavora presso l’Istituto oceanologico di Sopot, in Polonia, dove coordina il Chemsea (Chemical munitions search and assessment), un progetto internazionale avviato il mese scorso con il contributo di fondi europei. “I veleni usciranno, ma a contatto dell’acqua saranno meno tossici”, osserva. “Le armi chimiche, sparse su una superficie enorme, andranno incontro a condizioni ambientali molto diverse. In alcuni punti non entreranno in contatto con l’ossigeno e di conseguenza non si arrugginiranno”. Il problema, dunque, è soltanto l’incertezza: “Una cosa sola è certa: nei prossimi anni il Baltico subirà una nuova forma di inquinamento”.

I risultati delle ricerche sul mar Baltico offriranno anche informazioni preziose relative al mar del Nord, afferma Katja Broeg dell’istituto Alfred Wegener di Bremerhaven, in Germania, partner del progetto Chemsea. “Soprattutto per ciò che concerne i dati tossicologici. In quel mare raccogliamo pesci e molluschi in cerca di casi di tumore”. Le modalità di propagazione del veleno sono molto diverse nel mare del Nord rispetto al mar Baltico. Spiega infatti Broeg: “Il mar edel Nord è molto più salato e interessato a correnti molto più forti rispetto al Baltico”. Grazie a questo studio sarà possibile mettere a punto un manuale operativo per i pescatori.

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Che fare se si trova una granata da 150 mm in mezzo ai merluzzi? Come reagire se si tirano su contenitori di iprite? In realtà quest’ultima sostanza tossica non fuoriesce sotto forma gassosa, ma come una massa appiccicosa destinata ad andare alla deriva per anni nell’acqua salmastra. Negli anni cinquanta, poco tempo dopo lo scarico, tra i bagnanti della Germania est e della Polonia si verificarono casi di ustioni provocate dall’iprite. In Polonia si sono verificati 24 incidenti di questo tipo, l’ultimo dei quali nel 1997, quando i pescatori hanno per l’appunto tirato su tra le reti una grossa massa di iprite.

Il rischio maggiore è quello di un deterioramento dei fusti per cause meccaniche. Per questo si è deciso pressoché ovunque di non procedere alla rimozione dei fusti e delle munizioni. Ma eventuali opere logistiche potrebbero provocare una catastrofe: i media hanno più volte evocato questo pericolo a proposito di Nordstream, il gasdotto che collega Russia e Germania attraverso il Baltico. Secondo Beldowski il gasdotto è solo uno dei rischi. “Sempre più spesso si mettono sottosopra i fondali per progetti vari, dalla posa dei cavi sottomarini alla costruzione di parchi eolici. Occorre mettere a punto con urgenza modalità sicure di scavo, costruzione e trivellazione per le zone a rischio”.

Discariche marine

Secondo l’Ospar – una convenzione tra i paesi del mar del Nord – le armi chimiche sarebbero sul punto di arrugginirsi in 31 zone del mare del Nord e dell’Atlantico settentrionale. Inoltre in ben 120 località sarebbero state gettate in mare armi convenzionali contenenti metalli pesanti e altre sostanze pericolose, 64 delle quali al largo delle coste francesi.

Vicino alle isole Frisone sono state inabissate oltre 1,5 milioni di tonnellate di armi e munizioni, tra cui 90 di armi chimiche. Nello stretto di Skagerrak tra Danimarca e Norvegia gli Alleati colarono a picco almeno 45 navi imbottite di armi chimiche. Tra Irlanda e Scozia, per la precisione nella fossa di Beaufort, sono state inabissate munizioni e armi chimiche per oltre un milione di tonnellate.

Nel mar Baltico si conoscono due grandi discariche marine di sostanze tossiche: la zona circostante l’isola di Bornholm e il bacino di Gotland, situato tra l’isola svedese di Gotland e gli stati baltici. Nel Mediterraneo la più grande concentrazione di discariche marine si trova nei pressi della città di Bari: dalla Seconda guerra mondiale le scorie tossiche, soprattutto l’iprite, hanno provocato 232 incidenti.

Una delle più grandi discariche di armi chimiche nel mare del Nord si trova al largo delle coste del Belgio, non lontano dalla frontiera con i Paesi Bassi. Dopo la Prima guerra mondiale i campi di battaglia in Belgio furono bonificati. L’immagazzinamento e il trasporto del materiale bellico provocarono numerose vittime. Alla fine del 1919 Bruxelles decise quindi di inabissare tutto. Per sei mesi consecutivi ogni giorno si scaricò al largo di Knokke Heist. “Non sappiamo perché non le portarono più al largo. Sicuramente vollero sbarazzarsene nel minor tempo possibile, perché trasportarle era molto pericoloso”, spiega Tine Missiaen del centro di geologia marina Renard a Gand.

Ogni anno il banco di sabbia di Paardenmarkt è meticolosamente controllato. Lì si trovano almeno 35mila tonnellate di armi e munizioni, un terzo delle quali tossiche. In massima parte sono ricoperte da una spessa coltre di fanghiglia, ma nel 1972 alcune vennero a galla. In genere furono trovate in buono stato, perché erano rimaste in un ambiente privo o povero di ossigeno e la corrosione non era ancora iniziata. (traduzione di Anna Bissanti)

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