La paralisi dell’Unione

Mentre aumentano le sfide che la attendono, l'Europa ha ridotto i fondi per affrontarle. La mancanza di ambizione dimostrata all'ultimo Consiglio finirà per favorire i nostri concorrenti globali.

Pubblicato il 11 Febbraio 2013 alle 16:20

Ammettiamolo: il progetto di bilancio europeo appena approvato è ben misero. Il testo conferma una totale mancanza di ambizione e di visione economica a livello dei ventisette, proprio mentre siamo in aperta concorrenza con paesi-continente come Stati Uniti, Cina o India che hanno strategie finalizzate all’eccellenza in alcune filiere produttive e alla promozione di campioni che per conquistare il mondo possono fare affidamento sull’enorme base del loro mercato interno. Il progetto di bilancio europeo fa esattamente il contrario: i futuri progetti che sarebbero potuti servire da punto d’appoggio per una strategia industriale europea sono stati fatti a pezzi. Non rappresentano che una minima parte dei sussidi all’agricoltura e poco più di un decimo del bilancio generale.

Al contrario, abbiamo portato avanti pressoché immutata la politica del passato, senza interrogarci sulla sua pertinenza. Così nei prossimi sette anni continueremo a dedicare oltre un terzo degli stanziamenti agli aiuti ai paesi dell’Europa dell’est e del sud. Ma la Grecia ha davvero bisogno di altri finanziamenti per costruire strade e rotatorie? Le tensioni interne alla zona euro hanno dimostrato il flop delle politiche dei sussidi, al punto che questi ultimi non sono neppure subordinati a progressi verificabili e verificati in materia di governance, trasparenza e concorrenza.

La crisi, la trasformazione accelerata della sfera economica e la straordinaria evoluzione dei rapporti mondiali di forza avrebbero dovuto ispirare all’Europa almeno un sussulto: unione a fronte di un’America che si risolleva; unione a fronte di una Cina in espansione; unione in un mondo nel quale il capitale e i talenti sono sempre più mobili. A plasmare lo stato federale americano sono state la crisi e le terribili sfide degli anni trenta, quando il suo bilancio dal 3,4 per cento del pil nel 1930 passò al 10 per cento alla fine del decennio. La storia invece ricorderà che durante la crisi l’Europa ha compiuto il cammino inverso, riducendo il proprio bilancio all’1 per cento del pil. Sfide immense, ambizioni zero.

Da questo scempio è indispensabile trarre alcuni validi insegnamenti politici. Il dibattito sul bilancio è stato preso in ostaggio da un paese, il Regno Unito, che non è nemmeno sicuro che domani farà ancora parte dell’Unione. David Cameron vi ha partecipato per sabotare l’interesse comune europeo e c’è riuscito. Fatto salvo ogni altro diritto. In questo caso, allora, andiamo fino in fondo: essendo il club dei ventisette votato all’impotenza, le riflessioni strategiche devono svolgersi a livello di zona euro. Ma per riuscirci occorrerà ricomporre le relazioni con la Germania. Perché questo è l’altro utile insegnamento da trarre dal dramma in corso a Bruxelles: l’asse Parigi-Berlino non funziona più. Poniamoci quindi, almeno una volta, questa domanda: dall’ottica di Pechino o di Washington la paralisi europea è davvero una notizia così cattiva?

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