“Voglio un riferimento alla libertà di stampa, se no non firmo”. Ha fatto bene, il presidente del consiglio italiano Matteo Renzi a accordo sui rifugiati con il presidente Recep Tayyip Erdoğan. Peccato che sotto la pressione dei partiti populisti e xenofobi che dilagano in Europa, questo richiamo ai valori fondanti dell’Ue sarà ben presto dimenticato dai governi nazionali che cercano un’intesa con Ankara a tutti costi. Rimarrà un esercizio lodevole ma retorico. Perché invece di assumersi le loro responsabilità nell’accoglienza di chi fugge da conflitti e violenze, i vari capi di stato e di governo del continente si apprestano a subappaltare la questione alla Turchia, un paese dove le libertà civili, le opposizioni e le minoranze sono sempre più a rischio.
Da parte dei paesi europei non si tratta di realpolitik ma proprio di una mancanza politica oltre che morale. La realpolitik sarebbe considerare che l’arrivo di uno o due millioni di persone è senz’altro di difficile gestione, ma che, in un continente che conta più di 500 milioni di abitanti, si può trovare spazio per quello che corrisponde allo 0,2-0,4 per cento della popolazione totale. Come ha detto pochi mesi fa la cancelliera tedesca Angela Merkel, prima che la pressione politica in patria e la mancanza di solidarietà europea la inducessero a cambiare la sua posizione: “Wir Schaffen das” (ci riusciremo).
Non si tratta solo di proclamare in modo incantatorio che l’immigrazione è un dato positivo in un continente vecchio, in calo demografico e che tutti i dati dimostrano che i migranti, già sul medio termine, rappresentano un contributo più che un peso sui conti dei vari paesi. Si tratta di affrontare la realtà dei numeri e dei fatti. È ancor più grave che i governi europei (e non “l’Europa” come si semplifica alla nausea) pensino di salvarsi grazie a un paese che pesa meno del cinque per cento del suo Pil, circa un terzo della sola Italia.
In cambio della benevolenza di Erdoğan a tenersi i rifiugiati, i paesi europei sono pronti a concedere quasi tutto : sovvenzioni (minimo 3 milliardi di euro), soppressione dei visti per i cittadini turchi, rilancio del processo di adesione all’Unione e, sarà un fatto, minore attenzione verso le violenze contro la minoranza curda e le violazioni dei diritti democratici in Turchia.
Questo mercanteggiamento è assurdo almeno per tre motivi.
Il primo è probabilmente il più grave. Mina i fondamenti stessi della costruzione comunitaria, fondata sul ricordo dei totalitarismi. Per la prima volta dalla sua nascita, l’Unione europea si appresta a espellere verso la Turchia tutti i migranti arrivati in Grecia, anche quelli che avrebbero titolo per ottenere lo status di rifugiati.
Secondo, lo scambio parte dell’idea che è l’Europa che ha bisogno della Turchia mentre è vero il contrario. Con la guerra siriana alle sue porte, le minacce terroristiche sul suo territorio e le tensioni con la Russia, per l’Ue sarebbe il momento più opportuno per fare pressioni su Erdoğan per un maggiore rispetto dei diritti democratici.
Terzo, perché con questo accordo i governi europei sperano di placare le rispettive opinioni pubbliche e di far arretrare le forze xenofobe e populiste. Così si perde di vista il fatto che il male è molto più profondo. Basta vedere che i partiti e i movimenti nazionalisti crescono quasi dappertutto, anche nei paesi poco colpiti dall’arrivo di migranti. Per esempio, in Polonia i migranti rappresentano solo l’uno per cento della popolazione. Oppure, le recenti elezioni in Slovacchia sono state segnate da discorsi razzisti e contro i profughi, ma nel 2015 Bratislava ha concesso solo otto richieste d’asilo.
In realtà il male dell’Europa sta prima di tutto nella crisi di fiducia verso la politica. I cittadini pensano che i loro leader non siano capaci di governare la globalizzazione, la rivoluzione tecnologica, che scombussola i rapporti sociali e di lavoro, e i cambiamenti degli equilibri mondiali di cui i flussi migratori sono la dimostrazione concreta e quotidiana. Questo fatto che crea angoscia e che alimenta le formazioni estreme. Per questo è un controsenso affidarsi a un paese come la Turchia per risolvere la questione dei migranti. Alimenta la mancanza di sicurezza nei propri mezzi e nella capacità a rispondere alle sfide (sopratutto se Erdoğan non rispetterà il blocco promesso delle partenze) e alla fine non potrà che aumentare ulterioremente i dubbi dei cittadini europei.
In un mondo dove l’élite europea fosse ancora capace di fare politica, piuttosto che andare in ginocchio ad Ankara, i governi nazionali dovrebbero aumentare in modo massiccio i loro contributi all’Ue, per sollevare i territori di frontiera (Italia e Grecia in testa) dalle funzioni di controllo e di accoglienza dei migranti e finanziare le regioni che accettano (con un ritorno economico significativo) di farsi carico dei rifiugiati. Che poi è quello che si fa, normalmente, in ogni nazione.
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