Attualità Bosnia-Erzegovina

La questione etnica arriva al Parlamento europeo

Le tensioni tra Zagabria e Sarajevo su una possibile terza entità federata per i croati di Bosnia si riflettono sulle posizioni assunte dai gruppi politici dell’europarlamento sui progressi della Bosnia Erzegovina sulla via dell’adesione all’Unione europea.

Pubblicato il 7 Marzo 2017 alle 09:51

Il punto sull’integrazione europea della Bosnia Erzegovina, ma anche una dimostrazione delle spaccature politiche e nazionali dentro il Parlamento europeo sul tema dell’allargamento dell’UE. E soprattutto, uno squarcio sulle tensioni politiche nella regione post-jugoslava. Sono questi i molteplici esiti della risoluzione approvata dall’emiciclo di Strasburgo lo scorso 15 febbraio, che riguardava il “progress report” sulla Bosnia Erzegovina, pubblicato il novembre scorso.
Quest’ultimo è un rapporto annuale, pubblicato dalla Commissione europea, che analizza il contesto politico economico del paese e il progresso negli standard di integrazione UE. Negli anni scorsi la risoluzione del Parlamento europeo sulla Bosnia Erzegovina era stato un evento poco più che procedurale. Quest’anno ha invece generato diverse polemiche in sede comunitaria e lungo la linea Zagabria-Sarajevo.

Il federalismo conteso

Il cuore delle controversie risiede nelle parole di “federalismo e decentramento”. Sono i principi che la risoluzione del Parlamento enuncia, nell’articolo 4, come necessari per rendere lo stato bosniaco effettivo e funzionale. Questa formula è stata inserita per l’insistenza degli eurodeputati della Croazia, in particolare quelli appartenenti all’HDZ, partito di centrodestra al potere a Zagabria e membro del Partito Popolare Europeo (PPE), che detiene la maggioranza a Strasburgo.
Nel particolare contesto della Bosnia Erzegovina, uno stato de facto già federale e ampiamente decentrato, l’interpretazione di questi principi è controversa. Secondo alcuni analisti, questa formula aprirebbe la strada a un’ulteriore frammentazione in chiave etnica nell’amministrazione, nell’educazione e nel sistema elettorale (“dalla federalizzazione alla feudalizzazione”, commenta Mladen Bošnjak su RSE). Potrebbe persino creare le basi per la cosiddetta “terza entità”, un’unità amministrativa a maggioranza croata che si affiancherebbe alle due già esistenti nel paese (la Federazione di BiH, da cui la terza entità di fatto farebbe secessione, e la Republika Srpska). La terza entità è da anni evocata, seppure in modo non del tutto chiaro ed esplicito, dalla filiale bosniaca dell’HDZ (HDZ BiH). Quest’ultimo denuncia infatti una presunta sottorappresentazione dei croati nelle istituzioni e chiede una revisione del sistema elettorale che rafforzi l’omogeneità etnica, soprattutto per quanto riguarda l’esponente croato della presidenza collettiva del paese.
L’attivismo degli europarlamentari croati non è nuovo: le risoluzioni di Strasburgo del 2015 e 2016 già contenevano riferimenti al “federalismo e decentramento”. Tuttavia si è manifestato con particolare insistenza e questo, secondo alcuni osservatori, corrisponde alla linea più aggressiva che il governo di Zagabria starebbe mantenendo nei suoi recenti rapporti con Sarajevo. Oltre all’interventismo nei rapporti Bosnia-UE, l’irrigidimento è dimostrato anche dalle tensioni diplomatiche tra i due paesi nate, nel novembre 2016, dall’arresto di dieci ufficiali croato-bosniaci per crimini di guerra. Questa dinamica può apparire paradossale, se si pensa che solo un mese prima, nell’ottobre 2016, in Croazia si era insediato un nuovo esecutivo a guida HDZ, apparentemente su linee più moderate di quello precedente. Le prime concilianti dichiarazioni del nuovo premier Andrej Plenković indicavano l’avvicinamento di Sarajevo all’UE come “la principale priorità del governo croato”, generando aspettative che sono rimaste incompiute.

Fratture (etno-)politiche

Fratture politiche e nazionali sono emerse nel dibattito in plenaria a Strasburgo. L’eurodeputata dell’HDZ Dubravka Suica ha messo in risalto “i diritti del popolo croato, il suo diritto alla lingua, a un canale TV e ai diritti che gli corrispondono, secondo l’accordo di Dayton e le leggi vigenti”, auspicando inoltre la revisione della legge elettorale. Più enfatica è stata la compagna di partito Marijana Petir, secondo cui in Bosnia “i diritti fondamentali, civili e umani, dei croati sono quotidianamente violati. Sono un popolo costitutivo solo sulla carta”.
Ma l’HDZ non sembra essere riuscito a portare l’intero PPE sulle proprie posizioni. È quanto si evince dall’intervento di Eduard Kukan, dei popolari sloveni, implicitamente polemico verso i suoi compagni croati e il loro “crescente interesse” per il decentramento: “Vorrei sapere cosa significa esattamente ‘federalismo’. Mi spiace, ma suona come la creazione di nuove entità in un sistema che è già troppo complicato”.
È emerso un testo finale di compromesso, in alcuni passi potenzialmente contraddittorio, che auspica la rappresentanza di “cittadini” e “popoli costituenti” al tempo stesso (dunque coniugando criteri di rappresentanza civica ed etnica); che mantiene i principi di federalismo e decentramento statale ma lamenta l’eccessiva frammentazione amministrativa; che auspica stabilità e cambiamenti non divisivi, ma anche la riforma elettorale, così come rivendicava l’HDZ; che attacca apertamente la pratica, definita “segregazionista”, delle Due scuole sotto lo stesso tetto, ma afferma anche il diritto all’educazione “in tutte le lingue ufficiali della Bosnia Erzegovina” che di fatto conserverebbe la differenziazione scolastica.
La risoluzione finale, redatta dall’esponente dei popolari romeni Cristian Dan Preda, è passata così con 496 voti a favore, 132 contrari e 67 astenuti. Determinante il sostegno dei gruppi parlamentari più grandi (popolari, social-democratici, liberali), mentre il gruppo di sinistra (GUE) si è astenuto. Hanno invece votato contro, e per ragioni del tutto contrapposte, il gruppo dei Verdi e quello dell’estrema destra lepenista (ENF). I Verdi chiedevano un rafforzamento degli elementi civici per “una revisione delle attuali gabbie etniche”, come ha spiegato a OBC Transeuropa il senior advisor del gruppo Paolo Bergamaschi. “Il concetto di federalismo è stato usato fuori luogo per dare una spinta più forte verso la terza entità”, sostiene Bergamaschi.
L’estrema destra, al contrario, ha lamentato la “politica unificatrice” dell’UE, che minaccerebbe le differenze nazionali. È degno di nota che gli eurodeputati del Front National francese Ferrand e Bilde sono intervenuti platealmente in appoggio del governo della Republika Srpska, sostenendo che “i serbi sono il popolo più minacciato”, che “il problema in Bosnia è l’Islam radicale sviluppato dall’entità musulmana” e, in un crescendo di implausibilità storica, che “l’errore originario fu la creazione di un’entità musulmana nel 1974 da parte di Tito”. Si tratta un’altra prova della sinergia tra Front National e i nazionalisti serbo-bosniaci guidati da Milorad Dodik.

Le reazioni in Bosnia Erzegovina

In Bosnia Erzegovina, la risoluzione ha suscitato reazioni critiche tra i partiti che tradizionalmente si oppongono a un ulteriore decentramento, ovvero i partiti nazionalisti musulmani e in quelli civici non-nazionalisti. Tra i primi, l’SDA si è dedicato ad un intenso contro-lobbying. Alla vigilia del voto sulla risoluzione, il presidente Bakir Izetbegović è volato a Strasburgo per incontrare i rappresentanti del PPE (di cui l’SDA è membro osservatore) e convincerli a distanziarsi dalle posizioni dell’HDZ.
Più veementi le reazioni dei partiti civici. L’Alleanza Civica (GS) ha attaccato gli eurodeputati croati di area progressista che si sono, per sorpresa di alcuni, allineati alle posizioni storiche della destra. “Siete più vicini all’HDZ, che promuove una politica neo-ustaša, che agli altri socialdemocratici europei. Avete ridotto il vostro impegno nel Parlamento europeo alla realizzazione degli obiettivi di Tuđman. Molto socialdemocratico!”, è il tweet infuocato che il leader del GS Reuf Bajrović ha inviato all’eurodeputato socialista croato Tonino Picula. I socialdemocratici bosniaci (SDPBiH), invece, hanno portato la discussione dentro il Parlamento della Federazione di BiH. L’SDP ha chiesto esplicitamente di condannare la federalizzazione e le conseguenti “tendenze separatistiche”, ingaggiando un duro scontro verbale con la sezione bosniaca dell’HDZ.
L’elemento più preoccupante di questa vicenda è il quadro dei rapporti regionali. Le relazioni Zagabria-Sarajevo si stanno inasprendo, non solo a livello di istituzioni, ma anche di forze politiche, di organi di stampa e percezioni delle rispettive opinioni pubbliche. In uno scenario post-jugoslavo già marcato da altre significative crisi bilaterali, è bene tenerne conto.

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Questa pubblicazione è stata prodotta nell'ambito del progetto Il parlamento dei diritti, cofinanziato dall'Unione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa e VoxEurop e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea.

Parlamento europeo

Che cosa è il Progress report

Il progress report è un documento annuale sulla situazione politico-economica e sullo stato di avanzamento di ciascuno dei paesi candidati, o potenziali tali, nell’accesso all’Unione Europea. Il rapporto è pubblicato dalla Commissione europea, di norma a ottobre-novembre, e successivamente portato a discussione nel Parlamento europeo. Quest’ultimo, nei primi mesi dell’anno, elabora e adotta una risoluzione, non vincolante e priva di effetti pratici. Il Parlamento, infatti, ha poteri molto limitati in materia di politica estera, con un ruolo consultivo. Tuttavia la posizione del Parlamento può marcare una certa influenza sui processi di integrazione, oltre ad essere rivelatore degli orientamenti delle famiglie politiche europee rispetto alla politica di allargamento, e dei loro rapporti con le forze politiche dei paesi coinvolti.

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