Manifestazione contro il governo comunista a Chisinau, 8 aprile 2009.

La rivoluzione tradita

A due anni dalle proteste che hanno portato alla caduta del governo comunista, i responsabili della repressione non sono ancora stati individuati e il paese è bloccato in un'impasse apparentemente insolubile.

Pubblicato il 29 Marzo 2011 alle 14:52
Manifestazione contro il governo comunista a Chisinau, 8 aprile 2009.

Gli eventi del 7 aprile 2009 a Chisinau sono stati definiti la "rivoluzione Twitter". Non si sa come sia nata questa etichetta, né da dove sia venuta, perché Twitter è solo un sito dove si scambiano messaggi di poche parole. Gli avvenimenti di Chisinau non si sono svolti nello spazio virtuale di internet, ma in un mondo estremamente reale.

I giovani picchiati, la gente arrestata per strada e imprigionata senza motivo, le persone malmenate durante i fermi di polizia, tutto è stato terribilmente reale, compresi i morti. E nulla di tutto ciò ha un rapporto con Twitter. Digitate www.twitter.com e difficilmente scorgerete una rivoluzione.

Twitter è stato utilizzato come mezzo di comunicazione durante gli eventi del 2009, così come gli sms e i cellulari, e a Chisinau ci sono più telefoni portatili che connessioni internet. Ma quegli eventi non sono stati chiamati "la rivoluzione sms". La definizione "rivoluzione Twitter" è quanto meno umiliante per chi ha subito gli abusi delle forze dell'ordine. La rivoluzione è stata fatta da individui, non dai mezzi di comunicazione.

E neanche la repressione successiva è stata virtuale. Le manifestazioni di piazza, le violenze e gli incendi sono stati organizzate da individui in carne e ossa, così come la repressione è stata pianificata, ordinata e applicata da altre persone. Ma curiosamente si conoscono solo i nomi di chi ha subito e non quelli dei responsabili. Sconosciuti scesi in piazza e arrestati sono improvvisamente diventati noti.

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Si sa chi è stato picchiato - abbiamo gli elenchi completi - ma non chi lo ha fatto: si parla di funzionari, poliziotti, giudici, procuratori e politici, ma la loro identità - in teoria nota - è rimasta nell'ombra. Si sospetta, si ipotizza, è anche stata istituita una commissione parlamentare, ma nulla è stato messo nero su bianco.

Nel corso del 2009, e via via sempre meno nel 2010, si sentivano politici che denunciavano gli abusi e le torture che si erano moltiplicate dopo il 7 aprile 2009. Una delle promesse elettorali più diffuse era proprio l'identificazione dei responsabili e la loro condanna. Si mostravano immagini di corpi deformati dai colpi, i giornali facevano a gara per raccogliere le testimonianze delle vittime, i partiti promettevano giustizia. La "rivoluzione Twitter" sarebbe finalmente uscita dalla sua fase virtuale per entrare in quella delle conseguenze penali. La gente è andata a votare fiduciosa, convinta che queste promesse sarebbero state mantenute.

Purtroppo non è stato così. Un proverbio afferma che il pesce comincia a puzzare dalla testa, ma è dalla coda che bisogna cominciare a pulirlo. L'inchiesta avrebbe dovuto essere semplice: partendo dalle immagini di poliziotti sorpresi a picchiare i manifestanti si sarebbe potuto risalire a chi aveva dato gli ordini. Ma l'inchiesta non è andata avanti. Insomma, la rivoluzione è stata reale, ma la verità sulla repressione è rimasta virtuale. (traduzione di Andrea De Ritis)

Contesto

Stallo senza uscita

Dopo la rivoluzione del 2009 il parlamento moldavo non è riuscito a eleggere un presidente, perché l'Alleanza per l'integrazione europea (Aie) non dispone di un numero sufficiente di voti e l'opposizione comunista rifiuta qualunque compromesso. Nel frattempo il referendum sulle elezioni presidenziali a suffragio universale del settembre 2010 non ha raggiunto il quorum. Questo stallo impedisce ogni avvicinamento fra Chisinau e l'Unione europea.

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