Analisi Carenza di manodopera

Grandi dimissioni o turnover? Lavorare meglio in Europa, dopo il Covid

In tutta Europa i datori di lavoro sono alla disperata ricerca di personale. È il paradosso della situazione attuale del mercato: il rapporto di forza non è mai stato così favorevole per i lavoratori, che pagano comunque care le conseguenze dell’inflazione.

Pubblicato il 5 Luglio 2023 alle 10:47

Nella zona euro, il tasso di posti vacanti tocca il suo massimo: secondo i dati Eurostat, nel terzo trimestre del 2022, il 3,1 per cento dei posti di lavoro retribuiti non erano occupati, contro il 2,6 per cento dell’anno precedente e il 2,2 per cento prima della crisi del Covid, alla fine del 2019. “A riprova delle tensioni nel mercato del lavoro, il dibattito sulla carenza di manodopera ha sostituito quello sull’alto tasso di disoccupazione”, osserva il ricercatore belga Wouter Zwysen dello European Trade Union Institute (Etui). 

Il mercato del lavoro è particolarmente teso in Austria, Belgio, Paesi Bassi e Germania. Nei Paesi Bassi si contano attualmente 123 posti vacanti ogni 100 disoccupati, 15 volte più che in Francia. “Le imprese faticano a trovare lavoratori”, conferma Pieter Gautier, ricercatore alla Vrije Universiteit di Amsterdam: “Capisco il problema, ma è anche vero che i salari offerti sono troppo bassi. Se i datori di lavoro fossero disposti ad aumentare i salari, troverebbero candidati”. 

In media i salari sono decisamente aumentati, ma meno rapidamente rispetto all’inflazione,  il che significa  gli stipendi più bassi in termini reali. Risultato: un paese solitamente incline alla negoziazione e al compromesso è stato teatro di molti scioperi. In alcuni settori è stato necessario concedere aumenti salariali più consistenti : più 10 per cento nel settore dell’edilizia e dei lavori pubblici e in quello delle ferrovie, e perfino più 40 per cento nel settore della sicurezza. Allo stesso tempo, i datori di lavoro hanno fatto ricorso alla manodopera immigrata, con i Paesi Bassi che hanno registrato un tasso di migrazione netta da record nel 2022 (più 277mila persone). Ma anche questo non basta a soddisfare la domanda.

In Germania l’indice che misura la carenza di manodopera ha ugualmente raggiunto il suo massimo. “A causa delle tendenze demografiche , la richiesta di lavoratori è più elevata”, spiega l’economista Gustav Horn, consigliere economico del Partito socialdemocratico (SPD). “Numerosi lavoratori della cosiddetta ‘economia fondamentale’, in particolare quelli del settore della sanità, si sono licenziati e sono andati a lavorare nel privato. Nel settore della ristorazione, molte persone si sono licenziate durante e dopo la pandemia per andare a lavorare nella vendita al dettaglio. Alcuni hotel hanno perso fino al 50 per cento del personale”. Nonostante anche in Germania le tendenze migratorie siano in crescita, mancano ogni anno 400mila persone in età lavorativa.

In Slovenia, il tasso di posti vacanti ha battuto il record nel secondo trimestre del 2022. Ciò interessa soprattutto le industrie della trasformazione, della costruzione, dell’istruzione e i servizi sanitari ma, in generale, ben 99 professioni hanno fatto fronte a una carenza di manodopera nel 2022.

Lo stesso vale per l’Italia, dove le imprese, a gennaio, cercavano oltre mezzo milione di lavoratori e la percentuale di datori di lavoro che hanno dichiarato di aver riscontrato difficoltà in termini di assunzioni è salita dal 38,6 per cento del gennaio 2022 al 45,6 per cento quest’anno. Il dato arriva fino al 55,8 per cento per chi intende assumere operai specializzati, al 47,8 per cento per i conduttori di impianti e gli operai addetti a macchinari fissi e mobili, al 47,4 per cento per le professioni tecniche e al 47,2 per cento per i quadri e le professioni intellettuali e scientifiche.

Anche la Francia non fa eccezione: a luglio 2022, la percentuale di imprese che hanno segnalato difficoltà nell’assunzione del personale si è attestata al 67 per cento, un livello mai raggiunto dal 1991, mentre la media pluriennale relativa allo stesso indicatore è pari al 31 per cento, secondo quanto riportato dall'Istituto nazionale di statistica.

Questa carenza di manodopera senza precedenti è all’origine di un aumento vertiginoso di dimissioni in diversi paesi. Ad esempio, in Francia, il numero di dimissioni ha raggiunto un massimo storico tra la fine del 2021 e l’inizio del 2022, registrandone quasi 520 mila a trimestre, di cui circa 470mila dimissioni da contratti a tempo indeterminato. Infatti, il tasso di dimissioni calcolato in base al numero di dipendenti si è attestato al 2,7 per cento nel primo trimestre del 2022. Una percentuale molto simile a quella registrata negli Stati Uniti, dove l’espressione “grandi dimissioni” si è ampiamente diffusa. Oltreoceano, questo tasso ha raggiunto un picco del 3 per cento a dicembre 2021.

In Italia, sono state registrate oltre 1,6 milioni di dimissioni nei primi 9 mesi del 2022, ovvero il 22 per cento in più rispetto allo stesso periodo nel 2021. In Spagna, dove la disoccupazione si attesta al 12,5 per cento, si sta verificando un fenomeno simile, anche se di minore portata: più di 70mila persone hanno lasciato volontariamente il lavoro nel 2022, un record che non si registrava dal 2001, da quando è stata pubblicata questa serie statistica.


Il meglio del giornalismo europeo, ogni giovedì, nella tua casella di posta

È difficile sapere se il fenomeno sia esteso a livello europeo poiché non esistono statistiche aggregate precise al riguardo. In effetti, si sa che 3,5 milioni di cittadini europei hanno lasciato il lavoro nel terzo trimestre del 2022, di cui 545.400 in seguito a dimissioni o al fallimento della loro impresa. Tuttavia, non si conoscono i dettagli sulla ripartizione tra i due fattori in questione ed è noto soltanto che, in questa situazione, i lavoratori erano più numerosi rispetto all’anno precedente (+23.100).

Più che alle “grandi dimissioni” come quelle del mondo anglosassone, in Europa stiamo assistendo a un “grande turnover” della manodopera. Negli Stati Uniti, questo fenomeno si è manifestato con una diminuzione della popolazione attiva: molti statunitensi si sono ritirati dal mercato del lavoro, in particolare le donne che, dopo il confinamento, non avevano altre alternative se non rimanere a casa con i figli. Negli Usa, dunque, il tasso di attività delle donne di età superiore ai 20 anni non ha ancora raggiunto il livello pre-pandemia (58,3 per cento a gennaio 2023 contro 59,2 per cento a gennaio 2020). In Europa, invece, il tasso di attività è superiore di 1,6 punti rispetto al livello registrato prima della comparsa del coronavirus e per quanto riguarda le donne, è aumentato ancora di più (+1,8 punti): è il turnover ad aver accelerato. 

Infatti, se gli europei non si fanno più alcun problema a dare le dimissioni non è perché rifiutano il lavoro di per sé, ma piuttosto perché non sono più disposti a lavorare a qualsiasi condizione.

In un contesto economico favorevole, gli europei possono finalmente permettersi di fare i difficili: i ruoli all’interno del rapporto di forza si sono invertiti. L’elevato numero di dimissioni “riflette il dinamismo del mercato del lavoro e una situazione in cui il potere di negoziazione si trasforma a favore dei dipendenti”, riporta la nota del Ministero del lavoro francese. 

A rigor di logica, questa situazione vantaggiosa per i dipendenti dovrebbe portare ad un aumento delle rivendicazioni salariali e infatti si constata proprio questo: stando alle previsioni della Banca centrale europea (BCE) pubblicate nel dicembre 2022, nella zona euro i salari avrebbero dovuto aumentare del 4,5 per cento nel 2022 e del 5,2 per cento nel 2023. Si tratta di un aumento considerevole, ma comunque ben al di sotto dell’inflazione. Nel 2022, i prezzi sono saliti in media dell’8,4 per cento e, sempre secondo la BCE, continueranno ad impennarsi fino al 6,3 per cento nel 2023. Il risultato? Il salario reale degli europei diminuirà.

Lo dimostra l’evoluzione del salario minimo, il cui aumento, concesso in molti paesi europei, è stato compromesso dall’inflazione, come sottolineato lo scorso giugno in una nota dell’Eurofound, un’agenzia dell’Unione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro. In 15 dei 21 paesi dell’Europa che ne hanno adottato uno, il salario minimo è diminuito in termini reali, ossia una volta considerati gli effetti dell’aumento dei prezzi, tra il 1° gennaio 2021 e il 1° gennaio 2022.

Anche l’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) ha reso note le sue preoccupazioni riguardo a questa situazione. Nel suo ultimo rapporto mondiale sui salari, osserva che, nell’Ue, i salari reali hanno subito un calo del 2,4 per cento tra i primi due trimestri del 2021 e del 2022. L’OIL evidenzia inoltre che, dietro le statistiche, sono i lavoratori meno retribuiti ad aver pagato il prezzo più alto a causa dell’inflazione.


L’OIL evidenzia inoltre che, dietro le statistiche, sono i lavoratori meno retribuiti ad aver pagato il prezzo più alto a causa dell’inflazione


“Di solito, quando gli imprenditori hanno più difficoltà ad assumere personale, cercano di compensare aumentando la produttività, e questo comporta anche l’aumento del salario reale”, spiega l’economista francese Eric Heyer. “Oggi, si verifica l’opposto: le difficoltà nell’assunzione di personale si traducono in cali della produttività e in diminuzioni del salario reale. È molto strano. Probabilmente è dovuto al fatto che stiamo attraversando un periodo di inflazione molto elevato”. L’economista aggiunge: “Questo vorrebbe dire che il rapporto di forza a favore dei dipendenti non si concretizza in un aumento del salario reale, bensì in un maggior numero di posti di lavoro di qualità. È come se i dipendenti stessero negoziando migliori condizioni di lavoro invece di un aumento salariale”. 

Di fatto, nell’Unione europea, la parte dei posti di lavoro con contratto a tempo determinato è diminuita di 1,8 punti tra il terzo trimestre del 2018 e quello del 2022, passando dal 15,9 per cento al 14,1 per cento. È un calo che si può osservare nella maggior parte dei paesi, con l’eccezione dei Paesi Bassi, e che è molto accentuato in Polonia, Portogallo e Spagna.

“In Europa non ci sono state le grandi dimissioni, come negli Stati Uniti, però si è osservato un fenomeno di fuga da posti di lavoro di bassa qualità”, osserva il ricercatore belga Wouter Zwysen. “Il boom di posti di lavoro vacanti si spiega con il fatto che le persone hanno più opzioni, dovute a una sorta di rivalutazione delle loro priorità, al significato che attribuiscono al loro lavoro, ma anche da un rifiuto dei lavori in cui devono stare a contatto con il pubblico, considerati meno sicuri in seguito al Covid-19”.

I posti di lavoro nei quali è più difficile trovare personale sono quelli che implicano sforzi o fastidi fisici per i dipendenti, come il trasporto di carichi pesanti, il rumore o l’uso di prodotti chimici, ma anche vincoli temporali, come il lavoro notturno o orari atipici. Inoltre, i datori di lavoro i cui dipendenti vedono le proprie condizioni di salute declinarsi con il tempo faticano ad assumere nuovi dipendenti, nonché a fidelizzarne nuovi.

La ripresa post Covid-19 ha va nel senso di questa analisi: “Nei Paesi Bassi, il 14 per cento dei lavoratori ha cambiato lavoro dopo la crisi sanitaria, spiega Pieter Gautier: “Ad esempio, i dipendenti aeroportuali che si occupavano di caricare i bagagli, non adeguatamente retribuiti, si sono licenziati e hanno trovato lavoro altrove. Questa è veramente una buona notizia: prima del Covid-19 le persone non avevano alcun potere, ma le cose stanno  cambiando. Dinanzi alle enormi file di attesa di passeggeri da gestire negli aeroporti, i datori di lavoro stanno lentamente iniziando a capire che non possono continuare a non retribuire adeguatamente questi lavoratori”.

Un altro esempio: in Germania, si osserva un calo significativo dei cosiddetti “mini-job”, ovvero lavori precari che si sono diffusi negli anni 2000 e che sono particolarmente rappresentativi della strategia di aumento della competitività attraverso la riduzione del costo del lavoro tedesco. Più in generale, in Europa la struttura degli impieghi ha subito un cambiamento a causa della pandemia, come ha evidenziato un rapporto di Eurofound. Tra la fine del 2019 e la fine del 2021, la creazione di posti di lavoro è stata particolarmente dinamica nei lavori meglio retribuiti: 2,5 milioni di posti di lavoro in più tra il 20 per cento degli impieghi meglio remunerati.

Al contrario, non è stata registrata nessuna ripresa nei posti di lavoro a bassa retribuzione: nel periodo in esame sono stati persi più di 3 milioni di posti di lavoro tra il 20 per cento di quelli peggio retribuiti. È come se la qualità dell’occupazione fosse stata “aggiornata”, o migliorata, e avessimo assistito a una riallocazione della manodopera dai settori a bassa retribuzione a quelli a più alta retribuzione. “Questa situazione è ben diversa dalla polarizzazione dell’occupazione verificatasi durante l’ultima crisi economica di gravità comparabile, ovvero la grande recessione del 2007-2009”, commenta il rapporto. “La buona notizia è che alla base della scala sociale la situazione dei lavoratori sta cominciando a migliorare, perché la forza lavoro nei loro settori è sempre più scarsa”, afferma compiaciuto Pieter Gautier.

Nonostante la tendenza vada nella giusta direzione, c’è ancora molta strada da fare prima che il problema della precarietà e dei lavori sottopagati venga risolto. Per il momento, l’inflazione sta cancellando gli aumenti dei salari ottenuti dai lavoratori, mentre la quota di posti di lavoro a tempo determinato rimane elevata in diversi paesi, tra cui Paesi Bassi, Spagna, Italia, Francia, Portogallo e Svezia. 

“La vera sfida è proprio quella di migliorare la qualità dell’occupazione”, commenta Eric Heyer. “Dopotutto, è abbastanza semplice raggiungere la piena occupazione. Semplificando molto il discorso, basta creare posti di lavoro part-time. La Germania ha raggiunto la piena occupazione al prezzo di un considerevole aumento del tasso di povertà. Con piena occupazione di qualità si intende una piena occupazione con contratti di lavoro a tempo indeterminato e a tempo pieno, e ciò significa non lasciare nessuno in mezzo alla strada, né i giovani senza qualifiche, né chi si avvicina alla fine della carriera”.

Non è detto, tuttavia, che tutti i capi di Stato condividano questa preoccupazione. Piuttosto che accompagnare la tendenza verso una piena occupazione di qualità, alcuni governi preferiscono spostare il rapporto di forza a favore dei datori di lavoro. È il caso in particolare della Francia, dove le regole sulla gestione degli aiuti alla disoccupazione sono state modificate due volte in tre anni a scapito dei disoccupati, obbligandoli così a essere meno selettivi riguardo alle offerte di lavoro che sono disposti ad accettare. 

È il caso anche dell’Italia, dove lo scorso dicembre il governo di Giorgia Meloni ha reso più difficili le condizioni per poter ottenere il reddito di cittadinanza introdotto nel 2019. Il famoso “mondo post-crisi pandemica” di cui si sente tanto parlare non arriverà a breve: per quanto riguarda le politiche del lavoro, la rivoluzione dovrà attendere.

Traduzione dal francese eseguita da Valentina Aiello, Francesca Curzola, Maria Rosa Della Ragione, Giulia Gadoni, Aurora Lanaro, Diana Marques Silva, Cloé Mini, Giada Monaco, Aintevy Nadarajah, Valeria Qualatrucci, Gaia Salvadori, Desirèe Vicari della Facoltà di traduzione e interpretariato dell'Università di Ginevra.
👉 L'articolo originale su Alternatives Economiques
In collaborazione con European Data Journalism Network

Ti è piaciuto questo articolo? Noi siamo molto felici. È a disposizione di tutti i nostri lettori, poiché riteniamo che il diritto a un’informazione libera e indipendente sia essenziale per la democrazia. Tuttavia, questo diritto non è garantito per sempre e l’indipendenza ha il suo prezzo. Abbiamo bisogno del tuo supporto per continuare a pubblicare le nostre notizie indipendenti e multilingue per tutti gli europei. Scopri le nostre offerte di abbonamento e i loro vantaggi esclusivi e diventa subito membro della nostra community!

Sei un media, un'azienda o un'organizzazione? Dai un'occhiata ai nostri servizi di traduzione ed editoriale multilingue.

Sostieni un giornalismo che non si ferma ai confini

Approfitta delle offerte di abbonamento oppure dai un contributo libero per rafforzare la nostra indipendenza

Sullo stesso argomento