Secondo Katarína Sabová, studentessa slovacca di Relazioni internazionali all’Università Charles di Praga, è alquanto ridicolo per uno slovacco sentire un ceco dire “vado in montagna”, o esclamare – ogni poche frasi, come intercalare – la parola “vole” (puttana). Stando a quanto afferma, però, è anche molto triste constatare che dallo scioglimento della Federazione i cechi hanno smesso di provare interesse per la loro nazione gemella. Ancora oggi, infatti, molti di loro considerano la Slovacchia come una sorellina un po’ ritardata. Dall’ultimo censimento risulta che nella Repubblica Ceca vivono 193.000 slovacchi, che costituiscono la più grande minoranza straniera del Paese. I cechi, dal canto loro, occupano in Slovacchia soltanto la terza posizione tra le minoranze, dopo ungheresi e rom. E contrariamente alla minoranza slovacca presente nella Repubblica Ceca, il loro numero si riduce sempre più.
Mentre la maggior parte dei cechi che vivono in Slovacchia continua a usare la propria lingua madre, pur essendosi trasferita da svariati decenni, molti degli slovacchi che abitano in Repubblica Ceca sono perfettamente padroni della lingua locale, ivi compresa la lettera ‘ř‘, dalla pronuncia pressoché impossibile.
La Cecoslovacchia, intesa come Stato, è ormai relegata nel regno della Storia, ma l’idea di fondo della Cecoslovacchia – intesa come un territorio situato nel cuore dell’Europa, intersezione di un fitto scambio di legami culturali, familiari ed economici – è sempre viva e vegeta.
La Slovacchia sicura di sé in economia
Nei giornali di 17 anni fa le notizie sulle relazioni ceco-slovacche avevano contenuti e toni decisamente più drammatici. Nell’estate 1992 la Federazione scomparve. La mattina del 17 luglio, davanti al palazzo del Consiglio nazionale slovacco, il Parlamento, si radunò una folla di un centinaio di persone che sbandierò drappi e insegne slovacche sulle quali si poteva leggere: «Viva la Slovacchia! Viva Mečiar!» [Vladimir, ex Primo ministro slovacco].
"Sotto il governo di Mečiar, abbiamo sprecato cinque anni: ci siamo battuti per mantenere un regime liberal-democratico e il cambiamento è arrivato soltanto in seguito" afferma il Direttore dell’Istituto per gli Affari pubblici, Grigorij Mesežnikov. Le riforme varate dal governo dell’ex Primo ministro, Mikuláš Dzurinda, hanno consentito di consolidare una forte crescita economica, dalla quale ha tratto beneficio soprattutto la classe medio-alta.
Accanto alle fabbriche risalenti al Comunismo e al periodo di industrializzazione della Slovacchia si trovano ormai tracce evidenti di una nuova forma di capitalismo moderno, con i suoi centri d’affari, i suoi centri commerciali, i parchi a tema e le sue zone industriali.
La pulitissima capitale Bratislava è il simbolo stesso di questa nuova fiducia che la Slovacchia nutre nelle proprie possibilità e che è riuscita a conquistarsi a livello economico. In alto, sovrastanti i centri storici completamente rimodernati, si elevano grattacieli che lasciano sconcertati e stupiti quanti ricordano la Bratislava dell’epoca comunista come una cupa cittadina di provincia.
Cechi avanti nella cultura
L’economista Pavol Kárász, membro dell’Accademia slovacca delle scienze, un tempo era contrario alla divisione del mercato cecoslovacco, che contava quindici milioni di consumatori. Oggi, invece, sostiene che la separazione ha giovato a entrambi i Paesi. "Finalmente sono cessate le polemiche sterili e deleterie per comprendere chi, tra cechi e slovacchi, dovesse mettere mano al portafoglio. L’instaurazione di relazioni completamente trasparenti è davvero un valore aggiunto per le due economie. Inoltre, l’introduzione dell’Euro in Slovacchia ha rafforzato la fiducia dei suoi abitanti nelle proprie possibilità. Infine, almeno per una volta, almeno in un settore, siamo riusciti a battere i cechi!".
Se molto spesso i cechi restano assolutamente indifferenti a quanto accade in Slovacchia, gli slovacchi prestano invece enorme attenzione a tutto ciò che accade dai loro vicini: in Slovacchia tutte le stazioni di servizio vendono giornali cechi, i cinema proiettano film sottotitolati in ceco, i programmi televisivi cechi sono seguitissimi e il notiziario principale propone ogni giorno flash d’aggiornamento delle informazioni dedicati esclusivamente alla Repubblica Ceca.
Non deve pertanto stupire che vi sia un grandissimo numero di giovani slovacchi in grado di comprendere la lingua ceca: strano sarebbe piuttosto il contrario. Per i cechi alcune parole slovacche senza nesso con l’equivalente della loro lingua rappresentano invece una barriera linguistica pressoché invalicabile.
"La cultura ceca è ancora la più forte" afferma il sociologo Grigorij Mesežnikov. "In effetti, la Repubblica Ceca per molti slovacchi è sempre un punto di riferimento preciso". L’economista Pavol Kárász si spinge ancora oltre: "Rispetto alla Repubblica Ceca, la Slovacchia è poco produttiva dal punto di vista intellettuale: è priva di una cultura del dialogo, di un proficuo scambio di opinioni, e perfino di un substrato scientifico". Ciò che lo preoccupa, per altro, è “la fuga di cervelli slovacchi” verso le università ceche.
Insomma, a 17 anni dalla spartizione, è tuttora difficile affermare che la Cecoslovacchia è veramente morta. Il suo nome, insolitamente lungo e complicato, è profondamente radicato nelle lingue di numerosi Paesi. Ed è così che abbiamo potuto appurare, per le strade di Stoccolma, in occasione del passaggio di testimone della Presidenza dell’Unione Europea alla Svezia, che oltre la metà delle persone intervistate associava il termine Cecoslovacchia a Entropa [la controversa installazione offerta dalla presidenza ceca dell’Unione] e all’azione di governo dell’ex Primo ministro Mirek Topolánek.