L'Unione europea sta morendo, di una morte così lenta e regolare che un giorno potremmo guardare dall'altra parte dell'Atlantico e accorgerci che il progetto di integrazione europea che abbiamo dato per scontato per l'ultimo mezzo secolo non esiste più.
Il declino dell'Europa è in parte economico. La crisi finanziaria ha colpito duramente molti membri Ue, e il vertiginoso debito pubblico di alcuni paesi e la salute cagionevole delle banche del continente non promettono niente di buono per il futuro.
Tuttavia la situazione finanziaria passa in secondo piano davanti a una malattia ben più grave: l'Europa, da Londra a Berlino a Varsavia, vede il riaffermarsi della nazionalizzazione della vita politica, con gli stati membri che proteggono la sovranità che un tempo erano pronti a sacrificare in nome di un ideale collettivo. Per molti leader europei il bene comune non sembra avere più alcuna importanza. Si chiedono cosa stia facendo l'Unione per loro, e se vale ancora la pena farne parte.
Se questa tendenza continuerà potrebbe risultare compromesso uno dei più importanti traguardi del 20 secolo, quello di un'Europa integrata, in pace con se stessa e proiettata verso la costruzione di un potere unico e coeso. I singoli stati tornerebbero all'irrilevanza geopolitica di un tempo, e gli Stati Uniti si ritroverebbero senza un partner in grado di aiutarli nelle sfide globali dell'era moderna. L'articolo integrale su Il Sole 24 Ore