Idee Dopo il referendum nei Paesi Bassi

L’Unione è un po’ più fragile

Il 6 aprile gli olandesi hanno bocciato con un'ampia maggioranza la ratifica da parte del parlamento del trattato di associazione Ue-Ucraina. È un nuovo duro colpo per l'Unione, appena compensato dalla modesta affluenza alle urne, osserva Bernard Guetta.

Pubblicato il 9 Aprile 2016 alle 08:26

Poteva andare peggio. Ma in fondo è una notizia rassicurante per la sopravvivenza dell’Unione europea, poiché il referendum d’iniziativa popolare sulla ratifica di un trattato di associazione tra l’Ucraina e l’Unione europea è stato decisamente disertato dagli olandesi.

Il 6 aprile l’affluenza alle urne è stata inferiore al 33 per cento, corrispondente a meno di un terzo degli aventi diritto: una percentuale particolarmente bassa in un paese che aveva respinto tramite referendum il trattato costituzionale del 2005. Tutto lascia pensare che gli olandesi non si siano fidati di una consultazione i cui promotori avevano cercato di mescolare le carte, affiancando il puro e semplice rifiuto dell’Unione alla paura di un arrivo di immigrati ucraini, passando per la critica delle attuali politiche economiche europee, il rifiuto di un nuovo allargamento (che non è in discussione), il desiderio di infliggere una batosta al governo in carica e la paura di vedere i Paesi Bassi trascinati in un conflitto militare tra i 28 e la Russia.

Tanto era chiaro il significato del sì – sì all’accordo economico con l’Ucraina – tanto era confuso quello del no, perché non si capiva a cosa ci si volesse davvero opporre. L’astensione ha punito la demagogia di questa confusione intenzionale, ma non dobbiamo dimenticare che il 61 per cento dei (pochi) elettori ha votato no. Una scelta che spingerà i Paesi Bassi a chiedere delle modifiche all’accordo di associazione e che si presta a diverse riflessioni.

La prima ci dice che nei Paesi Bassi come ovunque in Europa è in ascesa il partito della paura. Paura di una nuova epoca, dell’immigrazione, dell’indebolimento dei quadri politici nazionali e dell’ascesa economica e politica di nuove potenze che conquistano i posti di lavoro europei e relativizzano il peso dell’occidente.

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Ovunque le questioni nazionali e sociali cominciano a fondersi in un discorso che ricorda sempre di più gli albori del fascismo italiano

La seconda è che queste paure alimentano un rifiuto dell’Unione europea e dell’idea stessa di unità dell’Europa, simboli della portata dei cambiamenti in corso. La terza è che aumenta la sfiducia degli elettori nei confronti dei grandi partiti di destra e sinistra (oggi coalizzati nei Paesi Bassi) a cui rimproverano, e non a torto, di non saper fugare i loro timori.

La quarta riflessione è che l’evoluzione degli scacchieri politici favorisce la nuova estrema destra, ma al contempo crea convergenze e a volte legami tra questa e una parte della sinistra radicale. Questo è particolarmente vero nei Paesi Bassi, dove i due poli dello spettro politico hanno invitato la popolazione a votare no, ma un po’ ovunque le questioni nazionali e sociali cominciano a fondersi in un unico discorso che ricorda sempre di più gli albori del fascismo italiano.

Il no olandese, infine, ci dice che l’idea di unità europea perde vigore e continuerà a farlo fino a quando l’ambizione del progetto europeo non sarà stata ridefinita alla luce degli sviluppi del nuovo secolo.

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