Una confezione a Prato.

Made in China, iva esclusa

Crocevia delle importazioni di prodotti tessili dall'Asia all'Europa, il paese cerca di contrastare organizzazioni criminali sempre più potenti. Un impegno che richiede più cooperazione fiscale tra i paesi europei. 

Pubblicato il 12 Ottobre 2010
© Nadia Shira Cohen for The New York Times  | Una confezione a Prato.

Ogni giorni quasi 50 containers pieni di 800 tonnellate di prodotti tessili e di scarpe importate illegalmente dalla Cina e dal Vietnam arrivano in Repubblica ceca. Una parte rimane nel paese, l'altra continua la sua rotta verso gli altri paesi europei.

In questi ultimi mesi il fenomeno delle frodi nelle importazioni tessili dall'Asia ha raggiunto dimensioni considerevoli. Jiří Barták, portavoce dell'amministrazione doganale ceca, afferma: "Tutto lascia credere che i trafficanti asiatici utilizzino la Repubblica Ceca come porta d'ingresso dei loro prodotti nello spazio di libera circolazione delle merci dell'Unione europea".

La pubblica amministrazione ha sempre avuto grande difficoltà nell'identificare le "menti" di questo commercio illegale. Le merci importate sono destinate infatti a società create apposta per riceverle, e spesso è molto difficile sapere chi c'è dietro. Queste imprese comprano milioni di tonnellate di vestiti nei loro primi mesi di vita, per poi scomparire nel nulla quando si tratta di dichiarare e pagare l'iva. Il più delle volte il proprietario dell'impresa è un prestanome o uno straniero che quando la truffa viene scoperta non si trova più in Repubblica Ceca.

Nel maggio scorso i doganieri hanno smantellato una banda che aveva organizzato il più imponente traffico di importazione illegale di merci nel territorio ceco. I danni per il paese sono valutati in almeno 2,65 milioni di euro. Ma questa rete rappresentava solo il 10-15 per cento dell'insieme del commercio illegale nel paese. "Faceva parte di una delle principali organizzazioni criminali cinesi in Europa. Grazie agli enormi mezzi finanziari, i suoi membri vivevano nel lusso", spiega Aleš Hrubý, ispettore presso l'amministrazione doganale.

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La sede della rete criminale si trovava a Praga e l'organizzazione operava in parte nell'Ústecko [vicino alla frontiera tedesca]. I doganieri hanno scoperto anche il luogo dove i cinesi producevano fatture false che permettevano ai negozianti di pagare meno tasse doganali. L'ammontare delle fatture emesse non superava i 10.800 euro, mentre in realtà il valore dei containers importati oscillava tra i 57.600 e i 144mila euro.

Responsabilità agli acquirenti

L'amministrazione doganale, il ministero delle finanze e la stessa l'Unione europea sono molto preoccupati per lo sviluppo di questo commercio illegale. A livello europeo la questione dell'introduzione del nuovo sistema di iva è oggetto di intense trattative. Gli austriaci e i tedeschi hanno proposto che venga applicato a tutte le merci un sistema di inversione contabile generalizzato. In altre parole il compito di versare l'iva dovrebbe spettare all'acquirente finale.

Oggi gli stati possono utilizzare questo sistema solo per alcune merci. "Dovrebbe esistere un diritto di esenzione all'interno dell'Unione europea per gli stati membri interessati", osserva Jan Knízek, direttore dell'amministrazione doganale ceca. "In questo modo i truffatori sarebbero obbligati a spostare le loro attività in un altro paese. Ecco perché l'Ue, con la minaccia crescente rappresentata da queste frodi, dovrebbe riflettere su un cambiamento globale dell'intero sistema dell'Iva oggi in vigore".

Si sta pensando anche a obbligare le società di trasporto a dichiarare a un sistema di informazione comune le merci importate. Questo permetterebbe ai doganieri di controllare con maggiore facilità l'afflusso delle merci.

L'Ungheria, che ancora tre anni fa era il centro di transito di queste importazioni, ha risolto il problema quando i suoi doganieri hanno cominciato a farsi pagare l'iva direttamente allo sdoganamento delle merci. L'amministrazione ceca sta pensando di introdurre misure simili. "Ma il problema", osserva Knízek, "è che questo complicherebbe anche la vita delle persone oneste, che costituiscono la maggioranza degli uomini d'affari". (traduzione di Andrea De Ritis)

Italia

Prato, chinatown d’Europa

Un tempo rinomata per la moda "made in Italy", oggi la città di Prato è famosa perché ospita la più grande concentrazione di cinesi in Europa, scrive il New York Times. Su una popolazione totale di 187mila abitanti, 36mila immigrati regolari e non "lavorano senza sosta nelle circa 3.200 fabbriche di vestiti, scarpe e accessori a basso costo". Secondo la camera di commercio locale, dal 2001 il numero di industrie tessili di proprietà italiana si è dimezzato. "Quello che fa rabbia a molti italiani", prosegue il Nyt, "è che i cinesi li battano nella loro specialità, facendo ricorso all'evasione fiscale e tenendo testa alla burocrazia italiana, notoriamente molto complessa". Mentre le aziende locali sono in crisi le fabbriche cinesi attentano al prestigio del marchio italiano, e nel frattempo spediscono in patria un milione di euro al giorno. "I contrasti sono iniziati quando la scorsa primavera le autorità italiane hanno preso di mira gli stabilimenti che impiegavano manodopera illegale, e la tensione è cresciuta ulteriormente alla fine di giugno, quanto i magistrati hanno arrestato 24 cinesi e aperto un'indagine su un centinaio di aziende nell'area di Prato. Tra le accuse figuravano riciclaggio di denaro sporco, sfruttamento della prostituzione, contraffazione e spaccio di prodotti stranieri come 'made in Italy'".

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