Né le stelle, né le stalle

Negli anni del "miracolo economico" l'immagine della Spagna proposta dai media stranieri era fin troppo rosea. Oggi, dopo la crisi e gli attacchi speculativi, si è passati all'eccesso opposto. La realtà sta nel mezzo.

Pubblicato il 31 Maggio 2010 alle 15:24

"La recessione è sempre un modo per insegnare economia al mondo", afferma l'economista Raj Patel. La crisi attuale è servita anche ad altro. Siamo passati dall'immagine idilliaca del "miracolo spagnolo" del boom decennale all'eccessivo e ingiusto pessimismo odierno, con il corollario degli attacchi dei mercati.

I tedeschi non sono certo famosi per il loro senso dell'umorismo, per non parlare delle loro banche. Ma a sentire la Deutsche Bank, il più importante istituto bancario tedesco, nel 2007 la Spagna era "la faccia buona del capitalismo", "una delle più strabilianti storie di successo degli ultimi decenni". Era questa l'immagine del [marchio Spagna](http:// http://www.realinstitutoelcano.org/wps/portal/rielcano_eng/Content?WCM_GLOBAL_CONTEXT=/elcano/Elcano_in/Zonas_in/DT1-2010#C7). Ma corrispondeva alla realtà? Pochi mesi dopo il paese è entrato nel tunnel della crisi.

Una recessione rimette ogni cosa al suo posto, e il più delle volte genera enormi distorsioni. Può sembrare impietoso sottolinearlo, ma c'è una fotografia che riassume alla perfezione l'immagine attuale dell'economia spagnola nel contesto internazionale. La foto mostra il presidente Zapatero al Forum economico mondiale, dove è seduto tra il primo ministro della Grecia e il presidente della Lettonia, rispettivamente l'epicentro del terremoto fiscale europeo e il paese che ha sofferto più di ogni altro.

Visti dalla parte degli spagnoli, gli ultimi tre anni sono stati come il lento risveglio da un sogno. Il miraggio durato 15 anni di un benessere estremo, creato da una bolla immobiliare e pagato con montagne di debiti pubblici e soprattutto privati. Adesso l'età dell'oro è arrivata alla fine. In chiave internazionale, gli stessi tre anni hanno segnato il passaggio dalle esagerazioni positive come quella della Deutsche Bank a un atteggiamento opposto. "La Spagna è il malato d'Europa", ha sentenziato Desmond Lachman del neoconservatore American Enterprise Institute, prima di addolcire la pillola aggiungendo che il paese "non è ancora arrivato al livello di infermità della Grecia".

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Deficit pubblico, indebitamento, crollo dei consumi, stallo economico, bolla immobiliare, crisi bancaria, caduta della fiducia e della competitività. I problemi dell'economia spagnola sono grandi ed eterogenei. Nonostante tutto, però, non bastano da soli a spiegare gli attacchi che il paese ha subito da parte dei mercati. Ci sono altri paesi - sicuramente l'Irlanda e forse anche l'Italia - che versano in condizioni peggiori, ma non sono stati aggrediti in modo così veemente.

Il fatto è che l'economia è una scienza eminentemente sociale. Le parole e la storia che raccontano sono importanti tanto quanto i numeri. Nella storia della crisi attuale, la Spagna fa chiaramente la parte del cattivo. Le cause vanno ricercate proprio nell'immagine di un marchio al ribasso, nell'avversione dei mercati nei confronti della società iberica e nel calo della fiducia generale che contraddistingue la crisi spagnola.

Un paese normale

"Si capisce che le cose vanno male quando un tassista nigeriano di Washington comincia a parlare dell'euro, e immediatamente dopo la Grecia cita la Spagna e chiede se ce la farà a reggere la pressione", racconta dalla capitale statunitense Ángel Cabrera, direttore di Thunderbird, una scuola aziendale dell'Arizona. "Il marchio Spagna è in difficoltà perché l'economia è stata trascinata nell'occhio del ciclone dalla crisi greca", continua Cabrera. "Il miracolo spagnolo che tutti citavano fino a qualche anno fa si è completamente dissolto.

Questo ritorno alla realtà è benvenuto. Dobbiamo capire che non siamo così ricchi come credevamo. Come paese non possiamo permetterci tutta una serie di cose che erano all'ordine del giorno letteralmente fino all'altro ieri. Il governo che fino a pochi giorni fa continuava a negare l'evidenza ha finalmente varato un piano di rientro. Così va la vita. Detto questo, accanirsi non serve. Tutto quello che la Spagna ha realizzato negli ultimi anni non scomparirà da un giorno all'altro. I risultati positivi sono sempre lì ed è arrivato il momento di valorizzarli".

David Humphrey, professore di economia in Florida, cavalca con noncuranza il cliché della Spagna come malato d'Europa e le allusioni a una nuova "febbre spagnola". "L'economia attraverserà una lunga fase di stallo propiziata dalla crisi fiscale e da un possibile tracollo bancario", riassume l'ex economista capo della Federal reserve. Humphrey trascorre spesso le vacanze estive in Spagna, e così passa dall'etichetta all'aneddoto: "d'altronde non era normale che ci fossero due case, due macchine e due figli per ogni famiglia".

Stati Uniti e Gran Bretagna hanno dovuto nazionalizzare le banche, mentre molti paesi europei sono stati costretti a sostenere gli istituti bancari con miliardi di euro. In Spagna lo stato ha dovuto intervenire solo in due casi. Il debito pubblico ha raggiunto il 200 per cento del Pil in Giappone e si aggira intorno al 100 per cento in molti paesi dell'eurozona. In Spagna non raggiunge il 60 per cento, e l'economia è arretrata meno che negli altri paesi.

La quota di mercato delle esportazioni non ha risentito della crisi, nonostante gli indicatori che testimoniano la durezza della crisi e le riforme che non arrivano. "La crisi è stata gestita malamente, ma lo stesso si può dire per il resto dell'Europa. Negli anni buoni l'immagine della Spagna era migliore di quanto avrebbe dovuto essere. Adesso accade l'esatto contrario. È sempre così", conclude l'economista José Luis Alzola. (as)

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