Non lasciarci soli, troika

I rappresentanti di Fmi, Commissione europea e Bce sono a Lisbona per valutare l’applicazione delle misure previste dal bailout del 2011. Nonostante l’odio che suscitano, senza di loro i portoghesi tornerebbero subito a cacciarsi nei guai.

Pubblicato il 1 Ottobre 2013 alle 12:16

Lo ammetto: ho paura del giorno in cui la troika smetterà di venire a Lisbona a controllare i nostri conti, a ricordarci gli impegni sottoscritti e a staccare assegni.

Questa paura mi attanaglia sempre più, ogni volta che leggo quello che i candidati alle elezioni locali (svoltesi il 29 settembre) hanno promesso sui loro manifesti elettorali: testi scolastici gratuiti, medicine gratuite, case di riposo gratuite, vaccinazioni gratuite e così via. Un vero delirio di gratuità immediate, che culmina con la promessa di aprire una scuola di arti marziali – gratuita, ma questo va da sé – per contrastare l’insicurezza in una città del nord [Vila Nova de Gaia], oppure la garanzia altrettanto illusoria e ingannevole di programmi locali nel sud per la lotta alla disoccupazione.

Sapendo che queste autorità locali non rinunceranno né ad aumentare le spese né ai loro complessi apparati burocratici, questi programmi o non avranno alcun risultato concreto oppure disgraziatamente si tradurranno in nuove e ulteriori assunzioni in queste stesse comunità o nelle aziende municipali, prassi che tra gli altri effetti negativi ha avuto quello di contribuire in buona parte alla richiesta di salvataggio lanciata alla troika nel 2011.

I miei timori si fanno ancora più forti quando sento il segretario generale del partito socialista António José Seguro affermare che non accetterà altri tagli, senza spiegare che ciò è impossibile a meno di aumentare ancor più le imposte, e quando mi rendo conto di quanto Psd e Cds siano impazienti di affrancarsi dalla tirannia del controllo esterno per poter dare subito libero corso a nuove promesse di “gratuità immediate”.

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Sono nata in Portogallo negli anni sessanta. È dunque la terza volta in vita mia che mi ritrovo in un paese aiutato da altri, e per questo motivo penso che la mia generazione debba essere particolarmente grata ai creditori che nel 1977, nel 1983 e nel 2011 sono stati disponibili a offrirci i loro soldi. Quale persona dotata di un minimo di raziocinio avrebbe voluto vivere in famiglia in Portogallo se non ci fossero stati questi aiuti dall’estero? Certo, noi ne paghiamo gli interessi, ma sono pur sempre di gran lunga inferiori a quelli che dovremmo pagare se non fossimo quel protettorato aborrito dal vicepremier Paulo Portas e se la nostra classe politica dovesse girare il mondo in lungo e in largo per trovare chi ci presta altri soldi.

Io temo il giorno in cui il Portogallo smetterà davvero di essere un protettorato, quando questa classe politica ricomincerà a declinare in vario modo i verbi “regalare” e “investire” (se vogliono investire così tanto, perché non lo fanno con i loro soldi e non aprono aziende loro?) per questa grande mistificazione che chiamano il “discorso positivo” sul paese. [[Ci sono cose che, se vissute ripetutamente, diventano grottesche]].

Déjà vu

Di sicuro molto presto arriverà qualcuno che, come nel 2009, spingerà il Portogallo in una fuga in avanti, che si presenterà come portatore di buona volontà e innovazione [riferimento all’ex primo ministro José Sócrates]. Ci sarà anche chi, volendo difendere i privilegi e gli interessi propri e della sua azienda, assicurerà che il paese non può più sopportare l’austerità che ci è imposta non dai creditori ma dal cataclisma nel quale ci ha spinti la volontà di proteggere le aziende, lo stato partner del settore privato, i diritti acquisiti sulla carta ma che le finanze pubbliche non possono garantire.

E infine avremo i falliti e i loro discorsi sui grandi del passato, i grandi politici del tempo che fu, quell’epoca fortunata nella quale abbiamo avuto leader che con la loro grandezza, la loro grande saggezza e i loro nobili principi non soltanto ci hanno portato per tre volte di seguito alla rovina economica in soli 35 anni, ma che oltretutto preferiscono sempre accusare i creditori invece di fare autocritica.

Dopo tre interventi dall’estero non soltanto ho la certezza che la troika ritornerà, ma anche che essa ritroverà il Portogallo in una situazione di gran lunga peggiore: in effetti, ogni volta che passiamo allo status di protettorato, invece di interrogarci sul nostro malgoverno ci spingiamo ancora oltre nella nostra ineluttabile tendenza a ripetere tutti gli errori che abbiamo commesso e che ci hanno portato a chiedere l’elemosina.

Ecco perché se vivrò così a lungo come mi assicurano le statistiche, senza dubbio vedrò sbarcare altre troike a Lisbona, e nell’intervallo tra l’una e l’altra sentirò le stesse chiacchiere demagogiche.

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