Rassegna Core Europe

Viktor Orbán: un modello che si diffonde in Europa

L’ascesa del populismo è un fenomeno globale che, di recente, ha trovato terreno fertile soprattutto nei luoghi dell’antica monarchia danubiana: Austria, Slovacchia e Repubblica Ceca.

Pubblicato il 7 Febbraio 2025

Il primo ministro ungherese Viktor Orbán, un tempo definito l’enfant terrible della politica europea nonché ideatore della “democrazia illiberale”, sta attirando una schiera crescente di ammiratori.  “L’Austria sotto Kickl: l’Orbán della porta accanto” così titola Patrick Guyton sul quotidiano tedesco Frankfurter Rundshau a proposito della possibilità che uno dei paesi confinanti con la Germania possa essere guidato per la prima volta dal 1945 da un cancelliere di estrema destra, Herbert Kickl.

Il leader del Partito della Libertà (FPÖ), che alle elezioni parlamentari dell’autunno 2024 ha ottenuto la vittoria con il 28,8 per cento dei voti, riconosce apertamente il primo ministro ungherese come principale esempio politico. Secondo Guyton, questo sviluppo solleva alcune preoccupazioni circa lo spostamento dell’Austria verso una democrazia illiberale costruita su modello ungherese, in particolare per via delle posizioni di Kickl riguardo i mezzi di informazione, le minoranze e l’Unione europea. 

Se da un lato alcuni esponenti dell’FPÖ, come Matthias Krenn dell’ala economica del partito, hanno posizioni più moderate e rifiutano l’estremismo, gli oppositori mettono in guardia contro una “guerra culturale da destra” volta a una “riorganizzazione anti-democratica dello stato”. Guyton sottolinea come tale situazione politica abbia scatenato diverse proteste, seppur con una partecipazione inferiore rispetto a quelle organizzate contro l’ex leader dell’FPÖ Jörg Haider nei primi anni 90 quando il partito entrò per la prima volta a far parte di un governo. Il giornalista tedesco teme che potrebbe trattarsi di un segnale preoccupante dell’indifferenza della società nei confronti di tendenze di estrema destra.

Questa paura per una “Orbanizzazione” dell’Austria sotto la guida di Herbert Kickl è eccessiva, sostiene Eszter Kováts, politologa ungherese all’Università di Vienna. In un articolo pubblicato sul quotidiano Die Presse spiega che al leader dell’FPÖ mancano il carattere radicale e, soprattutto, la larga maggioranza parlamentare che permisero a Viktor Orbán di riformare l’Ungheria dopo il 2010. 

Tuttavia, il confronto rimane eclatante: entrambi possiedono un certo talento per la provocazione e si avvalgono di una simile retorica – opposizione all’immigrazione, alla cosiddetta “teoria del gender” e alla guerra in Ucraina – mentre il loro copione populista si basa fortemente su una divisione della società in “noi” e “loro”. 

L’ascesa di Kickl, suggerisce Kováts, si deve a una distanza sempre maggiore tra i partiti più tradizionali e gli elettori, soprattutto in tema di immigrazione. Ma mentre Kickl guarda a Budapest in cerca di ispirazione, la sua situazione politica somiglia in realtà molto di più a quella di Giorgia Meloni in Italia o di Geert Wilders nei Paesi Bassi. Contrariamente alle previsioni più catastrofiche, entrambi i leader populisti sono stati sottoposti a maggiori controlli istituzionali rispetto a quanto accaduto in Ungheria e una “Melonizzazione” o “Wilderizzazione” dell’Austria sembrano molto più probabili del temuto Orbanismo.


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Sull’altra sponda del Danubio rispetto all’Austria, un altro ammiratore di Orbán sta misurando i limiti del suo potere. Robert Fico, primo ministro della Slovacchia e leader di SMER – partito socialdemocratico, ma solo di nome – ha causato qualche malumore con un viaggio inatteso a Mosca qualche giorno prima di Natale per incontrare Vladimir Putin

Come fa notare Dušan Mikušovič su Denník N, i dettagli della visita rimangono poco chiari e persino le informazioni più basilari sui partecipanti e su eventuali accordi non sono state rivelate pubblicamente.

Le uniche spiegazioni date da Fico sono avvenute sui social media dove ha menzionato alcuni dei temi discussi, come la situazione militare dell’Ucraina, le prospettive di pace e la sua intenzione di “normalizzare” il rapporto tra Slovacchia e Russia. Fico ha poi minacciato di tagliare le forniture di energia elettrica all’Ucraina come forma di ritorsione per aver interrotto il transito di gas russo verso l’Ue. La sua visita a Mosca, giustificata nell’ambito della sua “politica sovrana”, rientra in uno schema ben preciso: l’analisi di Denník N mostra che la bussola diplomatica del primo ministro punta sempre di più a est e sud, piuttosto che a ovest o nord.

Tuttavia, la deriva della Slovacchia verso un governo illiberale ha incontrato diversi ostacoli. Una spaccatura all’interno della coalizione alleata di Fico, la HLAS-SD, gli è costata la maggioranza parlamentare. Nel frattempo, più di 100mila persone hanno protestato per chiedere un governo più trasparente, lo stato di diritto e contro le potenziali aperture verso la Russia. La risposta di Fico secondo cui un terzo delle persone che hanno partecipato alle proteste erano ucraine non ha fatto altro che infiammare ulteriormente gli animi. Come osserva Matúš Kostolný, la situazione attuale ricorda quella del 2018 quando l’omicidio del giornalista Ján Kuciak portò Fico alle dimissioni nonostante avesse la maggioranza parlamentare. “Le cose potrebbero farsi complicate,” prevede Kostolny “ma la fine di Fico è vicina.”

Viktor Orbán e Herbert Hickl potrebbero presto accogliere nel club dei primi ministri europei un nuovo alleato del gruppo parlamentare Patrioti per l’Europa. Nella vicina Repubblica Ceca, Andrej Babiš, miliardario nato in Slovacchia e leader del partito ANO, sta infatti pianificando un suo ritorno. Nonostante le limitate capacità retoriche, Babiš ha dimostrato una spiccata predisposizione nell’attrarre elettori di tutte le parti politiche, come si può notare dai sondaggi di gennaio pubblicati sul portale economico E15 che lo danno al 35 percento.

Babiš, che nel 2021 era stato sostituito dalla coalizione liberale-conservatrice di Peter Fiala, è pronto a tornare al potere. Se da una parte il governo di Fiala ha raggiunto buoni risultati in politica estera – soprattutto nel sostegno all’Ucraina, nella gestione della crisi migratoria e nel garantire una sicurezza energetica – dall’altra ha faticato con le riforme nazionali e con la comunicazione pubblica, due elementi che hanno contribuito a portare il suo tasso di popolarità ai minimi storici.

In un articolo su Czech Radio, il filosofo e commentatore Peter Fischer attribuisce il successo di Babiš al suo spirito politico e al suo approccio pragmatico. “La versione del 2025 di Andrej Babiš dimostra chiaramente che il movimento ANO è parte di una corrente più ampia che sta conquistando il mondo e riportando il buon senso” osserva Fischer con tono sarcastico. Fischer spiega inoltre che è stato Trump a offrire un nuovo piano a ANO, un movimento che aveva perso ogni base ideologica, e a cui i patrioti europei si stanno ispirando per un successo garantito. “Loro parlano di MAGA, Make America Great Again, noi di MEGA, Make Europe Great Again” ha dichiarato l’ex, ma probabilmente anche prossimo, primo ministro ceco.

Secondo Fischer, l’ascesa al potere segue uno schema universale: la disgregazione sistematica del dibattito pubblico attraverso campagne social distruttive, la privatizzazione degli spazi pubblici al servizio degli interessi dei più forti, una politica contraddistinta dalla lotta contro dei presunti nemici: immigrati, avversari economici e, nel caso dell’Europa, le istituzioni dell’Ue.

La via delle armi: dalla Repubblica Ceca agli acquirenti russi

Un’importante indagine di Kristina Vejnbender ha svelato una complessa rete di intermediari che si è fatta beffa delle sanzioni imposte dall’Ue sulle esportazioni di armi alla Russia. Su Investigace.cz, Vejnbender mostra come le armi ceche stiano arrivando agli acquirenti russi attraverso un labirinto di intermediari provenienti dall’Asia centrale e dalla Turchia.

Durante l’edizione del 2024 della fiera Orel Expo a Mosca, le armi di produzione ceca erano esposte liberamente, seppur a prezzi astronomici, pari al triplo rispetto a quelli di Praga. L’indagine di Vejbender, condotta insieme a The Insider e altre testate, rivela come molte aziende kazake e turche svolgano un compito di mediazione: solo ad aprile 2024, un’azienda kazaka ha importato quantità considerevoli di munizioni ceche, mentre un’altra azienda turca ha concordato la consegna di attrezzature ottiche di alto livello.

Anche i numeri raccontano una storia singolare: le esportazioni di armi ceche in Kazakistan sono aumentate di trenta volte dal 2018. Come si spiega tanto interesse per le armi ceche? Come hanno raccontato alcuni esperti a Vejnbender, l'arsenale russo si sta rivelando obsoleto e le armi sportive ceche possono essere facilmente utilizzate per scopi militari.

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