Voxeurop community Europa e Covid-19

Per un’Unione europea della Salute

Solidarietà, coordinamento, sinergie, messa in comune delle risorse…: la pandemia di Covid-19 ha di fatto spinto l’Ue ad accelerare sulla via della creazione di una vera e propria unione europea della salute, peraltro prevista dai trattati europei, sottolinea il rappresentante di New Europeans a Roma.

Pubblicato il 16 Novembre 2020 alle 01:05

Prima che si chiuda l'incubo della pandemia (purtroppo non ci siamo ancora) dobbiamo fare tesoro delle lezioni apprese e, su questa drammatica esperienza, costruire qualcosa di nuovo e di positivo. Questo era il senso dell’appello per una Unione europea della Salute che, con l'associazione New Europeans dell’ex eurodeputato laburista Roger Casale, avevamo lanciato il 9 maggio scorso, settantesimo anniversario della Dichiarazione Schuman. 

Fa piacere che l’idea sia stata ripresa dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, nel suo Discorso sullo Stato dell’Unione del 16 settembre scorso, anche nella prospettiva di un Vertice Mondiale della Sanità, che verrà organizzato nel 2021 dalla Presidenza italiana del G20. 

Fa anche molto piacere che, mentre gli Stati membri faticano a fronteggiare la seconda ondata del contagio, almeno la Commissione Ue stia mettendo a punto una strategia coordinata per la migliore efficacia dei futuri vaccini. Solo uniti e determinati usciremo da questa tragedia.

Era in fondo l’uovo di Colombo. Non c’era niente di particolarmente originale nel riflettere, durante la chiusura forzata che ha radicalmente trasformato le nostre esistenze, sul fatto che l’Unione europea avrebbe tenuto solo se, al posto delle illusorie chiusure di muri, quote e dazi contro le invasioni di virus, migranti e prodotti sotto costo, si fosse puntato su un rinnovamento dal basso del modello, basato sulle esigenze che ci accomunano, sui valori in cui ci riconosciamo e sulle sinergie che ci possiamo permettere, lavorando insieme.

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Un modello per l’Europa

I medici ci avevano suggerito il modello “One Health” proposto dall’OMS come approccio che permettesse di collegare organicamente le prospettive di una riforma sanitaria su base continentale alla più generale trasformazione della nostra società imposta dal cambiamento climatico e dalla ricerca di uno sviluppo sostenibile, verde, equo e digitale. Non bisogna scegliere tra salute e clima, tra solidarietà e innovazione, tra riforme settoriali e cambio complessivo di paradigma: “ Win-win? Yes, we can!”. 

È un pacchetto complessivo, fatto di visione e sinergie. Bisogna però spiegarlo e assimilarlo, “primum vivere, deinde philosophari”. La scommessa diviene allora il costruire partendo dall’istinto di sopravvivenza, riacceso dalla pandemia, per cercare di scrollarsi di dosso il disagio, spesso esistenziale, di una complessità atomizzante, che ci sgomenta e ci rende spesso schiavi di ciarlatani, che parlano direttamente alla nostra emotività con ipocriti messaggi di troppo facile presa. 

Partiamo invece dalla riscoperta della salute come “bene pubblico globale”, per costruire su di essa un contratto sociale rinnovato, ove il demos europeo possa riscoprire la propria identità comune, che è fatta anche, dal Piano Beveridge in poi, di un’assistenza sanitaria universale, perché “nessuno deve essere lasciato indietro” di fronte alla malattia, e non solo. 

Vi è qui un passaggio fondamentale, sul quale occorre fare la massima chiarezza: una futura, eventuale Unione europea della Salute sarebbe sì basata sulla riforma dei Trattati sottoscritti da Stati nazionali sovrani ma, ancor più di altre iniziative, dovrebbe avere al centro del progetto i diritti e i doveri dei singoli cittadini europei, indipendentemente da passaporti e carte d’identità.

Sulla sanità, ci sarebbero già stati gli strumenti, all’inizio del contagio, per dare all’Unione un ruolo propulsivo. Abbiamo invece scritto pagine buie ed avvilenti di egoismo, ipocrisia e disorganizzazione, che certo non hanno fatto onore ai legami solennemente sanciti dai Trattati europei.

Di qui scaturisce l’appello a Ursula von der Leyen: non si può parlare di “Unione europea della Salute” solo tra Governi e Parlamenti, occorre che questo tema divenga uno dei pilastri portanti della annunciata Conferenza sul Futuro dell’Europa, quale capillare forma di consultazione e progettazione di un avvenire comune.   

Nell’appello  si propone infatti di affrontare complessivamente le sfide aperte dalla pandemia e le lezioni apprese nelle differenti aree: sanità, ovviamente, ma anche economia, sussidiarietà, educazione, cittadinanza e relazioni esterne. Solo dal “combinato disposto” di queste riflessioni e dei conseguenti piani d’azione potrà infatti scaturire quel rilancio del “progetto europeo” che il Coronavirus sembra stia provocando, grazie a una incredibile “eterogenesi dei fini” (ignudi e in ordine sparso di fronte al male, ora invece più coesi e determinati a non ripetere più simili esperienze).  

Sulla sanità, ci sarebbero già stati gli strumenti, all’inizio del contagio, per dare all’Unione un ruolo propulsivo. Abbiamo invece scritto pagine buie ed avvilenti di egoismo, ipocrisia e disorganizzazione, che certo non hanno fatto onore ai legami solennemente sanciti dai Trattati europei. Basta leggere l’art. 168 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea (TFUE), che espressamente prescrive che “l’azione dell’Unione, che completa le politiche nazionali, si indirizza al miglioramento della sanità pubblica, alla prevenzione delle malattie e affezioni e all'eliminazione delle fonti di pericolo per la salute fisica e mentale. Tale azione comprende la lotta contro i grandi flagelli, favorendo la ricerca sulle loro cause, la loro propagazione e la loro prevenzione, nonché l'informazione e l'educazione in materia sanitaria, nonché la sorveglianza, l'allarme e la lotta contro gravi minacce per la salute a carattere transfrontaliero”. 

Più chiaro di così! Se non è un “grande flagello” il Covid-19, cos’altro aspettiamo ? 

Da ricordare poi che la clausola di solidarietà di cui all’art. 222, punto 1, lettera b) del TFUE (“L'Unione mobilita tutti gli strumenti di cui dispone, inclusi i mezzi militari messi a sua disposizione dagli Stati membri, per ... prestare assistenza a uno Stato membro sul suo territorio, su richiesta delle sue autorità politiche, in caso di calamità naturale o provocata dall'uomo") risulta essere stata utilizzata per attivare un coordinamento europeo delle forniture di emergenza alla Cina ma sembra che, quando il Rappresentante Permanente italiano presso l’Unione europea l’ha invocata per ricevere d’urgenza mascherine e ventilatori polmonari, lo stesso meccanismo si sia subito inceppato. Orecchi da mercante e ogni possibile cavillo burocratico quando l’Italia chiedeva più o meno le stesse cose che l’Europa aveva generosamente distribuito all’altro capo del mondo....  

Gli strumenti indispensabili

Per fortuna, poi, il vento è cambiato. Di 180 gradi. Bellissimo il discorso di Pasqua del Presidente tedesco Frank-Walter Steinmeier: “La Germania non può uscire da questa crisi forte e sana se i nostri vicini non saranno anche loro forti e sani. Questa bandiera blu non è qui per caso. A trent’anni dall’Unità tedesca, a settantacinque anni dalla fine della guerra, noi tedeschi non siamo solo chiamati, siamo obbligati alla solidarietà!... Dopo questa crisi saremo un’altra società. Non vogliamo diventare una società timorosa, diffidente. Possiamo, invece, essere una società con più fiducia, più rispetto e più ottimismo”. Detto in parole povere, il coronavirus non è colpa di nessuno, non si può continuare a contrapporre formiche e cicale, siamo tutti sulla stessa barca e non dobbiamo farla rovesciare. 

Costi quello che costi. Che in inglese si dice: “Whatever it takes”. Come aveva scandito nel 2012 Mario Draghi per difendere l’euro. Erano però passati quattro anni tra la crisi della Lehman Brothers e la dichiarazione del Governatore della Banca Centrale europea. Sono bastati per fortuna solo pochi mesi ad Angela Merkel per ricordarsi di quel detto, secondo il quale “bisogna muoversi in fretta quando il ghiaccio si sta sciogliendo”. La fretta è ovviamente concetto temporalmente molto dilatabile a Bruxelles. Ma la direzione di marcia sembra ormai intrapresa. Forse si arriverà addirittura a rendere permanenti gli strumenti tipo “Recovery Fund”, per permettere una politica economica europea esplicita, senza le forzature ora imposte alla Banca Centrale europea. Si vedrà.

Ma una risposta europea alle sfide sanitarie globali non è solo questione di soldi. Richiede anche “governance” adeguata. Entra allora in gioco la sussidiarietà, non solo per garantire spazio agli enti locali nella gestione ottimale dei territori, ma anche per avocare a livello sovranazionale direzione/coordinamento di compiti che altrimenti sfuggirebbero di mano. La complessità può essere governata se c’è la volontà.

Non si può, inoltre, non toccare il discorso dell’istruzione, specie in una prospettiva inter-generazionale. Formazione scientifica e tecnologica, per fornire strumenti contro i nostri mali e per superare i “digital divides” e i più incredibili negazionismi. Ma anche educazione civica, perché senza una chiara coscienza dell’interrelazione tra diritti e doveri, sarà impossibile per le nostre società superare le sfide del contagio e le sue insidie mortali.

Abbiamo già detto della cittadinanza, chiave di lettura indispensabile per costruire dal basso, individuo per individuo, l’Unione europea che vogliamo, fatta appunto di diritti e doveri, di garanzie delle libertà fondamentali e dello Stato di diritto, condizione indispensabile per la nostra salute fisica e mentale.

Fermi e rigorosi nel pretendere il rispetto di questi “paletti” al nostro interno, dobbiamo avere peraltro chiara la visione – tutt’altro che incoraggiante – di un resto del mondo, dove la democrazia appare in affanno, tra spinte autoritarie, populiste e sovraniste, accomunate tutte dalla volontà di scaricare sugli altri i propri problemi. Può l’Europa aspirare invece a erigersi come faro di coloro che, ovunque, la pensano diversamente e trovano proprio nella terribile pandemia una ragione di più per offrire solidarietà, visione, disponibilità a un lavoro comune, nel rispetto reciproco?

Di tutto ciò vorremmo che si parlasse al Vertice G20 del 2021 sulla sanità mondiale e, prima ancora, nell’ambito della Conferenza sul Futuro dell’Europa, che dovrebbe prendere avvio, prima della fine dell’anno, sotto Presidenza tedesca. 

In preparazione a tali eventi, il 5 novembre  New Europeans ha tenuto una conversazione online con cittadini e attivisti per la salute pubblica nell'ambito della serie del “Tuesday conversations with Povl Hennignsen".  Puoi guardare la conversazione qui

Contatta New Europeans (bureau@neweuropeans.net) se desideri saperne di più sull’appello per una conferenza internazionale sulle lezioni apprese dal Coronavirus e sull'Unione europea per la salute (#EuropeanHealthUnion).

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