Piccolo è bello

Dalla spinta tedesca all’austerity alla riforma chiesta dal Regno Unito, i grandi paesi sembrano monopolizzare il processo politico dell’Ue. Eppure gli stati più piccoli stanno acquisendo sempre più peso nelle iniziative diplomatiche.

Pubblicato il 28 Febbraio 2013 alle 12:47

Leggendo i rapporti risalenti all’ultimo incontro al vertice sul budget dell’Ue, si potrebbe da cadere in errore e pensare che soltanto tre stati contino nel processo decisionale dell’Ue. Ma in politica estera dietro ai titoloni la storia è fatta sempre più spesso dai piccoli stati.

Lo scorecard della politica estera europea dell’European Council for Foreign Relations (Ecfr) riporta tutti i contributi dati da parte delle istituzioni e degli stati membri dell’Ue all’influenza della politica estera europea.

Nel trend generale, che Scorecard 2013 evidenzia negli stati membri che cooperano alla politica estera dell’Ue (nel 2012 c’è stato un calo significativo del numero dei paesi classificati scansafatiche al riguardo di specifiche tematiche politiche, particolarmente evidenti nei casi di Cipro, Italia e Polonia), spicca anche la questione del ruolo che gli stati più piccoli possono rivestire come promotori di iniziative. Se è evidente che la leadership dei tre grandi paesi l’anno scorso ha subito una netta flessione, si sono rivelate molto interessanti le coalizioni di stati membri più piccoli, finalizzate allo sviluppo e alla promozione di iniziative in politica estera.

Sebbene la Germania, seguita da vicino dal Regno Unito e dalla Francia, risulti tuttora alla guida del gruppo in termini di occasionie in cui nel 2012 ha ricoperto il ruolo di leader in questioni di politica estera, il motore franco-tedesco si è fatto notare molto poco nello sviluppo della politica estera, tanto che il divario tra l’Ue a tre e gli stati più piccoli si è ridotto quasi del tutto.

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L’insolita alleanza di Danimarca e Irlanda è stata cruciale ai fini di pressioni a favore di una posizione unitaria dell’Ue al riguardo dell’etichettatura di prodotti esportati dalle colonie israeliane, e una volta lanciata l’idea anche il Regno Unito si è subito associato. Austria, Belgio, Estonia e Irlanda sono stati di importanza fondamentale (insieme a stati più grandi come Spagna, Polonia, Italia, Francia e Germania) nel contribuire alle missioni della[Politica di sicurezza e di difesa comune] (3277351). Alle Nazioni Unite il supporto dell’Ue a un trattato per il commercio di armi è stato portato avanti non soltanto da Francia e Regno Unito, ma in modo significativo anche da Belgio, Bulgaria, Finlandia, Irlanda e Svezia.

È indubbiamente vero che l’effetto moltiplicatore dell’Ue è maggiore per gli stati più piccoli rispetto a quelli più grandi. Anche se chi crede che il Regno Unito non perderebbe influenza nel caso in cui uscisse dall’Ue probabilmente si sbaglia, tale questione non sarebbe neppure sorta a Lisbona, a Sofia o a Tallinn. Si può dire che l’interesse nazionale a passare dall’approccio attivista a quello di guida della politica estera dell’Ue è maggiore per gli stati più piccoli. Tuttavia, è evidente che è tutta l’Ue a guadagnarci quando uno dei suoi membri si fa promotore di una iniziativa politica e la porta avanti.

Quando il ministro bulgaro degli esteri Mladenov lanciò l’idea di formare un piccolo gruppo di ministri degli esteri in rappresentanza del capo della politica estera dell’Ue e di far visita a Libano, Iraq e sud del Caucaso nel 2012, il fronte compatto costituito da Mladenov, Bildt (Svezia) e Sikorsky (Polonia) ebbe ricadute positive sull’Ue, dandone un’immagine di comunità e l’idea di una precisa volontà a organizzare le proprie risorse politiche.

Servono investimenti

Chiaramente, la leadership personale fa la differenza in ciò che altrimenti sarebbe soltanto un ennesimo meccanismo nell’apparato tecnico della politica estera dell’Ue. Come ha dimostrato il dibattito interno sull’attivismo di Mladenov in Medio Oriente e nella regione nordafricana dopo l’attentato terroristico di Burgas dell’anno scorso, l’impegno nei confronti dello sforzo collettivo europeo ha comportato un prezzo da pagare a livello interno, ma ciò nonostante è proseguito.

Con la maturità del Servizio europeo per l’azione esterna (Eeas), che sarà oggetto di riesame formale, è evidente che a prescindere da quanto si svilupperà il servizio diplomatico la sua forza dipenderà dall’investimento politico che le capitali degli stati membri riterranno opportuno. Finora tale investimento è ancora lontano dal permettere al Seae di realizzare il suo pieno potenziale e coprire il ruolo che potrebbe avere anche nel riconciliare il tecnocratico trattato europeo pre-Lisbona con la potenza Europa degli stati membri.

Tuttavia gli sforzi messi in atto nel 2012 dagli stati membri più piccoli offrono buoni motivi per sperare che col passare del tempo il potere che risiede nella eterogeneità dell’Ue possa essere finalmente sbloccato e utilizzato per il bene dell’influenza dell’Europa nel mondo

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