Di fronte alla prospettiva di un disimpegno degli Stati Uniti, il loro principale alleato, sul cui sostegno si basa una parte considerevole della deterrenza contro la minaccia di un attacco da parte della Russia, gli europei serrano i ranghi. L'Ue segue il movimento, con l'annuncio, all'inizio di marzo, di ReArm Europe, un piano di prestiti e finanziamenti per 800 miliardi di euro destinati a modernizzare e equipaggiare le forze armate dei 27 nei prossimi anni.
Superata la stordimento dei primi istanti, gli europei sembrano voler reagire di concerto alla svolta americana. Si sta delineando così una “coalizione dei volenteros”, i cui contorni sono emersi durante il vertice convocato a Londra dal primo ministro britannico Keir Starmer il 2 marzo.
Il formato della difesa europea in via di definizione in queste settimane è “un ibrido”, analizza la politologa italiana Nathalie Tocci su La Stampa. Secondo la direttrice dell'Istituto per gli Affari Internazionali, infatti, “non è l'Ue, perché al suo interno ci sono quinte colonne, come l'Ungheria di Viktor Orbán, determinate a sabotare la difesa dell'Ucraina, ma allo stesso tempo le istituzioni europee giocheranno un ruolo chiave. È attraverso le risorse generate e coordinate dalla Commissione europea che i ‘volontari’ riusciranno a sostenere Kiev e aumenteranno la capacità di difendersi da soli. Il formato non è neanche Nato. Al contrario, nasce dalla dolorosa consapevolezza del disimpegno degli Stati Uniti dall'Europa. Tuttavia, riguarda la Nato, perché coinvolge alleati che non sono membri dell'Ue – Regno Unito, Norvegia, Turchia e Canada – ma che sostengono l'Ucraina e hanno a cuore la sicurezza dell'Europa. […] È un formato che mira ad affrontare due tipi di questioni. La questione ipotetica, che riguarda il dispiegamento di una forza di rassicurazione se si dovesse raggiungere un cessate il fuoco in Ucraina”, e la questione concreta: ‘Il conflitto per il momento continua ed è fondamentale che i paesi ’volontari' coordinino il loro sostegno, cercando di colmare il più possibile il vuoto lasciato da Washington”.
Su The Conversation, Tetyana Malyarenko e Stefan Wolff osservano che “i passi importanti” intrapresi dal Regno Unito e dai paesi dell'Ue in termini di aumento delle spese militari, “considerati nel loro insieme e a condizione che l'attuale dinamica si mantenga, [...] dovrebbero accelerare la presa di coscienza dell'Europa di fronte a un mondo in cui le garanzie di sicurezza americane non sono più assolute”.
Le sfide che l'Europa deve affrontare per liberarsi strategicamente dagli Stati Uniti sono certamente “enormi”, riconoscono, ma “non sono insormontabili”. Secondo i due ricercatori, infatti, “la minaccia militare convenzionale rappresentata da una Russia aggressiva e vendicativa è più facilmente gestibile grazie al previsto rilancio delle forze convenzionali e delle difese aeree e cibernetiche. Una stretta cooperazione con l'Ucraina consentirà inoltre di acquisire un'esperienza cruciale in materia di guerra, che può rafforzare l'effetto deterrente”.
Tuttavia, senza l'ombrello nucleare americano, l'Europa rimane vulnerabile alle continue minacce di Russia di usare l'arma atomica, osservano. Anche in questo caso, aggiungono, “sta emergendo una nuova riflessione strategica. Il presidente francese Macron ha dichiarato la volontà di discutere una capacità nucleare europea più integrata. E in Germania, un paese che ha un rapporto complesso con le armi atomiche, un simile approccio europeo è discusso in modo sempre più positivo da qualche tempo”.
La volontà politica c'è, resta da vedere come organizzare la difesa europea dal punto di vista industriale. Un settore che, come Enrico Letta fa notare su Le Monde, “gli sconvolgimenti degli ultimi giorni rendono necessaria ristrutturare”. Per il presidente della Fondazione Jacques Delors, è infatti “un vero paradosso” che “i paesi europei procedano separatamente e si trovino costretti, in situazioni di emergenza, a spendere i soldi dei loro contribuenti per acquistare sistemi di difesa non europei e a creare così migliaia di posti di lavoro al di fuori del territorio europeo, principalmente negli Stati Uniti”.
A tal fine, propone di “creare un mercato comune della difesa ed estenderlo al Regno Unito, alla Norvegia e all'Islanda, nonché ai tre paesi dei Balcani già membri della Nato e candidati all'adesione all'Ue: Albania, Macedonia del Nord e Montenegro. Sarà inoltre necessario esaminare la questione delle relazioni con la Turchia. L'obiettivo principale di questa operazione è non solo porre fine alla frammentazione all'interno dell'Ue, sia dal punto di vista dell'industria della difesa che della cooperazione tra i sistemi di difesa, ma anche superare la Brexit”.
I timori degli europei nei confronti delle intenzioni della Russia sono giustificati? Sì, a detta di Céline Marangé, ricercatrice su Russia, Ucraina e Bielorussia presso l'Istituto di ricerca strategica dell'Accademia militare francese.
In una lunga analisi pubblicata su Le Grand Continent, scrive che “l’obiettivo finale del Cremlino non si limita alla smilitarizzazione e alla neutralizzazione dell'Ucraina o alla conquista di alcuni territori devastati all'interno dei suoi confini amministrativi. L'obiettivo finale sarebbe piuttosto una Russia dominante e temuta, che abbia ritrovato il suo status di grande potenza e cancellato l'umiliazione della sconfitta della Guerra fredda, respingendo i confini della Nato e distruggendo l'Unione europea. Una politica di pacificazione non farà che alimentare l'aggressività. Spetta ai paesi europei agire senza indugio per preservare la sovranità dell’Ucraina e opporre una forza di dissuasione credibile. Qualunque sia l'esito dei negoziati russo-americani, per il futuro dell'Ucraina e la sicurezza dell'Europa intera, è necessario valutare la minaccia, sensibilizzare l'opinione pubblica, prepararsi all'eventualità di un conflitto con la Russia e impedire il più possibile che si rimetta in ordine di battaglia”.
“Tre anni dopo il 24 febbraio 2022, gli europei non hanno ancora capito il significato profondo dell'aggressione contro l'Ucraina, delle sue implicazioni in Ucraina e ben oltre l'Ucraina. Gli americani, consapevoli delle sfide per la sicurezza globale che si stanno giocando in Estremo Oriente, si aggrappano all'illusione di un'alleanza di ripiego, ignorando le conseguenze disastrose di qualsiasi compromesso con il regime di Putin, anche per la Russia stessa”, sostengono più di 600 personalità di tutta Europa, in un appello che pubblichiamo. Ritengono che “americani ed europei non hanno altra scelta che quella di assegnare, in definitiva, all'Ucraina tutte le risorse che le permetteranno di sconfiggere militarmente la Russia”.
Per i firmatari, tra cui personalità ucraine, ricercatori, giornalisti e parlamentari, è l'Occidente nel suo insieme che deve rispondere con una “strategia globale”, accompagnata da un'assistenza militare straordinaria di 300 miliardi di euro o dollari all'Ucraina.
“Se vogliamo davvero la pace, dobbiamo prepararci alla guerra”. Con queste parole Timothy Garton Ash conclude il suo intervento per The Guardian: “Come abbiamo visto negli ultimi giorni, al primo segnale di una possibile tregua in Ucraina la nostra opinione pubblica vuole disperatamente credere che potremo tornare alle nostre vecchie abitudini del periodo di pace post-1989”. Per lo storico e politologo britannico, è dovere dei leader europei non solo “ravvivare lo spirito combattivo di Winston Churchill e del generale De Gaulle, ma anche spiegare onestamente agli elettori che ci troviamo di fronte a una nuova lunga battaglia”. E di acclamare “Viva l'Europa! Viva il Churchillo-gaullismo!”, dopo aver sottolineato l'importanza di questo approccio che “combina il meglio delle due tradizioni più influenti del nostro continente quando si tratta di una guerra mondiale. Una formula che non solo Macron e Starmer, ma forse anche la maggior parte dei leader europei potrebbero sottoscrivere”.
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