“Vivere senza documenti è come vivere in una prigione invisibile”, afferma Lamine Sarr con voce strozzata. Il 40enne, che diciotto anni fa dal Senegal attraversò il mare per arrivare in Spagna, è uno dei portavoce di Regularización Ya, un movimento popolare che richiede allo stato spagnolo di porre fine a questa situazione attraverso la regolarizzazione di migliaia di migranti senza documenti e la riforma della legge sull'immigrazione.
In Europa sono migliaia le persone senza documenti, di cui circa 700.000 in Spagna. La campagna di Sarr, avviata dopo la pandemia di Covid-19, ha messo in luce la vulnerabilità di questi migranti e potrebbe portare, in seguito alle discussioni parlamentari previste alla regolarizzazione straordinaria di 500.000 individui.
Sostenuta da 700.000 firme e da una coalizione di 900 organizzazioni della società civile, Regularización Ya è riuscita a portare questa iniziativa legislativa popolare al Congresso dei deputati spagnolo e il testo è ora in corso d’esame secondo il normale processo legislativo. “L'iniziativa di regolarizzazione è di vitale importanza”, dichiara a Voxeurop Caritas Spagna, una delle organizzazioni che chiedono ai partiti di rendere finalmente realtà questa proposta di legge. “La consideriamo necessaria per limitare l'enorme numero di migranti in Spagna che si trovano in una situazione di irregolarità”, il cui status, affermano, li costringe a “vivere sotto stress e ansia costanti” e “impedisce loro di partecipare appieno alla vita della comunità”.
La prigione invisibile dell’irregolarità
Secondo l'attuale legge sull’immigrazione in Spagna, le persone in una situazione di irregolarità devono dimostrare di aver vissuto sul territorio spagnolo per tre anni al fine di ottenere, tra le altre cose, un permesso di lavoro e di soggiorno. Tuttavia, Sarr sostiene che la realtà è molto più complessa. Arrivato in Spagna con un gommone nel 2006, Sarr ha dovuto aspettare ben tredici anni per avere i documenti, emessi finalmente nel 2019. “Trovarsi qui da tre anni significa che puoi presentare la domanda, ma non significa che riuscirai a completare il processo”, racconta a Voxeurop. Alcuni suoi colleghi, afferma, aspettano da vent'anni l'emissione del permesso di soggiorno.
Chi fugge dal proprio paese in cerca di sicurezza non può permettersi di essere escluso per tre anni dal mercato del lavoro. Nel 2023 l'Ufficio Asilo e Rifugiati del Ministero dell'Interno ha ricevuto 163.218 richieste di protezione internazionale, il 37 per cento in più rispetto all'anno precedente nonché il numero più alto dalla creazione dell'ufficio nel 1992. Eppure, la protezione è stata concessa solo a 11.163 persone. Secondo i dati della Commissione spagnola per l’Assistenza ai rifugiati, la Spagna ha uno dei tassi di approvazione più bassi dell'Ue: il 12 per cento nel 2023, rispetto alla media europea del 42.
“Non puoi affittare una casa, non puoi aprire un conto corrente, non puoi vivere in pace perché la polizia potrebbe fermarti mentre passeggi per strada e arrestarti... L'unica cosa che puoi fare è lavorare nell'economia informale, in una situazione di totale vulnerabilità”, racconta Sarr.
Leïla Bodeux, Senior Policy e Advocacy Officer di Caritas Europa, sottolinea che la situazione è particolarmente dolorosa per i bambini nati in Europa che non vengono regolarizzati a causa della situazione dei loro genitori. “Non sono in grado di proiettarsi nel futuro e si sentono frustrati perché trattati diversamente dalla popolazione locale, nonostante il senso di appartenenza al paese in cui vivono”.
“La legge sull'immigrazione ruba i sogni”, dichiara Sarr con amarezza. “Arrivi qui da giovane con il sogno di diventare qualcuno, ma poi ti trattano come se non fossi nessuno... una persona con la testa vuota, incapace di fare nulla”
Regolari o no, i migranti migliorano la nostra società
Le ricerche dimostrano che i migranti, regolari o meno, contribuiscono significativamente alle comunità ospitanti e potrebbero fare ancora di più se gli venisse permesso di farlo legalmente.
In Spagna il centro di ricerca Por Causa ha rilevato che il contributo fiscale netto ricavato dalle imposte dirette di una famiglia di immigrati era già superiore del 75 per cento alla media delle famiglie spagnole, principalmente perché l'età media delle famiglie immigrate è molto più bassa. Lo stesso rapporto dimostra anche che in quattro dei sei profili analizzati, la regolarizzazione permetterebbe agli immigrati di contribuire molto più di quanto ricevono in sussidi pubblici; in due casi le entrate addirittura neutralizzerebbero i costi per lo Stato.
A livello europeo, la situazione è la stessa. All'inizio di quest'anno, gli economisti dell'Università di Leiden nei Paesi Bassi hanno pubblicato uno studio che dimostra come "i migranti siano costati alla maggior parte dei paesi analizzati (15 stati membri tra il 2007 e il 2018) meno della popolazione autoctona".
Nel 2020, il servizio di previsione strategica della Commissione europea aveva evidenziato che l'impatto fiscale netto dell'immigrazione era minimo, sottolineando come "i migranti contribuiscano alle finanze pubbliche tanto quanto ricevono in termini di benefici".
Il servizio aveva inoltre citato una simulazione del JRC (Joint Research Centre) che mostrava come i costi a breve termine dell'integrazione dei rifugiati negli stati membri dell'Ue potessero essere ampiamente superati dai benefici socio-economici e fiscali, con un effetto a lungo termine sul Pil annuale tra lo 0,2 e l'1,4 per cento rispetto alla crescita di base. A seconda del metodo di integrazione e dei relativi costi, si potrebbe ottenere un ritorno completo sull'investimento nelle politiche d’integrazione in un periodo tra i nove e i diciannove anni.
Dalle famiglie migranti proviene anche una parte importante dei lavoratori addetti ai servizi essenziali all’interno della nostra società. Uno studio pubblicato nel 2020 ha rilevato che il 13 per cento dei lavoratori chiave nell'Ue sono immigrati, una percentuale che sale al 33 per cento se si considerano i settori a bassa specializzazione e con condizioni di lavoro più difficili.
Bodeux ci ricorda che, sebbene la regolarizzazione sia un tabù, paesi come l'Italia e il Portogallo l'hanno utilizzata per affrontare la carenza di manodopera. In sostanza, questi meccanismi di regolarizzazione diventeranno una necessità, considerato l'invecchiamento della popolazione che molti paesi europei dovranno affrontare in futuro.
I dati dell'OCSE indicano che la popolazione in età lavorativa è destinata a diminuire in molti paesi. La Spagna rappresenta uno dei casi più eclatanti: la percentuale della popolazione over 64 è più che raddoppiata negli ultimi 50 anni, superando il 20 per cento nel 2023.
Tuttavia, sarà necessario molto più di un’ondata straordinaria di regolarizzazione. Viviane Ogou Corbi, consulente politica sulle questioni migratorie e sui rapporti Ue-Africa, ritiene che l'intero sistema migratorio spagnolo ed europeo debba cambiare.
Cambiare il paradigma della migrazione
"All'interno dei movimenti antirazzisti e di molti altri movimenti in cui la nazionalità gioca un ruolo intersezionale, si richiede una modifica della legge sull'immigrazione per allargarne gli orizzonti e permettere a queste persone di lavorare, contribuire al sistema di sicurezza sociale sin dall'inizio e, soprattutto, vedere garantiti i propri diritti", afferma Viviane a Voxeurop.
Tuttavia, questo contrasta con il linguaggio attualmente utilizzato per discutere di migrazione nel panorama politico europeo.
Il nuovo Patto Ue sulla Migrazione e l'Asilo, votato dal Parlamento europeo nell'aprile 2024 e che stabilisce nuove regole per la gestione dell’immigrazione a livello comunitario negli anni a venire, sostiene che uno degli obiettivi è stabilire "se le domande siano infondate o inammissibili e rimpatriare rapidamente coloro che non hanno il diritto di rimanere".
La sicurezza delle frontiere esterne rappresenta uno dei quattro pilastri del Patto, che si riflette nel rafforzamento del ruolo delle agenzie di sicurezza come Frontex e nella prosecuzione degli accordi con paesi terzi come Egitto, Tunisia e Mauritania.
"All’Europa serve un movimento contro il nuovo patto e a favore di un radicale cambiamento di paradigma a livello europeo, che deve essere senza dubbio un paradigma di garanzia, che riconosca la migrazione come una realtà umana impossibile da impedire", sostiene Viviane, la quale riconosce però che la legislazione europea non prevede un meccanismo per imporre ondate periodiche di regolarizzazione e che spetta quindi agli Stati membri prendere l'iniziativa.
"Ci auguriamo che le istituzioni siano coerenti e rispettino la volontà delle oltre 700.000 persone che hanno firmato affinché questa proposta di legge venga approvata", afferma Sarr riferendosi all'iniziativa di regolarizzazione spagnola.
Spera che gli organi politici che regolano l’immigrazione a livello spagnolo ed europeo tengano anche conto delle raccomandazioni degli esperti sui benefici dell'accoglienza dei migranti. "Hanno iniziato a combattere per chiudere le frontiere", sostiene, "ma presto combatteranno per farci entrare".

In collaborazione con European Data Journalism Network
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