I greci vogliono restare nell’Unione europea. E amano votare. Queste sono le uniche due certezze. Sembrano passati decenni dal controverso referendum con cui, nel 2015, gli elettori avevano bocciato le misure di austerità aggiuntive imposte dai tedeschi e dal Fondo monetario internazionale in cambio dell’estensione del piano di salvataggio per il paese. All’epoca il primo ministro Alexis Tsipras aveva dichiarato che l’esempio greco dimostrava che “la democrazia non può essere ricattata. La Grecia ha preso una decisione coraggiosa che cambierà il dibattito in Europa”. La storia ha dimostrato che si sbagliava.
Il terzo piano di risanamento economico per la Grecia, leggermente meno doloroso dei precedenti, è partito il 19 agosto 2015 e si è concluso il 20 agosto 2018. In totale il governo greco ha ricevuto 61,9 miliardi di euro di aiuti dal Meccanismo europeo di stabilità (Esm). In cambio dell’assistenza finanziaria il governo greco ha dovuto approvare diversi provvedimenti improntati all’austerità e riforme strutturali per risolvere i problemi economici del paese. Dopo il 2015 il popolo greco ha compreso che l’Unione europea è come l’hotel California: puoi andare via, ma non vorrai mai farlo.
Spettacolo sgradevole
Nelle ultime settimane il conflitto tra il governo di Syriza e il principale partito d’opposizione, Nuova democrazia, ha offerto uno spettacolo abbastanza sgradevole. Non c’è da stupirsi. La Grecia di oggi abbonda di drammi inutili in cui ogni confronto diventa una battaglia personale.
Il dibattito in vista delle elezioni europee si concentra sulle problematiche interne. Di Europa non si parla mai. Sia il primo ministro Alexis Tsipras sia il leader di Nuova democrazia Kyriakos Mitsotakis (considerato il favorito da tutti i sondaggi) hanno tirato fuori le armi pesanti, e anziché discutere i problemi del paese preferiscono diffamarsi a vicenda e parlare di scandali e corruzione. […] **Continua a leggere l'articolo su Internazionale.it.