Montagne rocciose, vestite di muschi e licheni, si estendono a perdita d'occhio. Non ci sono alberi all’orizzonte. Nel settembre 2024 l'erba non è ancora coperta di neve, ma il paesaggio ha un aspetto freddo, tipico di queste zone della tundra. Quest'area isolata a nord dell'Artico, in Norvegia, dista varie decine di chilometri dai primi centri abitati.
Un centinaio di renne trotta in cerchi concentrici. Sven (nome modificato) è in piedi, con lo sguardo vigile e rivolto verso la mandria. Il sessantenne fa roteare un lazzo bianco sopra la testa. Pochi secondi dopo, lo lancia con la mano destra in direzione di un giovane maschio. Riesce ad afferrare le corna al primo tentativo con un movimento abile e preciso. È normale. “Sono a contatto con le renne fin da quando ero molto giovane. Sono una parte molto importante delle nostre tradizioni”, spiega Sven sorridendo mentre tira l'animale verso di sé. L’uomo appartiene a uno degli ultimi popoli indigeni riconosciuti in Europa, i sami, costituito da circa 80mila individui.
Storicamente pescatori e cacciatori, la maggior parte dei sami un tempo era nomade e seguiva la transumanza delle proprie mandrie di renne. “Oggi ci siamo quasi tutti sedentarizzati e adattati al mondo moderno”, lamenta Sven. Le loro terre ancestrali si chiamano “Sápmi”: un territorio scandinavo senza confini che si estende dalla Norvegia settentrionale alla Russia occidentale, passando per la Svezia del nord e la Finlandia.
Un popolo unito oltre i confini
I sami godono di un riconoscimento ufficiale oltre i confini dal 1986, anno in cui è stata inaugurata la loro bandiera. Le leggi svedesi, norvegesi e finlandesi riconoscono ai sami lo status di “popolo indigeno”, anche se non esiste una definizione di questo termine concordata a livello internazionale. In ognuno di questi paesi è stato istituito un parlamento sami: in Finlandia nel 1973, in Norvegia nel 1989 e in Svezia nel 1993; tuttavia, i criteri per definire l’appartenenza al popolo sami e le modalità di registrazione alle liste elettorali variano da paese a paese. Prima di questo riconoscimento, i sami sono stati a lungo discriminati e hanno subitopolitiche razziste.
Ancora oggi, il loro territorio è sottoposto a leggi diverse a seconda degli stati su cui si estende, e questo crea non poche difficoltà, soprattutto ai sami ancora nomadi. Le regole sulla caccia variano da un territorio all'altro. Sebbene le autorità pubbliche e l'Ue stiano cercando di stimolare la cooperazione transfrontaliera per ridurre le differenze, la situazione è lungi dall'essere ideale.
Recentemente, la guerra in Ucraina ha isolato quasi 2.000 sami. “Di solito cooperiamo molto con i paesi vicini. Ma da quando la Russia ha invaso l'Ucraina, abbiamo dovuto sospendere la nostra cooperazione con i sami che vivono in Russia. È una situazione complicata, anche se il nostro popolo non è mai stato in guerra con nessuno”, spiega Anja Márjá Nystø Keskitalo, responsabile del Consiglio sami, un'organizzazione non governativa che si occupa attivamente di questioni politiche relative agli stati in cui vivono i sami. Questa non è l'unica sfida che il popolo sami deve affrontare per cercare di preservare la propria cultura e il proprio stile di vita.
La degradazione dell’ambiente dei Sami
I sami hanno un legame molto profondo con la natura che li circonda. Eppure, oggi, solo il 10 per cento continua a praticare l’allevamento di renne in Svezia, una delle loro tradizioni più rappresentative. Lo stesso accade negli altri paesi in cui vivono. Molti sami hanno dovuto diversificare le loro fonti di reddito con l'artigianato, il turismo e la pesca.
Sebbene alcuni sami siano artisti o intellettuali ben noti, il tasso di disoccupazione rimane elevato. Sven, da parte sua, ha lavorato per oltre quarant'anni in questo campo, ma l'impoverimento della natura ha ridotto le sue entrate. “Così mi sono dedicato agli affari e al turismo, sfruttando le conoscenze acquisite grazie all'allevamento di renne. Ora mi sto concentrando sull'affitto di camere”, riferisce.
Sven vive a Kiruna, città mineraria e nucleo delle sfide che il popolo sami deve affrontare. È la città più settentrionale della Svezia, situata a 200 chilometri a nord del circolo polare artico. Kiruna è anche la sede del parlamento sami del paese. Due montagne svettano sulla più grande municipalità d’Europa: Luossavaara e Kiirunavaara, la seconda ospita la più grande miniera di ferro al mondo. Alla stazione, statue di bronzo in onore dei minatori che vi hanno lavorato per generazioni accolgono i viaggiatori. Una città sviluppatasi grazie alla miniera, che adesso sta lentamente inghiottendo il territorio che ha sempre alimentato: questo è il paradosso di Kiruna.
Nel 2004, le autorità locali di questo comune di oltre 20mila abitanti hanno deciso di trasferire un terzo della popolazione a causa del cedimento del suolo provocato dall'attività mineraria. Il nuovo centro cittadino, che sorgerà a tre chilometri a est, dovrebbe essere completato entro il 2035.
La scoperta del più grande giacimento di terre rare d'Europa a Kiruna, nel gennaio del 2023, da parte della società LKAB sostiene ulteriormente le ragioni dello sfruttamento di queste miniere.
Oltre allo sfruttamento eccessivo delle terre rare e delle foreste, l'Artico si sta riscaldando quattro volte più velocemente rispetto al resto del pianeta. Nel cuore del “territorio Sápmi” vengono installate sempre più pale eoliche e centrali idroelettriche, in nome della transizione ecologica.
Queste soluzioni, promosse dal Patto verde europeo, stanno esercitando ulteriori pressioni sul popolo sami. Per cui, come creare e mantenere un dialogo?
Rafforzare la connessione tra sami e Ue
In questo contesto, l'ong Consiglio sami, in partnership con l'associazione Suoma Sámi Nuorat, ha ricevuto un finanziamento di quasi un milione di euro per il progetto “Filling the EU-Sápmi knowledge gaps” (Colmare il divario culturale tra Ue e Sápmi) che opererà nella regione transfrontaliera che comprende la Finlandia nord-orientale, l'alto Norrland in Svezia e alcune parti della Norvegia.
Il Fondo europeo di sviluppo regionale dell'Ue ha coperto oltre il 60 per cento del budget totale per il programma Interreg V-A, un'iniziativa di cooperazione tra Svezia, Finlandia e Norvegia (NORD). “L'idea è di ‘avvicinare’ il Nord, e i sami in particolare, al resto dell'Unione europea”, spiega un funzionario della Commissione europea. “Queste regioni settentrionali sono geograficamente molto distanti. È quindi molto importante ‘avvicinarle’ agli altri cittadini europei”.
Il programma ha permesso la creazione di un centro di ricerca Ue-sami composto da sei esperti sami che appartengono a diverse sfere sociali e che hanno elaborato una strategia “tuttora utilizzata dalla nostra organizzazione nelle relazioni con l'Ue”, afferma il Consiglio sami.
Da gennaio 2020 a giugno 2022, questo progetto ha offerto a un centinaio di sami l’opportunità di partecipare a corsi e stage per comprendere il funzionamento dell'Unione europea. “Ho partecipato al progetto come stagista presso il Consiglio sami, ho potuto co-organizzare il terzo corso previsto dal progetto [...] e presentarlo ai ventuno giovani studenti sami che hanno preso parte a questa sessione”, riferisce Anja Márjá Nystø Keskitalo, che dopo lo stage ha iniziato a lavorare a tempo pieno per questa organizzazione.
Dal 20 al 22 giugno 2022, nell'ambito del programma, è stata organizzata a Bruxelles la Settimana europea dei sami. L'obiettivo dell'evento era quello di sensibilizzare i responsabili politici dell'Ue sulla necessità di includere il popolo sami nelle loro politiche, ma anche di farlo conoscere e di promuovere la sua cultura.
Al termine del programma, il Consiglio sami ha notato un aumento dell'attenzione mediatica per la causa del popolo sami. L'ong sta anche ricevendo ulteriori inviti a partecipare a conferenze e progetti di ricerca. “Dobbiamo continuare a sensibilizzare l'Europa sugli effetti che le sue decisioni possono avere sulla nostra comunità e dobbiamo trovare una soluzione che ci permetta di soddisfare il nostro fabbisogno energetico senza violare i nostri diritti umani”, afferma Anja Márjá Nystø Keskitalo.
“Il nostro popolo deve poter continuare a praticare le proprie attività di sussistenza, per garantire la sopravvivenza delle nostre lingue e della nostra cultura: senza la terra, anch’esse moriranno”, continua. L'autrice si dice determinata a continuare a difendere la causa dell'ultimo popolo indigeno d'Europa, il suo popolo: “È un nostro diritto fondamentale praticare la nostra cultura”.
👉 L'articolo originale su Slate.
Questo articolo è stato pubblicato nell'ambito del progetto giornalistico The Newsroom 27, una partnership tra Slate.fr e la Commissione europea. Ventisette giovani giornalisti provenienti da tutta l'Unione si sono riuniti per ventisette giorni con l’obiettivo di redigere una panoramica delle azioni concrete della politica di coesione dell'Ue.
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