Organizzazioni come la Federazione europea dei giornalisti, e quotidiani come The Guardian, Dagens Nyheter, La Vanguardia e Ouest-France, tra gli altri, annunciano il loro addio a X (ex Twitter).
Spesso si sente l’argomento secondo il quale i social media sono i principali responsabili dei problemi di salute mentale dei giovani. Un articolo pubblicato su The Conversation aggiunge un’importante sfumatura. Roland Paulsen, professore di sociologia presso l’Università di Lund, fa riferimento ai dati dell’Agenzia per la salute pubblica della Svezia, e a ricerche condotte in Norvegia e Regno Unito, per dimostrare che “i giovani hanno cominciato a essere più ansiosi ben prima dell’arrivo dei social media”.
Questi dati hanno portato Paulsen alla conclusione che gli attuali sforzi in Europa per vietare gli smartphone nelle scuole non avranno gli effetti desiderati sulla salute mentale. “Se da un lato è positivo richiamare l’attenzione sull’aumento dei tassi di depressione e ansia”, scrive Paulsen, "dall’altro, c’è il rischio di rimanere su spiegazioni semplicistiche che riducono il problema a variabili tecniche come il ‘tempo passato davanti agli schermi’. [...] Ridurre il problema a variabili isolate, pensando che la soluzione migliore sia l’introduzione di una nuova politica (come il divieto degli smartphone), segue una logica tecnocratica [...]. Il rischio di questo approccio è che la società venga esclusa dell’analisi”.
In modo analogo, Victor Dhollande riporta su France Inter che i tassi di depressione nei giovani in Francia sono drasticamente aumentati dopo i primi lockdown dovuti al Covid. “Il 41 per cento degli studenti presenta sintomi depressivi (rispetto al 26 prima del Covid). Si tratta di un aumento di 15 punti in soli quattro anni. Nello stesso periodo, i pensieri suicidi nei giovani tra i 18 e i 24 anni sono passati dal 21 per cento al 29 per cento. Le loro ansie sono ben note: difficoltà economiche, un sistema educativo sempre più selettivo e quindi stressante, disoccupazione. [...] Quasi tutti citano il contesto geopolitico, con i conflitti internazionali e il cambiamento climatico che rendono il loro futuro sempre più incerto”. I dati provengono da uno studio condotto da ricercatori dell’Università di Bordeaux e dell’Inserm.
Secondo il direttore di un ospedale psichiatrico parigino, la situazione potrebbe portare a “una generazione sacrificata nel giro di pochi anni” se non si troveranno le giuste soluzioni. “Il problema”, riferisce Dhollande, “è che le strutture di assistenza sanitaria sono sovraccariche: negli ospedali, nei centri medico-psicologici e negli studi privati ci sono troppi pazienti, pochi medici, e poche strutture specializzate".
In maniera meno drammatica, su The Guardian Harry Taylor parla di un altro problema di salute mentale attribuito ai social media: il “brain rot” (deterioramento dello stato mentale). Ogni anno, gli editori dell’Oxford English Dictionary invitano il pubblico a votare la parola dell’anno. Nel 2019 era stata “climate emergency” (emergenza climatica). Nel 2024 è stata scelta "brain rot", un’espressione che, secondo la Oxford University Press, "ha acquisito una nuova rilevanza nel 2024 per descrivere le preoccupazioni legate al consumo eccessivo di contenuti online di bassa qualità, in particolare sui social media".
Tornando a The Conversation, Filippo Menczer, professore di informatica presso l’Università dell’Indiana, analizza le “campagne di influenza straniera e le operazioni di manipolazione delle informazioni” che tendono a proliferare durante le stagioni elettorali, oltre a discutere le potenziali soluzioni sviluppate con i suoi colleghi dell’Observatory on Social Media. Sebbene i ricercatori possano stimare la portata e descrivere i metodi di queste operazioni, Menczer riconosce che “le conseguenze [...] sono difficili da valutare a causa delle sfide legate alla raccolta di dati e agli esperimenti etici che influenzerebbero le comunità online. Pertanto, non è chiaro, ad esempio, se le campagne online possano influenzare gli esiti elettorali”.
Dato l’ampio utilizzo degli strumenti di generazione di contenuti basati sull’ia in queste operazioni, Menczer sostiene che le normative per contrastarle dovrebbero colpire la “diffusione di contenuti generati dall’ia tramite piattaforme social piuttosto che alla generazione di contenuti stessa”.
Le piattaforme possono adottare anche misure pratiche, come rendere più difficile la creazione di account falsi e post automatizzati. “Questi tipi di moderazione dei contenuti proteggerebbero, anziché censurare, la libertà di espressione nelle piazze pubbliche moderne”, sostiene Menczer. “Il diritto alla libertà di espressione non è un diritto alla visibilità, e poiché l’attenzione delle persone è limitata, le operazioni di influenza possono, di fatto, rappresentare una forma di censura rendendo meno visibili le voci e le opinioni autentiche”.
Infine, nel Dublin Inquirer, Shamim Malekmian indaga su un appello sospetto e non rintracciabile rivolto a "galoppini elettorali digitali" apparso su X in vista delle elezioni generali in Irlanda. L’inchiesta porta a una discussione su come regolamenti dell’Ue come il GDPR e il DSA siano concepiti per contrastare operazioni così poco trasparenti e esenti dai controlli durante i periodi elettorali.
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