"Siamo il paese dei figli di papà": così Maurizio Ricci riassume su Repubblica le conclusioni di uno studio Ocse sulla mobilità sociale, intitolato "A family affair".
Esaminando la correlazione tra gli stipendi di padri e figli, per quanto riguarda l'Italia lo studio presenta "l'instantanea di una società immobile, pietrificata, con gerarchie sociali ed economiche pressoché immutabili, dove il merito individuale conta poco e in cui, dunque, salire la scala è una possibilità minima e precaria." Se in Danimarca e in Norvegia il reddito del padre influisce su quello dei figli per il 20 per cento, in Italia il valore sale al 50 per cento. In Gran Bretagna e Francia la percentuale è quasi identica, ma almeno il benessere della famiglia di origine si riflette positivamente sui risultati scolastici. In Italia, invece, questa correlazione è assai debole, rispecchiando del resto un sistema di avanzamento di carriera basato sul background più che sulle competenze.
Un problema di giustizia sociale, perché i ricchi restano ricchi e i poveri poveri, ma anche di competitività economica: "Le società meno mobili tendono più facilmente a sprecare o utilizzare male talenti e capacità. Secondo, la mancata uguaglianza di opportunità può influenzare le motivazioni, gli sforzi e, alla fine, la produttività dei suoi cittadini, con effetti negativi sulla efficienza complessiva e sul potenziale di crescita dell'economia".