Attualità Commissione europea
L'Europa, di notte, vista dallo spazio. Planetary Visions Ltd, NASA

Tre idee per un nuovo orizzonte

Rieletto dopo complesse manovre, il presidente della Commissione José Manuel Barroso deve adesso esprimere una politica al servizio dell'Unione. Coesione interna, allargamento e relazioni con i paesi vicini devono essere le direttrici della sua azione, osserva il politologo José Ignacio Torreblanca. 

Pubblicato il 22 Settembre 2009 alle 15:22
L'Europa, di notte, vista dallo spazio. Planetary Visions Ltd, NASA

Blu in origine, verde con il tempo e rosso a seconda delle occasioni, un Barroso astuto come un camaleonte è riuscito a farsi rieleggere alla presidenza della Commissione europea, con una maggioranza a prova di trattato. La frase "il mio partito è l'Europa" sintetizza perfettamente la filosofia che lo ha portato alla vittoria: giocare su più fronti. Parafrasando la celebre frase di Neil Armstrong quando mise piede sulla luna: è un gran passo per Barroso, ma siamo certi che non sarà un piccolo passo per l'Europa?

In un modo tanto semplice quanto drammatico, possiamo pensare i prossimi cinque anni come l'ultima possibilità per l'Europa di assumere un ruolo mondiale importante. La crisi economica ha messo in evidenza che sia all'esterno che all'interno, l'Europa è incompiuta. È vero, l'Unione è un'istituzione aperta e libera e quindi un progetto incompiuto, ed è anzi un bene che sia così. Ma se si osserva l'Europa attuale, vediamo crepe, fessure, questioni in sospeso e rischi importanti. Ma anche opportunità.

Alcune sfide, come misurarsi con la Cina e la Russia, o essere un vero attore mondiale, superano le nostre capacità attuali. Ma altre sono senza dubbio alla nostra portata. In altri termini, se l'Unione europea non è neanche capace di occuparsi dell'Europa, là dove le sue capacità politiche ed economiche sono più che sufficienti per esercitare una vera leadership, con che diritto può reclamare una leadership di livello mondiale?

Un secolo multipolare

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Mentre si celebra il ventesimo anniversario della caduta del muro di Berlino, sappiamo che il ventunesimo secolo sarà multipolare. Ma ignoriamo se ci sarà un polo europeo. Come evidenzia il G20 di Pittsburgh, mentre gli europei sono numerosi nelle istituzioni mondiali, l'Europa lo è molto meno. Fino a quando?

"Realizzare l'Europa" non significa negoziare nuovi trattati, né andare verso un'unione federale. Si tratta invece di prendere sul serio i nostri principi e impegni (fra cui quello dell'allargamento), di cercare di mettere fine alle nostre divisioni interne e di ristabilire la nostra leadership, almeno nella sfera europea. Si deve agire su tre aspetti distinti.

Convergenza tra nuova e vecchia Europa

In primo luogo esistono ancora nell'Unione dei membri di prima e di seconda classe, cosa che genera divisioni interne e crea un'estrema debolezza. È quindi necessario mettere a punto una strategia che assicuri la stabilità e la prosperità dei nuovi arrivati e realizzi una vera convergenza tra vecchi e nuovi membri. Questo implica la necessità di ridurre, per quanto è possibile, i periodi di transizione, di cercare il modo per allargare l'unione monetaria e i suoi benefici ai nuovi membri e di approfittare della prossima revisione del bilancio comunitario per massimizzare l'impatto delle politiche strutturali.

Prendere sul serio l'allargamento

Questa Europa incompiuta, in secondo luogo, è ancora più evidente nei Balcani occidentali, dove l'Ue rinvia costantemente le sue promesse di adesione. In questo modo si crea un circolo vizioso difficile da rompere: di fronte all'assenza di prospettive europee credibili, i paesi candidati rallentano le riforme, e la lentezza delle riforme rende l'Ue sempre meno disponibile all'allargamento. Il piano originale, che consisteva nell'ammettere la Croazia e aspettare che la Turchia getti la spugna per poi alzare il ponte levatoio, potrebbe ritorcersi contro la stessa Ue e provocare un grave danno di immagine, soprattutto se l'Islanda dovesse aderire saltando la fila. Di conseguenza non si tratta solo di accelerare artificialmente le adesioni, visto che molti paesi non sono ancora pronti, né di smettere di sperare segretamente che in questa regione tutto evolva lentamente per non dover mantenere le promesse fatte, ma di lasciare da parte la burocrazia, di sostenere le riforme in questi paesi e di ripristinare la credibilità dell'Europa prendendo sul serio le prospettive di allargamento.

Soddisfare le aspirazioni dei vicini

In terzo luogo, nei paesi vicini all'Ue, che vanno dalla Bielorussia fino al Caucaso (metto volontariamente da parte il Mediterraneo), nonostante gli innumerevoli problemi il modello rappresentato dall'Unione rimane molto attraente, anche se molti dubitano che il nostro livello di benessere, di libertà e di sicurezza sia realmente alla loro portata. Di conseguenza l'obiettivo concreto dovrebbe essere soprattutto quello di assicurare un modo veramente efficace per portare l'Europa fino a loro e per soddisfare realmente le loro aspirazioni, piuttosto che limitarsi a farli entrare in Europa. Tuttavia questa visione strategica - basata sull'idea che investire in questi paesi significa investire nella nostra sicurezza e prosperità (e nel consolidamento dei nostri valori democratici) - rimane poco condivisa nel'Ue e non trova riscontro nelle nostre politiche nei confronti di questi paesi.

Presidente Barroso, se il suo partito è l'Europa, la realizzi!

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