Pronti per la disoccupazione. Studenti a Coimbra, Portogallo. Dda1506/Flickr

Una generazione a rischio

In Gran Bretagna la chiamano "generazione perduta" – i giovani tra 16 e 25 anni che entrano in un mercato del lavoro devastato dalla crisi e incontrano enormi difficoltà a trovare un impiego. Ma anche in Portogallo il problema si aggrava, avverte Público.

Pubblicato il 20 Gennaio 2010 alle 15:59
Pronti per la disoccupazione. Studenti a Coimbra, Portogallo. Dda1506/Flickr

Il fenomeno è noto, osserva Virginia Ferreira della facoltà di economia dell'università di Coimbra: "Dai nostri vicini spagnoli sono chiamati i 'mileuristas' [quelli che guadagnano mille euro al mese]. Qui ne guadagnano la metà, circa 500 euro". Tuttavia parlare di generazione perduta le sembra esagerato: "È una frase fatta, un'espressione che semplifica una realtà più complessa". I giovani sono sempre meno numerosi. Nel 1999, secondo l'Istituto portoghese di statistica, erano 3,1 milioni, di cui il 48 per cento (un milione e mezzo) tra 15 e 24 anni. Nel 2008 erano 327mila in meno e la diminuzione è soprattutto in questa fascia di età. Si tratta inoltre della generazione più scolarizzata della storia portoghese. Per l'anno scolastico 2007-08, l'insegnamento superiore, contava 337mila iscritti, un'aumento del 20 per cento rispetto al 1995-96. Alla fine del 2008 le università portoghesi hanno immesso sul mercato del lavoro più di 83mila laureati, cioè il 16 per cento in più rispetto all'anno precedente. "Le generazioni precedenti sono entrate più facilmente nel mercato del lavoro", osserva Carlos Gonçalves, che ha studiato l'occupazione dei laureati. Oggi la ricerca del lavoro richiede più tempo, e chi riesce ad avere un impiego ottiene per lo più dei contratti a tempo determinato o che rientrano nel regime dei cosiddetti recibos verdes ["ricevute verdi", concepite all'inizio per i lavoratori autonomi e che con il tempo si sono generalizzate, diventando il simbolo del lavoro precario in Portogallo]. Un esempio tipico è il laureato che lavora in un call center.

Per Elisio Estangue, della facoltà di economia dell'Uc, in passato esisteva "un'occupazione legata all'apprendistato". Gli studenti si sforzavano di seguire i loro gusti o la loro vocazione. Poi l'insegnamento "si è democratizzato, commercializzato". Le garanzie sono scomparse e la crisi ha aggravato la tendenza. Oggi "la principale preoccupazione è sapere se un corso universitario ha o meno degli sbocchi professionali. Paradossalmente, oggi gli studenti hanno più difficoltà a ottenere risultati". La tragedia non riguarda solo i diplomi universitari, ma anche quelli meno qualificati – ogni giorno ci sono imprese che falliscono e fabbriche che chiudono. Il passaggio dal mondo della giovinezza a quello adulto non avviene più nello stesso modo. I giovani sono costretti a vivere a casa dei loro genitori e rimandano i loro impegni, che si tratti di comprare una casa o di mettere su una famiglia, osserva Virginia Ferreira. Tutti cercano un lavoro precario, perché non c'è altro.

Apatici e frustrati

"Attorno a me tutti sono depressi a forza di non avere alcuna prospettiva soddisfacente", confessa Sara Gemito, del movimento Precários Inflexíveis; "Tutti sentono di avere le mani legate e sono scoraggiati". "Anche se non ci definiamo solo per quello che facciamo, il lavoro ha un ruolo fondamentale nella costruzione di noi stessi", sottolinea Sofia Marques da Silva, della facoltà di psicologia e di scienze dell'educazione dell'università di Porto. "E lo stipendio è un elemento essenziale per organizzare il passaggio da un'età all'altra. Senza stipendio si ha l'impressione di fare un passo indietro, anche dal punto di vista della dignità". Anche Da Silva rifiuta di parlare di generazione perduta, ma è convinta che "questa generazione ha grandi difficoltà a immaginare quello che farà in un futuro che ancora non esiste".

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Questi giovani fissano nel presente l'impressione del tempo che passa, una cosa che Da Silva giudica "pericolosa": "Chi non immagina le tappe della propria vita può volere una cosa sola, approfittare rapidamente di attimi, di sensazioni immediate". Non c'è un vero spirito di rivolta, come in altri paesi europei, ma la criminalità è in aumento. Elisio Estanque vede una forte alienazione sociale ed è preoccupato per le condizioni della democrazia. Prima di tutto perché il sistema non può funzionare senza una solida partecipazione elettorale, ma soprattutto perché è importante che esistano delle associazioni per rendere più fluidi i meccanismi sociali. Purtroppo però "i giovani si mostrano poco disposti a partecipare: sono condizionati dalla paura".

Ovviamente non bisogna generalizzare. Esistono anche spunti di contestazione, come alcuni blog e movimenti di protesta, ricorda Cristina Andrade, di Fartos d'Estes Recibos Verdes [Stufi di queste ricevute verdi]. Ma quello che domina, osserva Marques da Silva, è una "spaventosa docilità. Le imprese considerano i giovani sottomessi, e pronti ad accettare tutto". Durante un'inchiesta condotta alla Casa de Juventude [equivalente alle nostre Case dello studente] di Matosinhos, vicino a Porto, la ricercatrice ha sentito un'osservazione eloquente: "Si mangiano tutto e a noi lasciano solo le ossa". (adr)

IN EUROPA

Bamboccioni per forza

I giovani portoghesi costretti a restare a casa dei genitori perché non possono pagare un affitto sono in buona compagnia. Nella vicina Spagna sono il 72 per cento di chi ha tra 20 e 30 anni, in Italia il 70 e in Irlanda il 61. All'estremo opposto, solo il 18 per cento dei giovani svedesi vive ancora con mamma e papà, seguiti dai britannici (28%) e dai francesi (35%). Le percentuali diminuiscono tra chi ha un lavoro, anche se la diffusione del precariato, soprattutto in Italia e Spagna, contribuisce a "frustrare ulteriormente l' autonomia", scrive La Repubblica.

Secondo il quotidiano il sistema di protezione sociale è un fattore determinante: "dove non esiste sussidio statale per chi studia e per chi cerca lavoro, restare in casa è spesso una scelta obbligata". Altre ragioni sono "le usanze e i modelli familiari, i livelli di istruzione e la durata degli studi".

"In Italia, come in Spagna o in Grecia, gran parte del welfare è affidato alle famiglie e gran parte delle famiglie non può semplicemente permettersi di sostenere le spese di un figlio fuori di casa", spiega Chiara saraceno, coautrice di un rapporto comparativo su famiglie, lavoro e reti sociali in Europa. "Altrove, come nel nord Europa, dove le borse di studio vengono assegnate in modo più ampio e con criteri diversi e dove esiste un vero welfare per i giovani, è considerato anomalo che un ragazzo resti in famiglia. Diverso è anche il mercato immobiliare: dove gli affitti sono facili e accessibili, i giovani se ne vanno", aggiunge. "Per andare a vivere da soli, i giovani inglesi sono dispostia fare debiti e a vivere in affitto, così come i loro coetanei svedesi, francesi e irlandesi, mentre la casa di proprietà o prestata gratuitamente da un parente prevale in Italia e in Spagna". Infine, nota La Repubblica, nei paesi cattolici il matrimonio resta "il principale motivo per allontanarsi da casa".

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