Una medaglia di cittadinanza britannica (Afp)

Una nuova idea di cittadinanza

Con la scomparsa delle frontiere e le rivendicazioni della sua forte minoranza russa, l'Estonia rimette in discussione la sua nozione di "vivere insieme". Una riflessione che si impone a tutti i paesi d'Europa, soprattutto di fronte al fenomeno dell'immigrazione.

Pubblicato il 7 Ottobre 2009 alle 15:09
Una medaglia di cittadinanza britannica (Afp)

Il primo ottobre il ministro estone della giustizia, Indrek Teder, ha dichiarato davanti al parlamento che l'Estonia è troppo etnocentrica e che si devono ripensare i princìpi e la filosofia dello stato. Per il ministro bisognerebbe progressivamente passare a una mentalità più aperta [in Estonia si fa ancora differenza fra cittadini per nascita e non estoni].

Dopo gli incidenti dell'aprile 2007 [che avevano opposto la polizia e i membri della minoranza russa dopo lo spostamento di una statua dedicata alla vittoria sovietica sul nazismo], lo stato estone ha cercato di integrare le nuove generazioni di non estoni nella società. Ma quando la situazione si è tranquillizzata, altri argomenti più scottanti hanno sostituito la preoccupazione della coesione sociale. A parte alcuni progetti di legge, la questione dell'integrazione è rimasta limitata al ministero della popolazione [sciolto nell'estate scorsa] senza suscitare dibattiti più ampi nella società.

Verso una società fondata sul cittadino

Le proposte del ministro della giustizia meritano di essere applaudite, perché hanno rilanciato il dibattito sulla questione nazionale. Teder dà voce a una riflessione cosmopolita che non ha trovato molti sostenitori nell'Estonia di oggi. Parlare di stato-nazione e della vitalità del sentimento estone è più politically correct che evidenziare i pericoli di uno stato etnocentrico. In Europa il concetto di stato-nazione è considerato in modo molto diverso. I paesi europei più antichi si rifanno di solito all'approccio in base al quale chiunque vive nel paese e parla la lingua del posto deve essere considerato come un membro della società a tutti gli effetti. A causa della loro storia i nuovi arrivati, gli stati dell'Europa dell'est, sono più etnocentrici, perché per 50 anni non hanno partecipato al processo di scomparsa delle frontiere in Europa e questo è per loro un fenomeno del tutto nuovo.

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Saper trattare la questione nazionale come uno stato che ha cittadini in senso lato piuttosto che cittadini per nascita è il segno di una società matura. Progredire verso una società più coerente e "incentrata sul cittadino", come ha proposto il ministro della giustizia, è probabilmente inevitabile, perché non è possibile guardare alla questione nazionale come nel diciannovesimo secolo. Il problema è sapere se questo processo sarà pilotato a livello statale o se si esprimerà attraverso eccessi incontrollati, come nel 2007. Ovviamente sarebbe più saggio avviare il processo quando lo stato è ancora capace di esercitarne il controllo, anziché rimanere passivi e rischiare di essere travolti dagli eventi.

OPINIONE

Un altro approccio all'integrazione

La globalizzazione del fenomeno della migrazione "riguarda il vivere insieme, cioè la definizione stessa della cittadinanza", osserva Catherine de Wenden del Centro di studi e di ricerche internazionali (Ceri) di Parigi. E gli Stati europei, "a differenza degli Stati Uniti, del Canada o dell'Australia, che hanno ridefinito la loro cittadinanza negli anni sessanta", si trovano "da poco ad affrontare l'esperienza del multiculturalismo", spiega la ricercatrice in un'intervista pubblicata su Le Monde. Dopo essere stata per molto tempo una regione di partenza, l'Europa "fa fatica ad accettarsi come un continente di immigrazione", o addirittura di ripopolamento. Per Catherine de Wenden è necessario che i paesi europei stabiliscano uno statuto del migrante, per permettere agli immigrati di diventare un elemento costitutivo degli stati.

"I paesi possono trarre vantaggio da questo fenomeno a condizione che i migranti abbiano uno status giuridico, paghino i contributi sociali, consumino e mandino denaro ai loro parenti". Inoltre sarebbe necessario introdurre il diritto universale alla mobilità, perché molti migranti - per esempio i lavoratori ricchi e qualificati - aspirano a considerare la mobilità come uno stile di vita. "Il grande perdente di questa mobilità è lo stato, col suo tentativo di imporre la sua sovranità sul controllo delle frontiere e sulla definizione dell'identità nazionale", osserva la ricercatrice. Di fatto il principio di mobilità si scontra ancora con la resistenza dei governi, che continuano a privilegiare gli aspetti di sicurezza legati all'immigrazione. "Si criminalizza la migrazione, a scapito di un approccio economico e sociale", afferma Catherine de Wenden.

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