Attualità Fondo monetario europeo

Uno per tutti, tutti per uno

L'idea di un fondo d'emergenza che aiuti i paesi in difficoltà ed eviti minacce alla stabilità dell'euro si sta facendo strada. Chi vi si oppone, come la Germania, dovrebbe ricordarsi di quando ha approfittato della solidarietà europea.

Pubblicato il 15 Marzo 2010 alle 16:14
Erik Dreyer

Nei prossimi giorni l'Europa tornerà ad affrontare la situazione della Grecia. I ministri delle finanze stanno discutendo una serie di possibili interventi per aiutare Atene, per una cifra compresa tra i 20 e i 25 milioni di euro. Ma l'Europa dovrà anche fare i conti con sé stessa. Il Primo ministro greco Georges Papandreou ha spinto il paese verso una reale unione economica. Dopo aver imposto ai cittadini un pesantissimo piano di austerity per soddisfare Bruxelles si è dedicato a fondo alla lotta contro gli speculatori. Ora però Papandreou si aspetta che sia l'Europa a rispettare i patti, ed ha dichiarato che in caso contrario la Grecia è pronta a ricorrere al Fondo monetario internazionale per uscire dalla crisi. Un'eventualità che sancirebbe il fallimento della moneta unica. L'Ue deve guardarsi allo specchio e decidere in fretta.

La prospettiva del dibattito pubblico si è improvvisamente capovolta. L'attenzione si è spostata dal "pericolo greco" (ampiamente esagerato, dato che l'economia ellenica costituisce appena lo 0,3 per cento di quella comunitaria) alla necessità impellente di una risposta europea. È il momento di elaborare una strategia su misura per fronteggiare l'eventualità, in vero più che probabile, che il debito pubblico greco cresca eccessivamente. Non è possibile scartare nessuna ipotesi, nemmeno quella della sospensione dei pagamenti del debito.

Il problema greco non riguarda solo i greci. È un banco di prova per l'euro ed evidenzia la necessità di perfezionare i meccanismi interni dell'unione monetaria. L'obiettivo è e resta il raggiungimento di un'unità economica vincolante e non più solo volontaria. Per riuscirci l'Europa deve imparare a proteggere sé stessa. L'Ue dovrà necessariamente predisporre un fondo d'emergenza permanente e preventivo per l aiutare alle economie in crisi, regolato da condizioni d'accesso rigide, chiare e universali. I membri dell'Unione non devono essere incentivati al lassismo e alla cattiva gestione economica, ma allo stesso tempo devono sentirsi tutelati. La creazione del fondo è d'interesse comune e trasversale: poter disporre di un budget per le emergenze permette di reagire rapidamente, come ha dimostrato Washington dopo il fallimento della Lehman Brothers.

Il nodo del finanziamento

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Un primo approccio all'idea di un fondo per la gestione delle crisi è la recente collaborazione tra Daniel Gros – direttore del Center for european policy studies (Ceps), il più grande think tank di Bruxelles – e Thomas Mayer, importante economista della Deutsche bank. Il risultato è un documento intitolato Verso un Fondo monetario europeo. Secondo Gros e Mayer la storia recente suggerisce la creazione di un fondo europeo che sia più efficace e specifico del Fmi: se un paese europeo in crisi decidesse di appoggiarsi al Fmi e poi subito barricarsi (come è successo all'Argentina nel 2001) l'Ue non sarebbe in grado di disciplinare gli aiuti e le conseguenze per l'Euro sarebbero tragiche. Il Fondo monetario europeo (Fme) permetterebbe invece di rafforzare la tanto decantata solidarietà europea. L'aspetto più controverso della proposta di Gros e Mayer riguarda il finanziamento del fondo, che secondo gli autori spetterebbe ai paesi che non rispettano i requisiti di Maastricht (tetto del debito al 60 per cento del Pil e deficit al 3 per cento.)

Fino ad oggi l'Europa si è concentrata sui problemi specifici della Grecia, aspettando che il paese ritrovasse la serietà perduta. Adesso invece gli occhi sono puntati sulla Germania e sulla necessità che assuma il comando della situazione. Il risentimento internazionale deve tornare nel baule dei ricordi. Non c'è più tempo per le lamentele dei buoni contribuenti verso gli imbroglioni che hanno falsificato i conti. In realtà sarebbe meglio fare appello al comune interesse che alla leadership. L'unione monetaria è stata un bene per tutti, perché ha spazzato via i tormenti nazionali e le speculazioni internazionali all'interno della Comunità europea: con i tassi d'interesse controllati, con il peso internazionale dell'euro (utilizzato come valuta di riserva in misura maggiore rispetto al vecchio marco tedesco), con la sua forza di risanamento delle finanze pubbliche.

Oggi a te, domani a me

È innegabile che i paesi meno prosperi (beneficiari netti, come gli stati del Mediterraneo) sono stati spinti verso l'euro dalla favorevole politica strutturale. Versando appena l'uno per cento del Pil si sono attaccati al rubinetto degli aiuti economici e hanno potuto avviare un processo di modernizzazione altrimenti impensabile. In compenso però la Germania e gli altri contribuenti netti hanno puntellato il proprio surplus commerciale (di cui il deficit fiscale è la contropartita naturale) grazie all'occupazione industriale dei mercati meno sviluppati. La compagnia di trasporti Siemens, ad esempio, ha fatto affari ad Atene, imitata nel Pireo dalla francese Frem. L'Europa, oltretutto, ha aiutato la Germania nel suo processo di riunificazione. I Länder orientali sono tra i maggiori beneficiari di aiuti economici e strutturali. Senza dimenticare che a suo tempo è stata l'Europa a sostenere i costi delle difficoltà della Germania, alle prese con la fusione tra il marco occidentale e quello orientale e costretta ad attuare una politica monetaria restrittiva ed alzare i tassi d'interesse. Nel 2003 furono tedeschi e francesi a non rispettare i limiti del Patto di stabilità e crescita. In quell'occasione l'Ue non applicò le sanzioni previste e successivamente (2005) ha modificato la normativa del Patto permettendo la detrazione dal deficit "dei contributi finanziari impiegati (...) per l'unificazione dell'Europa". L'Europa ha la buona abitudine di fare vestiti su misura, di adattare la sua struttura alla necessità dei singoli stati. Uno per tutti, tutti per uno. (as)

Contrappunto

Un incentivo al lassismo

Ci sono “ottime ragioni per non dar vita a un Fondo monetario europeo”, assicura Janne Chaudron su Trouw. Il mancato rispetto del Patto di crescita e di stabilità dimostra che “in tempi di crisi, tutti i paesi superano il limite del 3 per cento (imposto al disavanzo rispetto al Pil), ma è da tempo che non si comminano più multe". Una seconda ragione, ancora più importante, è che "i paesi della zona euro manifesteranno una crescente tendenza all'indisciplina perché avranno sempre l’Fme come ancora di salvataggio”, avverte Chaudron. I drastici provvedimenti varati in Grecia – la riduzione dei salari, l’innalzamento dell’età lavorativa – sono dovuti in massima parte al fatto che la Grecia non ha alternative: gli altri paesi non sono disposti ad aiutarla. E in fondo si tratta di una cosa positiva: queste riforme sono indispensabili, se si vuole che l’economia ritorni a essere stabile. Non fare nulla avrà dunque maggiore impatto che creare un Fme”.

Sul Financial Times, Wolfgang Münchau riflette che “il Fme è soltanto una cortina di fumo, che consente ai paesi di abbandonare la zona euro senza lasciare l’Unione europea. Qui non si tratta di aiutare i paesi in difficoltà, ma di aiutarli a uscirne”. Poiché l’idea lanciata dal ministro tedesco delle finanze Wolfgang Schäuble impone una modifica dei trattati europei, Münchau ne deduce due possibili conseguenze. O “un’unione monetaria di 16 paesi o più, che finirà con l’avere bisogno di un’unità fiscale completa” – cosa difficilmente accettabile da parte di tutti i paesi – oppure un’unione monetaria tra paesi aventi le medesime caratteristiche economiche, anche se “soltanto un numero relativamente esiguo di essi è in grado di assicurare politicamente ed economicamente un’unione monetaria con la Germania”. Ed è per questo – conclude Münchau, che il Fme di fatto assomiglia molto a un piano per sbarazzarsi di tutti i paesi che non ne sarebbero in grado. (ab)

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