Un manifestante nelle vie del Cairo, 28 gennaio.

Un’occasione da non perdere

Dopo il ritardo con cui ha risposto alla caduta di Ben Ali in Tunisia, l'Unione sembra paralizzata anche davanti alle rivolte contro Mubarak. Un'incertezza che rischia di costare cara, avverte la stampa europea.

Pubblicato il 31 Gennaio 2011 alle 12:16
Un manifestante nelle vie del Cairo, 28 gennaio.

“Ieri la Tunisia, oggi l’Egitto, domani l’Algeria, la Giordania, lo Yemen? Nessuno può prevedere con certezza in che direzione soffierà il vento della protesta che ha infiammato il mondo arabo dalla caduta del presidente Ben Ali, il 14 gennaio” scrive su Les Echos Jacques-Hubert Rodier. Secondo l’editorialista, “questo movimento, che ha le caratteristiche di una rivoluzione democratica come quelle dell’Europa nel XIX secolo, ha colto di sorpresa l’Unione Europea, ma anche l’America”. E giacché “da parecchi giorni Barack Obama è costretto a un’angosciosa revisione della strategia adottata nei confronti dell’alleato egiziano”, “l’Europa non può essere da meno”: benché il suo peso politico ed economico nella regione sia minore, e anche se l’Unione per il Mediterraneo – tanto cara a Nicolas Sarkozy – si è rivelata un fallimento, in ogni caso non deve desistere.

Oggi, 31 gennaio, ricorda Rodier, “a Bruxelles i ventisette si incontrano con il capo della diplomazia europea Catherine Ashton per confermare la loro volontà di mandare un segnale positivo alla Tunisia. Ma è ancora poco rispetto alle aspirazioni dei popoli dell'altra sponda del Mediterraneo”. Tuttavia, aggiunge Rodier, “l’Europa non può assolutamente mancare a questo appuntamento. Dopo la caduta del muro di Berlino aveva saputo intervenire e mobilitarsi, perché oggi non lo ha fatto?” L’appello di David Cameron, Angela Merkel e Nicolas Sarkozy del finesettimana scorso è un primo passo nella direzione giusta. “Ma bisognerà farne molti di più, insieme agli Stati Uniti, e non come avversari, ma come amici di quei popoli nella fase post-Ben Ali e forse post-Mubarak”.

Basterà questa iniziativa per cancellare quella che El País definisce “la vergogna europea?” “L’Ue è rimasta muta per anni di fronte agli abusi delle autocrazie nordafricane, invece di far rispettare l’articolo 21 del trattato di Lisbona (l’universalità dei diritti dell’uomo) e la Strategia europea della sicurezza 2003 (per la buona governance nei paesi limitrofi). “Il comportamento dell’Unione Europea negli ultimi mesi, a fronte delle violazioni sistematiche dei diritti dell’uomo, sta a indicare che l’Ue ha perduto qualsiasi attaccamento ai valori che pretende invece di incarnare” e “non ha un’idea chiara di quali siano i suoi stessi interessi”.

Deplorando il comportamento “vergognoso” della Francia nei confronti della “Rivoluzione dei gelsomini” e quello “insolente” dell’Italia e della Spagna – preoccupate unicamente di mantenere in vita la cooperazione sui migranti – El País mette a confronto la posizione dell’Ue con quella adottata dagli Stati Uniti che hanno “invitato le forze armate dei paesi in crisi a rispettare la popolazione civile ed esercitato pressioni sulle autorità affinché adottino riforme significative”. Se così gli Stati Uniti hanno recuperato il loro status di “potenza liberale”, conclude El País, "l’Ue è in procinto di perderlo”.

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Italia in prima linea

Anche in Italia c'è preoccupazione per l'immobilismo delle istituzioni di fronte a una situazione che la riguarda molto da vicino. "D'un tratto rappresentiamo di nuovo l'avamposto dell'Europa, centro di un ribollente Mediterraneo, dirimpettai di Paesi arabi sconvolti da cambiamenti radicali, affacciati su un Medio Oriente in cui la pace potrebbe tornare pericolosamente in bilico e risucchiare in una mischia generalizzata tanto Israele quanto la regione del petrolio", scrive Guido Rampoldi su Repubblica. Sempre sul quotidiano romano, Lucio Caracciolo sostiene che oggi "la nostra frontiera sud-orientale può cambiare. In meglio. Avvicinandosi ai nostri standard di libertà e democrazia. Cogliendo le opportunità di sviluppo perse per l'avidità delle élite postcoloniali, impegnate a coltivare le proprie rendite, indifferenti a una società giovane, esigente".

Per non chiudersi in una logica puramente contabile, Joschka Fischer invita l’Ue a creare le condizioni politiche migliori per far sì che il Mediterraneo diventi un partner ufficiale e non soltanto lo specchio d'acqua dei Pigs. “Gli stati mediterranei dell’Ue vacillano, mentre sulla riva sud si annunciano grandi cambiamenti. È giunta l’ora che Bruxelles e le grandi capitali europee smettano di considerare il Mediterraneo soltanto in termini fiscali, ma anche geopolitici” scrive l’ex ministro tedesco degli esteri in un intervento su Der Standard.

“Se gli europei continueranno a preoccuparsi solo di sé stessi e a ragionare in termini contabili, sprecheranno molte occasioni preziose” osserva Fischer, “perché è proprio nell’area mediterranea che si annunciano mutamenti che riguarderanno da vicino la sicurezza in Europa. Se gli europei si lasceranno guidare dall’avarizia e dalla cecità strategica, alla fine il conto che dovranno pagare sarà salato”.

Visto da est

Un 1989 arabo?

In Europa centrale e orientale c'è chi vede punti in comune tra gli avvenimenti che scuotono l'Africa del nord e quelli che hanno cambiato il destino dei paesi dell'ex blocco comunista nel 1989. "Vogliono la libertà, vogliono una vita migliore. Vale a dire le stesse cose per cui noi abbiamo lottato vent'anni fa", scrive Adevărul. "Per vivere come in occidente. Per avere le stesse cose che hanno quelli dell'ovest. E le abbiamo conquistate". Ora abbiamo "l'illusione di una vita migliore sotto le spoglie di un telefono cellulare, di un televisore a colori con 110 canali e di una casa per cui saranno costretti a pagare anche i nostri figli. Abbiamo tutto, ma ciò che possediamo è comprato con denaro preso a prestito", avverte il quotidiano romeno. Secondo Adevărul "in Africa le grandi compagnie hanno scoperto un'oasi di profitto. Dopo aver incatenato l'Europa dell'est si preparano a sbarcare nel continente nero".

Gazeta Wyborcza denuncia invece la politica dei due pesi e due misure applicata dall'occidente nei confronti dei regimi autoritari nordafricani da una parte e di Cuba e dell'Europa orientale dall'altra: "come è possibile dare così poca attenzione ai tanti prigionieri politici in Egitto e Tunisia e preoccuparsi tanto per qualche detenuto in Bielorussia o a Cuba?". "In Europa orientale gli ostacoli alla democrazia sono gli stessi che in Africa del nord, ma non ci si rinuncia così facilmente. Bisogna riflettere su questa sproporzione, non tanto per trovare dei colpevoli quanto piuttosto per imparare qualcosa su noi stessi", conclude il quotidiano polacco, che non crede però che "l'Egitto possa ripetere la transizione dall'autoritarismo alla democrazia sul modello polacco, greco, spagnolo, sudafricano o cileno".

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