Il premier britannico David Cameron

Verso il punto di non ritorno

Dopo gli interventi di Barroso e Van Rompuy e le proposte di un gruppo di ministri degli esteri, il cammino verso una maggiore integrazione europea sembra segnato. Un percorso da cui Londra pare ormai tagliata fuori.

Pubblicato il 20 Settembre 2012 alle 13:45
Il premier britannico David Cameron

Non c’è modo di sapere come e quando finirà. È tuttavia sempre più evidente, man mano che va avanti la più grande crisi della storia d’Europa, che il Regno Unito e il resto dell’Unione si dirigono in direzioni diametralmente opposte.

Concentrata ormai da tre anni sulla crisi dell’euro, Berlino chiede di riaprire i trattati europei per facilitare una maggiore convergenza – o abdicazione, a seconda del punto di vista – della sovranità nazionale per rendere possibile la creazione di un’Europa federale, che porterebbe alla nascita di un governo centrale europeo che avrebbe prerogative esclusive in tema di potere fiscale e di spesa. Ma il Regno Unito ne è escluso.

La settimana scorsa la Commissione europea ha firmato la bozza tedesca, pur facendo notare la problematica legislazione dell’Ue che fa della Banca centrale europea il guardiano dell’intero settore bancario della zona euro. E neanche di questo fa parte il Regno Unito.

Martedì il ministro degli esteri tedesco ha esteso il processo decisionale economico federalista agli esteri e alla difesa, insieme ad altri dieci ministri degli esteri dell’Ue accuratamente scelti per rispecchiare l’Ue non britannica, ovvero paesi piccoli e grandi, paesi che hanno la moneta unica e che non l’hanno, stati dell’Europa occidentale centrale e stati dell’est europeo di più recente adesione. È probabile che il consenso degli undici paesi cresca fino a raggiungere la maggioranza tra i ventisette membri dell’Ue. E anche da ciò il Regno Unito resta esclusa. Tra gli undici paesi in questione vi sono Germania e Francia ma anche Italia, Spagna e Polonia, i paesi Ue più importanti dopo il Regno Unito.

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In sintesi, l’isolamento britannico si è notevolmente accentuato, mentre la distanza tra le due sponde della Manica aumenta. Più con dispiacere che con rabbia. C’è grande apprezzamento per il ruolo che il Regno Unito riveste in Europa, per il suo contributo dal punto di vista della politica estera, della sicurezza e della difesa, per il suo pragmatico liberalismo, il suo ruolo nel sostenere le libertà del mercato unico, la sua tradizione antiprotezionista e la qualità del suo esercito di eurocrati.

Ma c’è anche esasperazione per la negatività, la mancanza di spirito di squadra, l’apparente determinazione a sfruttare la situazione europea nel suo complesso per scopi nazionali o addirittura per logiche di partito. Per Londra sta diventando sempre più difficile dar vita a qualcosa di più che semplici alleanze ad hoc, centrate su questioni specifiche. La Polonia, per esempio, è stata un importante motore delle proposte radicali di politica estera di martedì. Fino a un paio di anni fa era un alleato britannico naturale nello scenario europeo. Non era in debito di nulla nei confronti della Francia, dato che Parigi ha giustamente considerato l’espansione dell’Ue in Europa orientale come un gioco a somma zero che avrebbe indebolito il potere francese, e la storia ha insegnato a Varsavia la prudenza nei confronti di Berlino. Ma la Polonia ha rinunciato al Regno Unito dopo aver calcolato che il suo interesse nazionale è costruire una comunione d’intenti con la Germania.

Tra i più importanti stati dell’Ue – cioè tra Germania e Francia – sussistono enormi divergenze di opinione in relazione all’euro, al futuro di una federazione politica aperta della zona euro, al trasferimento dei poteri nazionali rimasti alle istituzioni europee. Alcune cose, insomma, non cambiano mai. Eppure, non si tratta tanto di un allontanamento, quanto di come fissare i termini di un riavvicinamento. È un processo politico nel quale sempre più spesso Berlino osserva da fuori quel che accade.

Tutto sembra suggerire che entro un anno i trattati europei dovranno essere rimessi in discussione per permettere il trasferimento di sovranità a Bruxelles. La posta in gioco è troppo elevata per i problemi di David Cameron. Di conseguenza, o quest’ultimo riuscirà a negoziare i termini dell’adesione del Regno Unito oppure dovrà indire un referendum sull’Ue. Per Bruxelles invece la questione non è tanto sapere se ci sarà il referendum, ma quale sarà il quesito.

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