Verso la bancarotta

Il bailout di Ue e Fmi non serviva a salvare il paese, ma a lanciare un avvertimento alla Spagna. Entro il 2014 il debito del governo irlandese avrà raggiunto i 250 miliardi di euro, e a quel punto il default sarà inevitabile.

Pubblicato il 17 Maggio 2011 alle 14:39

L’Irlanda è sull'orlo della rovina economica. A sei mesi dal bailout da 85 miliardi di euro da parte dell’Ue e del Fmi, con il rating del debito appena un gradino sopra quello della spazzatura e la pressione sulle banche che comincia a estendersi ai depositi delle famiglie, potrebbe sembrare che il bailout dello scorso novembre si stia concludendo con un disonorevole flop. Al contrario: per gli architetti della Bce che lo hanno messo a punto, il bailout si sta rivelando un successo.

Una cosa che deve essere ben chiara del bailout irlandese è che non aveva nulla a che vedere con il tentativo di irrobustire le finanze irlandesi abbastanza da consentire al governo di iniziare a erogare nuovamente prestiti nel mercato dei bond a tassi ragionevoli, che è quello che un bailout in teoria dovrebbe fare.

In realtà l’unico obiettivo del bailout irlandese era spaventare gli spagnoli con un’efficace dimostrazione che gli interventi dell’Ue non sono uno scherzo. E il piano della Bce ha funzionato. Dovendo scegliere tra l’essere presi per il collo come l’Irlanda, subire lo scherno internazionale, dover pagare tassi esorbitanti per i finanziamenti del bailout, mentre i ministri sono tenuti a rispondere del loro operato a un professore universitario ungherese – o mettere a posto la propria situazione economica, gli spagnoli hanno più che comprensibilmente optato per la seconda possibilità.

Ma perché l'Ue ha ritenuto necessario – o quanto meno opportuno – costringere l’Irlanda alla rovina economica per spaventare la Spagna? La risposta va ricercata in una magagna progettuale fondamentale e potenzialmente letale dell’eurozona: la mancanza di mezzi per intervenire nei confronti delle grandi banche insolventi.

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Alla metà degli anni novanta, durante la progettazione dell’euro, non vennein mente a nessuno che alcune grosse banche come l’Aib e la Banca d’Irlanda, gestite da poco brillanti ex giocatori di rugby, avrebbero mai potuto prendere in prestito oltreoceano decine di miliardi e perderli tutti in rischiosi prestiti nel settore immobiliare.

Se la rovina si fosse limitata alle banche irlandesi, si sarebbe comunque riusciti a trovare qualche sorta di accordo per un intervento di soccorso; ma sussiste il terribile sospetto che molte banche spagnole – che hanno gonfiato una bolla immobiliare grande quasi come quella irlandese, ma nella nona economia mondiale – stiano tenendo nascoste perdite paragonabili a quelle che hanno mandato in malora le loro controparti irlandesi.

Fatto unico in tutto il pianeta, la Banca centrale europea non ha alle spalle un governo centrale che possa imporre tasse. Per soccorrere un sistema bancario grande quanto quello spagnolo sarebbe necessario un ingente contributo da parte dei paesi europei al Fondo monetario europeo: cosa tanto politicamente complessa e finanziariamente costosa che la si prenderà in considerazione soltanto in extremis, per scongiurare il tracollo della zona euro. Per il momento è di gran lunga più semplice per la Bce tenere le dita incrociate e sperare che la Spagna si tiri fuori dai guai da sola, incoraggiata dall’esempio di quanto è accaduto agli irlandesi.

Una questione di aritmetica

L’insolvenza irlandese ormai è più una questione di semplice aritmetica che di economia. Se tutto andrà secondo i piani – come sempre, del resto – l’indebitamento del governo irlandese toccherà i 250 miliardi di euro. Ma queste differenze sono inconsistenti: in ogni caso stiamo parlando infatti di un debito che assomma a più di 120mila euro per lavoratore, o al 60 per cento in più del pil nazionale.

Gli economisti hanno una regola empirica: allorché il debito nazionale supera il reddito nazionale, una piccola economia incorre nel rischio di default. (Le economie più grandi, come il Giappone, possono spingersi considerevolmente oltre). Ormai l’Irlanda è a un punto tale che una modifica marginale alle clausole del bailout non potrà fare differenza: andiamo comunque verso la bancarotta.

La Bce approvò e prestò all’Irlanda i soldi necessari a garantire che le banche che avevano erogato prestiti alla Anglo e alla Nationwide fossero risarcite, e si ritrova di conseguenza nella situazione che le banche che prestarono soldi al governo irlandese corrono il rischio di perdere buona parte di ciò che prestarono. In altri termini, la crisi bancaria irlandese è diventata parte della crisi del debito dell’Europa intera.

Tenendo conto della paralisi politica nell’Ue, e che la Banca centrale europea considera suo principale compito quello di tranquillizzare i direttori dei tabloid tedeschi, il risultato più probabile della crisi europea del debito è che, dopo che per due anni e più si è permesso alle banche francesi e tedesche di accumulare riserve contro la perdita dei crediti, le economie insolventi saranno costrette a dichiarare in qualche modo bancarotta.

Ma mentre i default dei governi sono pressoché la norma in paesi come Grecia e Argentina, per un paese come l’Irlanda –che fa affidamento sulla propria reputazione di destinazione sicura per gli investimenti – la bancarotta sarebbe una catastrofe assoluta. I default dei debiti sovrani si trascinano per anni e anni, perché i creditori ingaggiano un vero e proprio braccio di ferro per spuntare condizioni migliori, o vendere ai cosiddetti “fondi avvoltoio” che si dedicano a contenziosi senza fine per far sì che alcuni beni nazionali come gli aerei siano confiscati nella speranza di creare tali seccature da essere comprati.

Peggio ancora: una bancarotta non servirà assolutamente a ripristinare le finanze irlandesi. Tenendo conto degli altri impegni assunti dallo stato irlandese (nei confronti delle banche, della National Asset Management Agency, dell’Ue, della Bce e dell’Fmi), perché una bancarotta possa riportare il debito pubblico a un livello sostenibile è necessario che i proprietari di obbligazioni di stato siano più o meno spazzati via. Purtroppo, la maggior parte dei bond statali irlandesi è di proprietà di banche e compagnie di assicurazione.

In altre parole, quindi, ci siamo imbarcati nel futile gioco dello scaricabarile delle insolvenze: prima dalle banche allo stato irlandese, poi dallo stato di nuovo alle banche pubbliche e alle compagnie d’assicurazione. Alla fine molto probabilmente vedremo l’Irlanda trasformarsi in una sorta di protettorato Ue, la risposta europea a Portorico.

Una soluzione ci sarebbe

Supponendo che non si voglia percorrere l’attuale strada che porta a una bancarotta guidata dalla Bce e alla spirale della rovina nazionale, c’è qualcosa che possiamo fare? Una via d'uscita esiste ancora, e per quanto non sia esente da sofferenze, è tuttavia molto meno dolorosa di quanto l’Europa ha in mente per noi. Per la sopravvivenza della nazione è necessario che l’Irlanda esca dal bailout. Ciò a sua volta prevede che il governo faccia due cose: sganciarsi dalle banche e portare in pareggio il budget immediatamente. Prima le banche: se anche la Bce non intende soccorrere le banche irlandesi, non potrà in ogni caso lasciarle andare in rovina, correndo il rischio di innescare un’ondata di panico che dilagherebbe in tutta Europa.

L’Irlanda dovrebbe uscire dal sistema bancario restituendo gli asset del Nama alle banche e ritirando i propri vaglia nelle banche. La Bce a quel punto potrà apprendere una verità basilare dell’economia: se si prestano 160 miliardi di euro a banche insolventi sostenute da uno stato insolvente, non si è più creditori, ma proprietari. Prima o poi la Bce potrà dunque sguainare la gomma e cancellare i “prestiti di emergenza” dai libri contabili delle banche irlandesi e scrivere invece “capitale”. Quando deciderà di farlo è un suo problema, non nostro. In un sol colpo il governo irlandese potrà dimezzare il proprio debito, portandolo alla cifra ammissibile di 110 miliardi di euro. La Bce non potrà rivalersi sulle banche irlandesi senza innescare un panico catastrofico in Spagna e in tutto il resto d’Europa. L’unico modo col quale l’Europa potrà rispondere sarà tagliando i finanziamenti al governo irlandese.

Pertanto, il secondo principio per la sopravvivenza della nazione consiste nel ripianare immediatamente il bilancio pubblico. Tagliare immediatamente a zero i prestiti del governo sarà doloroso, ma è l’unica modo per metterci al sicuro dagli squali che ci offrono prestiti vessatori con l’intento di fare di noi un esempio per gli altri. Riportando immediatamente in pareggio il nostro budget, concentreremo l’attenzione sul fatto che i problemi dell’Irlanda sono provocati quasi interamente dalle attività di sei banche private, oltre ad affrancarci da queste nocive istituzioni. Cosa altrettanto importante, ci consentirà di lanciare al resto del mondo il messaggio che l’Irlanda – che 20 anni fa seppe dimostrare come un piccolo paese possa tirarsi fuori dalla povertà grazie all’energia e al duro lavoro dei suoi abitanti, ma che da allora è caduta nella mani di ladri e faccendieri politici – è tornata e fa sul serio.

Naturalmente sappiamo tutti che questo non accadrà mai. I politici irlandesi sono troppo abituati a essere ricompensati da Bruxelles per rivoltarsi contro Bruxelles, anche se ormai è questione di sopravvivenza nazionale. È di gran lunga più facile essere portati in giro con gli occhi bendati finché non ci sarà messo un cappio al collo e ci butteranno con un calcio nella bancarotta. (traduzione di Anna Bissanti)

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