Via libera alle emissioni

Il 16 aprile gli eurodeputati hanno bocciato il congelamento dei diritti di emissione. Il principale strumento dell’Ue nella lotta al riscaldamento globale perde così ogni valore.

Pubblicato il 17 Aprile 2013 alle 15:24

L'Europa si è a lungo vantata di essere all'avanguardia nella lotta contro il riscaldamento climatico. Ma oggi non è più così. In un primo tempo i 27 stati membri hanno rifiutato di mantenere l'obiettivo comune di riduzione dei gas a effetto serra, poi è arrivata la votazione del Parlamento europeo. Il 16 aprile gli eurodeputati hanno respinto la proposta di riforma, peraltro molto attesa, del sistema di scambio dei permessi di inquinare.
A quanto pare rimane ben poco del desiderio di rinnovamento e della volontà di lasciare alle generazioni future un ambiente vivibile. Il voto del parlamento segna una svolta nella politica ambientale europea. Dieci anni fa l'Europa è stata la prima regione al mondo a creare un mercato dei diritti a inquinare
Si trattava di un progetto ambizioso: attraverso il mercato le imprese dovevano essere spinte a investire nelle tecnologie pulite. La lotta contro il riscaldamento climatico doveva essere al tempo stesso efficace e redditizia. Ma questo progetto è fallito.
Le imprese che hanno creduto in questa promessa e hanno investito, non sono state ricompensate, ma al contrario penalizzate. Di fatto le quote di emissioni - cioè i titoli che autorizzano la produzione di una determinata quantità di gas a effetto serra - non sono mai entrate in circolazione.
Per quale motivo? Perché ce ne sono troppi. Le imprese che non hanno investito nella lotta contro il riscaldamento climatico hanno potuto continuare a inquinare senza pagare nulla. Le loro casse sono piene di questi permessi.
Oggi abbiamo perso l'occasione di poter cambiare qualcosa. Gli eurodeputati hanno rifiutato di bloccare almeno temporaneamente una parte dei permessi di inquinare sul mercato per far risalire il loro prezzo. Al contrario, il valore dei permessi dovrebbe rimanere vicino a zero. Gli investimenti nelle tecnologie ecologiche non sono più redditizi e il principale strumento di lotta contro il riscaldamento climatico non è più di alcuna utilità.

Il silenzio di Merkel

I responsabili di questo disastro si trovano a Bruxelles e nelle capitali europee. Per Connie Hedegaard, commissario europeo incaricato dell'azione per il clima, è un fallimento in più da aggiungere al suo triste bilancio. Infatti quando era ministra dell'ambiente danese aveva già dovuto assistere all'insuccesso della conferenza mondiale sul clima di Copenaghen, durante la quale i rappresentanti mondiali non erano riusciti a mettersi d'accordo su degli obiettivi minimi comuni. E in quanto commissaria Ue non è riuscita a riunire la maggioranza necessaria per mettere in pratica una politica ambientale (peraltro moderata).
Bisogna anche dire che Hedegaard ha perso per strada la sua principale alleata, Angela Merkel. Considerata in passato una cancelliera "verde", Merkel si è chiusa in un rigoroso silenzio. Per paura delle reazioni dei suoi alleati, la cancelliera permette alla Germania di rimanere muta a Bruxelles sulle questioni ambientali, mentre i deputati del suo stesso partito votano in maggioranza contro i progetti di difesa dell'ambiente. Come l'Europa nel mondo, così la Germania ha perso il suo ruolo di precursore nella lotta contro il riscaldamento climatico.

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Un’altra vittima della crisi

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Proponendo un congelamento delle quote di emissione di CO2 la Commissione europea “sperava di stabilizzare un mercato delle quote in caduta libera”, spiega Libération

Dal lancio del sistema nel 2005, il prezzo per tonnellata è passato da 30 euro a meno di 5, e chiaramente questo ribasso non spinge gli industriali a investire per ridurre le emissioni. Congelando una parte dei “permessi per inquinare”, la Commissione sperava di far salire il prezzo delle quote fino a 10-12 euro. Ma dopo il rifiuto del parlamento il prezzo per tonnellata di CO2 è crollato. 
“Il risultato ha confermato una realtà che i politici di tutta Europa conoscevano anche prima del voto”, sottolinea il Financial Times. “Il cambiamento climatico, un tempo in cima alle priorità dell’Europa, è stato progressivamente messo da parte dalla preoccupazione per i posti di lavoro e per la crescita in un’economia devastata dalla crisi del debito”.

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