"Benché la situazione sia relativamente stabile da 10-15 anni a questa parte" si legge nel rapporto mondiale della Fao riguardante la pesca, pubblicato nel marzo scorso, "il 19 per cento delle risorse ittiche è sfruttato in modo eccessivo e l’8 per cento è impoverito". Secondo i dati in possesso della Fao, il 27 per cento delle riserve ittiche mondiali sarebbe eccessivamente sfruttato; il 20 per cento di esse sarebbe soggetto a uno sfruttamento contenuto, mentre l’1 per cento di queste riserve sarebbe in corso di ripopolamento dopo essere stato del tutto esaurito. E il 52 per cento del pescato si avvicina al tetto del massimo rendimento. L’Unione europea assicura che la produttività delle riserve ittiche “è minacciata a causa di una ridotta capacità riproduttiva. La pesca è ormai talmente intensiva nell’80 per cento delle nostre riserve, che il suo rendimento risulta sempre più ridotto”.
Che ne pensano gli esperti indipendenti? "Abbiamo raggiunto la massima capacità di sfruttamento dei mari, ma le risorse ittiche non si esauriranno mai" sostiene Fernando de la Gándara, ricercatore presso l’Istituto oceanografico spagnolo e coordinatore di un team di ricercatori che ha studiato la riproduzione del tonno rosso in cattività. Le Ong però non vanno tanto per il sottile. Secondo Oceana, un’organizzazione che si batte per la difesa degli oceani, "l’eccesso di pesca ha svuotato i mari d’Europa, al punto che oltre l’80 per cento delle nostre riserve ittiche è eccessivamente sfruttato e che tra queste il 60 per cento rischia di estinguersi". Raúl García, incaricato del Wwf per le questioni attinenti la pesca, ritiene che vi siano “diversi tipi di problemi. Per esempio per il tonno rosso nell’Atlantico settentrionale, per le riserve di merluzzo bianco nel Baltico, per il merluzzo del golfo di Guascogna e delle coste atlantiche”. Greenpeace ha redatto un elenco di quindici specie sottoposte a pesca eccessiva: tra esse compaiono la rana pescatrice, l’aragosta, le varie specie di tonno, l’ippoglosso dell’Atlantico e la sogliola.
Raggiunto il livello di pesca ottimale?
Gli armatori respingono le accuse degli ecologisti: Javier Garat, presidente della Confederazione spagnola della pesca (Cepesca) afferma che “gli ambientalisti interpretano in modo sbagliato le dichiarazioni della Fao secondo le quali la metà delle specie di pesci è soggetta a pesca eccessiva. Queste specie sono al loro livello ottimale di utilizzo. Noi siamo i primi ad avere a cuore la tutela dei mari, perché vogliamo poter continuare a pescare. In Spagna e nell’Unione Europea le leggi sulla pesca sono molto restrittive, ben più che altrove. Certo, ci potranno anche essere alcune irregolarità, e non posso negare che alcuni pescherecci peschino illegalmente in acque internazionali, ma noi non lo facciamo”.
Per non esaurire le riserve ittiche è necessario limitare le quantità di pescato? In linea generale no, dato che la quantità di pescato non è aumentata rispetto al passato. Nelle principali aree del mondo, secondo la Fao, nel 2006 si sono pescati 92 milioni di tonnellate tra pesci, crostacei e molluschi: la quantità più bassa di tutto il decennio dopo quella registrata nel 2003 (90,5 milioni di tonnellate). Inoltre, il numero dei pescherecci europei – in particolare spagnoli – è calato drasticamente. Con i suoi 17 milioni di tonnellate di pesci e una produzione ittica che con i prodotti di allevamento arriva anche a sfiorare i 51 milioni di tonnellate, la Cina è oggi il paese che pesca di più al mondo. La Spagna in Europa si colloca al primo posto per la pesca, e al ventiduesimo nella classifica mondiale con 950.000 tonnellate pescate nel 2006 – secondo i dati Fao – e 778.000 tonnellate secondo le cifre dell’Ue.
Tuttavia, il 50 per cento della produzione ittica è già ora assicurato dall’itticoltura: al ristorante e nelle trattorie, sempre più di frequente si consumano orate e rombi d’allevamento. Se l’itticoltura da un certo punto di vista è maggiormente rispettosa nei confronti dell’ambiente, dall’altro lato secondo gli ecologisti rappresenta anch’essa una forma di sfruttamento delle creature marine: "Il settore dell’itticoltura necessita di quantità considerevoli di pesci per alimentare i propri allevamenti", sottolinea infatti Greenpeace.
Sovvenzioni
Meno peschi, più ti pago
Per porre rimedio all'esaurimento delle riserve di pesce nell’Unione e alla crisi del settore della pesca, la Commissione europea ha avviato molteplici programmi di sovvenzioni, la cui formula si riassume come segue: elargire soldi ai pescatori affinché peschino meno. Lo spiega L’Espresso, il settimanale romano, che cita uno studio realizzato da EU Transparency e Pew Environment Group, due ong che hanno analizzato i 15 anni di sussidi alla pesca e hanno pubblicato l’esito delle loro ricerche sul sito fishsubsidy.org, osservando che la maggior parte degli 8,5 miliardi di euro spesi tra il 1994 e il 2006 sono stati destinati all’acquisto di nuove barche da pesca più funzionali, e alla vendita delle licenza per la pesca e dei pescherecci a Paesi terzi. Il numero totale dei pescherecci immatricolati nell’Unione si è così ridotto di circa 10.000 unità tra il 1999 e il 2007, ma la loro capacità di pesca è aumentata. D’altro canto – prosegue L’Espresso – molti pescherecci sono stati venduti a Paesi extracomunitari (Marocco, Tunisia, Senegal, Gambia, Guinea, etc.) dove continuano a operare per conto di armatori locali o società miste con armatori europei. L’Espresso sottolinea infine che il nuovo Fondo per la pesca, in carica fino al 2013, non prevede più l’elargizione di sussidi e sovvenzioni a società miste né alla vendita di pescherecci a paesi terzi.