Ursula von der Leyen ha pronunciato parole forti a fine marzo nell’emiciclo del Parlamento europeo, quasi deserto a causa delle misure anti-Covid: “La Storia ci osserva. Facciamo il nostro dovere con un grande cuore, e non con 27 piccoli”.
La Presidente della Commissione reagiva così ad una vergognosa mancanza: nei giorni successivi allo scoppio della pandemia in Europa — lo shock più grande per il continente dalla Seconda Guerra mondiale —i Paesi membri dell’Ue non hanno compiuto alcun gesto di solidarietà reciproco. I Capi di governo hanno essenzialmente gestito la crisi come se si trattasse di una questione nazionale, come se i virus, nelle nostre società interconnesse, si fermassero alle frontiere nazionali chiuse per l’emergenza.
Quando, a fine marzo, l’Italia ha chiesto maschere di protezione a Bruxelles ha ricevuto solo rifiuti: da parte della Germania soprattutto, che ne aveva nel frattempo vietata l’esportazione, ma anche dagli altri Paesi europei, avevano ben altre preoccupazioni. Nello stesso momento, invece, la Cina, desiderosa di includere l’Italia nel suo progetto di “Nuova via della Seta”, aveva inviato materiale a Roma, non senza lesinare nella pubblicizzazione dell’evento. In quel momento l’Europa non solo ha fallito sul piano umano e politico, ma anche dal punto di vista geostrategico.
Da allora, le richieste di solidarietà si sono moltiplicate ovunque. Ma, nonostante i Governi europei si trovino d’accordo sul fatto che questa crisi sia “un test” per l’Ue (Angela Merkel), non sembra sia stato raggiunto un accordo sulle modalità di reazione. Nell’eurozona in particolare, anche dopo numerose videoconferenze, le divergenze sono ancora importanti, soprattutto sulla questione della condivisione dei rischi finanziari con i Paesi per i quali i “corona bonds” sono essenziali. Ad oggi, i cittadini europei o i febbrili mercati finanziari non hanno percepito alcun segno d’unità: il pericolo insito in questo atteggiamento è che numerosi europei, delusi, si allontanino dall’Ue.
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