Voxeurop community Gli europei e la crisi del coronavirus

Voci dal confinamento

Abbiamo chiesto ai nostri lettori di raccontarci come vivono l'epidemia di COVID-19, la loro esperienza riguardo a questa crisi, cosa ci dice dell'Europa in senso lato e cosa auspica per il suo futuro. I contributi sono presentati dal più recente al meno recente.

Pubblicato il 24 Marzo 2020 alle 09:52

Una nazione

Jean-Marc Salvanès, imprenditore, Parigi (Francia)

Cos'è che rende questa piccola estremità geografica, incuneata tra il Nord Atlantico e il Mediterraneo, così unica da essere diventata una grande realtà politica per secoli ed è ancora oggi una grande realtà politica? La volontà politica. L'emergere dell'Europa come potenza non è dettato dalle leggi della geografia. È prima di tutto una costruzione politica, intellettuale, spirituale e culturale. Questa volontà e questa ambizione hanno avuto i loro alti e bassi, ma hanno attraversato crisi estreme. Sono minacciati oggi dagli sconvolgimenti e dalle tensioni del mondo che bussano alla nostra porta?

Certamente. Lo sviluppo del coronavirus, che ci arriva dalla Cina, probabilmente amplificherà la rinascita del nazionalismo, il rifiuto di aprire le frontiere, il desiderio di demono-globalizzazione. Lo straniero amichevole diventa sotto i nostri occhi uno straniero minaccioso che sembra portare una minaccia totale: militare, economica, culturale e ora sanitaria.

Anche se siamo un solo popolo, la crisi attuale potrebbe suonare la fine di una visione del mondo unificata. Nella vasta ricomposizione geopolitica che si sta svolgendo sotto i nostri occhi, possiamo scommettere che, almeno per alcuni decenni, la globalizzazione si trasformerà in regionalizzazione e che i raggruppamenti geografici coerenti e naturali torneranno a funzionare e a riformarsi. Sostituiranno i legami creati dagli scambi economici, dalle storie coloniali e dalla vicinanza culturale. La Brexit può anche essere interpretato come la volontà britannica di rimanere globale, in contrapposizione a un'Europa che favorirà la continentalità.

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La parziale de-globalizzazione a cui stiamo per assistere avvicinerà gli europei gli uni agli altri e permetterà loro di capire che formano un'unica nazione.


L’indifferenza dei privilegiati

Stefania Pelleriti, Messina

La mia preoccupazione si divide tra i parenti che vivono al nord Italia, mio fratello che vive a Londra e le prospettive della mia città, Messina che insieme alla provincia non arriva a cento posti letto in terapia intensiva. L’episodio che da una settimana tiene la città col fiato sospeso riguarda alcune comitive che a marzo inoltrato sono andate a sciare nelle regioni del nord e dopo essere rientrate, hanno continuato a condurre la loro vita senza preoccuparsi di diffondere il contagio.

Al di là di ogni giudizio morale sul comportamento di queste persone, tra cui molti medici, tutte in ogni caso appartenenti alla città bene, la riflessione che mi viene in mente riguarda la tenacia, perfino incoscienza, con cui molti fino a pochissimo tempo fa si sono rifiutati di credere che la situazione fosse realmente grave e che fosse possibile dover assumere dei comportamenti diversi da quelli che abbiamo sempre avuto; talmente assuefatti alla società del benessere da non credere che anche qui potesse succedere di dover vivere in uno stato emergenziale, incapaci di rinunciare anche solo a una delle possibilità offerte da quel benessere.

Mi chiedo, allora, se la vicenda dei benestanti sciatori messinesi non rispecchi in piccolo l’indifferenza dei privilegiati europei nei confronti di quelle emergenze che negli ultimi anni si sono accalcate ai loro confini, decisi a impedire a chi era in difficoltà di disturbare anche solo l’idea del benessere, di portare la guerra nel loro affresco mentale. Il COVID-19 ha indubbiamente creato una crepa nell’affresco, che possano derivarne consapevolezza ed empatia.


L’Europa disunita

Giovanni Caruselli, ex docente di storia e filosofia, Seregno

Che cosa ci dice quest’epidemia sull’Unione europea? Forse nulla che non fosse già chiaro a chi ne ha osservato il comportamento negli ultimi…dieci anni. Una realtà politica che si fregia del titolo di Unione e che nei suoi documenti attribuisce valore primario ai bisogni sociali dei cittadini, dovrebbe prima di tutto predisporre le basi di un sistema di assistenza unitario che ne tuteli la salute, facente capo, magari, a un Commissario per la salute pubblica pronto a monitorare e a intervenire in ogni situazione.

E invece ci siamo trovati di fronte a un terribile preavviso di quanto accadeva in Cina, senza che la Commissione predisponesse un piano unitario per fronteggiare l’epidemia. Frontiere che restavano aperte e frontiere chiuse, viaggi aerei interdetti o autorizzati, valutazioni scientifiche diverse e contraddittorie e nessun organo di coordinamento. Fabbriche di presidi medici emigrate in Cina, di cui nessuno si era preoccupato, farmaci confezionati in India da cui ora dipendiamo. E così via.

Ci vuole molto a capire che l’Unione europea è sempre stata il risultato di accordi economici al servizio di grandi banche e multinazionali del continente che della salute pubblica e di tanto altro ancora se ne facevano un baffo? Ci vuole molto a capire che qui se non si pongono le basi per un’Europa sociale, che redistribuisca la ricchezza l’Europa si spaccherà (come sta già avvenendo) e ritorneremo alle vecchie frontiere, ai dazi doganali, alla concorrenza nazionalistica, così come vuole fare Trump per gli Usa?


Tutti a casa

Stefano Nicoletti, Pisa

Tutti a casa: io perchè la mia azienda ha ridotto le presenze in ufficio e si prepara per uno smart working più esteso, mia moglie che ha chiuso il suo B&B, i bambini. Stiamo bene insieme e l'inquietudine non ci viene dai rischi del coronavirus, che per noi sono scarsi e che magari abbiamo affrontato venti giorni fa quando i bambini hanno avuto febbre molto alta, senza altri sintomi.

L'inquietudine viene dal bombardamento mediatico di informazioni inutili, di dati allarmistici che volutamente non comprendono una stima dei casi lievi e degli asintomatici, di notizie volte solo a spaventare per motivare i comportamenti desiderati. Abbiamo così ridotto il consumo di informazioni al minimo (zero TV).

Ci consola e ci sfugge il ruolo dell'Europa: assente ingiustificata nella gestione mediatica della crisi, ora che il patto di stabilità è un ricordo dovrà fare quello che non ha potuto fare negli anni scorsi: adoperarsi per vera giustizia e solidarietà transnazionali.

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