Ivailo Tsvetkov - Voxeurop

Le voci dei sopravvissuti alla distruzione della diga di Kachovka

La distruzione della centrale idroelettrica di Kakhovka, il 6 giugno 2023, ha provocato una catastrofe nella valle di Kherson e nei territori circostanti. I sopravvissuti raccontano che uno tsunami che ha ricoperto la città, ucciso centinaia di persone e distrutto il patrimonio culturale. I tentativi di ricostruzione devono fare i conti con problemi ambientali e criticità legate all’agricoltura.

Pubblicato il 31 Gennaio 2024

La distruzione della centrale idroelettrica di Kachovka è uno dei più grandi disastri per il “mondo civilizzato”: la diga tratteneva 18 chilometri cubi d’acqua. Al momento della rottura, la portata era di circa 90mila metri cubi al secondo, stando a quanto afferma Serhiy Afanasiev, responsabile di idrobiologia presso l’Accademia nazionale delle scienze dell’Ucraina. Nei tre giorni successivi al disastro, il Mar Nero ha ricevuto una quantità d’acqua fluviale circa 100 volte superiore alla norma: praticamente uno tsunami, che ha spazzato via tutto ciò che ha incontrato a valle della diga, comprese case, persone e animali.

I morti spuntavano dall’acqua come funghi

Il quotidiano Novyi Den, che ha ripreso le pubblicazioni nella Kherson liberata nel novembre 2022, ha parlato con Natalia Vozalovska, abitante di Olešky, città nell’epicentro del disastro. Natalia è riuscita ad allontanarsi dalla città per miracolo: “I civili della Kherson occupata hanno appreso che gli argini del nostro bacino idrico, uno dei più grandi al mondo, si erano rotti a causa della distruzione della diga. Ma l’hanno saputo dalla televisione o dagli amici al telefono. Nessuno li aveva avvertiti dell’entità del pericolo. Per questo la gente non era particolarmente preoccupata. Non pensavano che ci sarebbe stato un tale orrore! Però poi è passata un’auto con un altoparlante: diceva che, se qualcuno voleva evacuare, c’erano degli autobus vicino alla caserma dei vigili del fuoco. Ma noi, quegli autobus, non li abbiamo mai visti. Il 6 giugno Olešky era già alluvionata”.

“L’acqua, maleodorante e piena di olio combustibile, continuava a scrosciare! La gente provava a salire sui gommoni, e questi si rovesciavano. Le persone anziane e quelle con disabilità che vivevano più vicine al fiume Dnepr non si sono potute allontanare, perché l’acqua ha bloccato le porte delle case”, aggiunge Natalia. “È così che è morta la persona che viveva vicino a noi, non usciva quasi mai di casa. Le storie terribili come questa sono tante. Molte persone si sono rifugiate in soffitta. Le case, fatte con canne e mattoni d’argilla, sono crollate all’istante. E così le persone sono crollate insieme alle case e i tetti delle case galleggiavano. E si dice che a Solontsi l’esercito di occupazione non abbia permesso alle persone di uscire dalle soffitte. C’erano urla, grida d’aiuto... Avete presente Titanic? Qui è stato molto peggio”.

Nel raccontare l’accaduto, Natalia non riesce a contenere l’emozione: “Chi è riuscito a scappare lo ha fatto con qualunque cosa avesse indosso. La gente della parte non alluvionata della città ha accolto chi arrivava: in una casa potevano vivere anche dieci o dodici persone, che condividevano cibo e vestiti. Abbiamo portato quello che avevamo e lo abbiamo donato. Io e mio marito avevamo un piccolo gommone. Mio marito ha detto: “Gonfiamolo, non si sa mai”. E così abbiamo fatto. Ci abbiamo messo dentro una borsa con i documenti, un kit di pronto soccorso, acqua potabile... Abbiamo avuto a malapena il tempo di aprire il cancello per portarlo fuori. Il nostro giardino ha iniziato ad allagarsi! In dieci minuti avevamo già l’acqua fin sopra le ginocchia. Abbiamo visto persone trascinare con sé bambini e animali, salvando chiunque si potesse salvare. Ci sono stati pesanti bombardamenti su Olešky per tutto il tempo, e la foresta in fiamme... Ciò che gli occupanti non erano riusciti a far annegare, cercavano di bruciarlo o bombardarlo. Siamo sopravvissuti a questo orrore grazie alla brava gente nella parte non alluvionata della città...”.

Alla domanda su come gli occupanti e la loro amministrazione, che avrebbe dovuto prendersi cura dei civili, si comportassero in città in quel periodo, Natalia spiega: “I soldati portavano via i gommoni delle persone per cercare di fuggire loro stessi. Ma non tutti hanno avuto fortuna: i gonfiabili si rovesciavano e alcuni di loro sono annegati con tanto di munizioni e armi. Tra le vittime ci sono stati molti soldati russi appena arrivati, che nessuno ha salvato. Invece le autorità di occupazione di Olešky erano state evacuate dalla città prima dell’alluvione. Una volta sono andata al mercato e ho sentito delle donne disperarsi: “Da chi andremo, cosa faremo, come recupereremo le persone annegate?”. I morti spuntavano dall’acqua come funghi... Gli uomini che avevano ancora dei gommoni recuperavano i morti e portavano i bambini e gli anziani all’ospedale. Poi gli occupanti hanno vietato il recupero delle persone annegate. È stato terribile!”.

Era chiaro per tutti che l’esercito russo voleva nascondere la portata della tragedia. Natalia ricorda: “Quando l’acqua si è ritirata, sono venuti a controllare le strade. Hanno scritto sulle recinzioni ‘Niente cadaveri’ in russo. Lo facevano per la loro gente, in modo che potessero vedere dove era già avvenuta l’ispezione e dove erano stati portati via i morti.


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Ma non riuscivano ad arrivare dappertutto. Potevano esserci dei morti sotto le macerie. I testimoni oculari hanno raccontato che gli occupanti si sono messi a scavare e portare via i corpi delle persone annegate che la gente del posto aveva seppellito. Per qualche tempo a Olešky si è sentito un odore persistente di pneumatici bruciati e puzza di cadavere. Quando la sponda sinistra sarà liberata, emergeranno molti altri orrori”.

“La città è rimasta alluvionata per due settimane. Quando la situazione si è assestata, i sopravvissuti hanno cominciato a tornare alle loro case per vedere cosa ne era rimasto: andavano in cortile, stavano lì fermi, piangevano e se ne andavano. Portavano con sé una bicicletta o un carrello per cercare ciò che era rimasto. Scherzavamo amaramente: stiamo andando a uno scavo archeologico, forse possiamo recuperare qualcosa... Abbiamo perso la nostra casa. Non c’è nulla da riparare. Noi ce ne siamo andati, ma ci sono persone che non possono farlo. Alcuni non hanno soldi, altri hanno parenti malati”.

Città fantasma

A metà dicembre 2023,  il numero esatto di vittime civili sulla sponda sinistra della regione occupata era ancora sconosciuto. Volodymyr Shlonsky, un medico del posto, riferisce: “Già il 9 giugno sono stato informato di più di 90 cadaveri nella sola Olešky. […] Parliamo di centinaia di persone”.

Le autorità di occupazione della regione di Kherson hanno dichiarato solo 48 morti sulla sponda sinistra, ma, secondo numerosi testimoni, la cifra è falsa. Secondo lo stato maggiore ucraino, per nascondere il numero reale delle vittime, l’amministrazione di occupazione avrebbe seppellito i morti in fosse comuni senza prelevare campioni di dna o segnalare il luogo della sepoltura. I volontari ritengono che solo nella comunità di Olešky siano morte fino a 200 persone.

An unnamed village flooded after the Khakhovka dam bombing. | Foto: Oleksandr Korniakov
Le strade dei paesi alluvionati si sono trasformate in laghi. Foto: Oleksandr Korniakov.

A Stara Zburyivka, nel distretto di Hola Prystan, 202 edifici residenziali sono stati alluvionati o sommersi. Il sindaco del paese, Viktor Marunyak, spiega che nel distretto di Nova Kachovka i più colpiti dall’alluvione sono stati il paesino di Korsunka e una cooperativa per la costruzione di dacie nei pressi, molto popolare tra i residenti della città. Volodymyr Kovalenko, il sindaco di Nova Kachovka, afferma che “ora Korsunka è un paese fantasma: la maggior parte delle case qui è distrutta o inabitabile. Non c’è elettricità né acqua. Quasi tutti gli abitanti se ne sono andati: alcuni nei paesi circostanti, altri sono riusciti a scappare in Europa passando per la Crimea e la Russia”. La distruzione della diga di Kakhovka ha provocato il riversamento di 150 tonnellate di petrolio nel fiume. Migliaia di ettari di foresta sono stati inondati, uccidendo o mettendo in pericolo un gran numero di uccelli e altri animali.

I villaggi e le città che si trovano sulle sponde del lago artificiale di Kachovka, ormai scomparso, stanno affrontando la carenza d’acqua. Secondo Igor Pylypenko, professore di geografia all’Università statale di Cherson, più di 400mila ettari di terreno nelle regioni di Kherson e Zaporizhzhya sono a corto di acqua potabile e per l’irrigazione. “Metto l’impatto ambientale all’ultimo posto”, afferma il professore. “Sarà un disastro soprattutto per le persone che vivono in quelle zone. La natura sopravvive, ma l’arido Sud non avrà più il vantaggio di far crescere colture di valore. Circa 400-450 mila persone in quest’area non avranno accesso all’acqua potabile, non potranno irrigare e, di conseguenza, non avranno un lavoro”.

A luglio, quel luogo in cui il sole d’estate brillava sull’acqua si era trasformato in un vero e proprio paesaggio marziano. Crepe spaventose fiancheggiano una vasta distesa disseminata di detriti, tra cui i ceppi di quello che era un orto collettivo, vecchi pneumatici, una chiatta affondata che trasportava grano e angurie. 

“Il lago artificiale di Kachovka non esiste più”. Questa è stata la triste conclusione a cui sono giunti gli esperti dell’Istituto idrometeorologico del Servizio statale di emergenza dell’Ucraina e gli scienziati dell’Accademia nazionale delle scienze dell’Ucraina. Cosa fare? Gli agricoltori della regione di Cherson e della vicina Zaporizhzhya, per i quali l’acqua è come l’aria, sono tutti concordi: la diga deve essere ricostruita al più presto e l’acqua deve arrivare ai campi, o le cose andranno ancora peggio di prima.

Prima della guerra, il fiume Dnepr e, in parte, il suo affluente Inhulec' venivano utilizzati in questa regione dal clima rigido, a rischio per l’agricoltura, per trasformarla in una zona per coltivare e, di fatto, una fonte di sicurezza alimentare per il paese. Nel 2021 gli agricoltori della regione di Cherson hanno ottenuto i raccolti più abbondanti dall’indipendenza dell’Ucraina: 3,1 milioni di tonnellate di cereali e legumi. La regione è anche considerata una delle migliori del paese per la coltivazione di meloni e ortaggi.

Remains of a Russian missile at the bottom of the empty Khakhovka Reservoir. | Photo: Serhii Nikitenko
Resti di un missile russo sul fondale dell’ex bacino idrico di Kachovka. Foto di Serhiy Nikitenko.

“Se l’irrigazione su larga scala non verrà ripristinata, le terre della nostra regione si trasformeranno in un deserto. L’intera economia agricola, il settore principale della regione, crollerà”, afferma Serhiy Rybalko, responsabile del gruppo agricolo Adelaide, membro del Consiglio regionale di Kherson e vicepresidente della Commissione agricola: “Non tutti in Ucraina lo sanno, ma vi ricordo che un ettaro irrigato dall’uomo equivale a due-tre ettari irrigati dall’acqua piovana. Prima della guerra, grazie all’acqua del Dnepr, nella regione di Kherson si poteva coltivare il maggior numero di ortaggi del paese: il 14 per cento del totale del raccolto ucraino. L’irrigazione ha contribuito anche allo sviluppo dell’orticoltura, della viticoltura e della risicoltura. E non dimentichiamo i prodotti da esportazione: soia, mais, girasoli... Cosa dovremmo fare? Rinunciare alla terra che ci hanno lasciato i nostri bisnonni?”.

Non tutti in Ucraina condividono l’opinione di Serhiy Rybalko e, in particolare, la comunità scientifica. Ivan Moisienko, professore di biologia all’Università statale di Cherson, è categorico: “Non dobbiamo farci scappare la possibilità di ripristinare l’unico Velykyi Luh [grande pascolo]! Con la scomparsa del ‘mare’ di Kachovka, quasi 200mila ettari di terreno stanno tornando agli ecosistemi della steppa, pascoli e foreste alluvionali ucraini. La natura si ripristinerà da sola, ma lo farà più in fretta se la aiuteremo”.

Mykhailo Romashchenko, specialista ucraino in bonifiche, è di un altro parere: “Nell’Ucraina meridionale non riavremo la steppa che c’era ai tempi dei cosacchi. La terra è stata arata e il clima non è più lo stesso. Senza il bacino idrico, l’Ucraina si ritroverà con un deserto senza vita, con tempeste di sabbia e un’ecologia terribile. Per questo la diga di Kachovka deve essere ripristinata: il ripristino della centrale idroelettrica è essenziale. Quando è stata costruita, il suo obiettivo principale non era la produzione di elettricità, ma l’accumulo di riserve idriche su larga scala. Senza il bacino di Kachovka, il paese perderà un’enorme risorsa”.

Giusto o sbagliato che sia, la necessità di agire si sente. E mentre ancora si discute, il governo ucraino ha approvato una risoluzione su un progetto pilota per avviare la ricostruzione della diga.

Il primo ministro, Denys Šmyhal', ne ha fornito i dettagli durante una riunione di governo: “Si tratta di un progetto della durata di due anni. Durante la prima fase progetteremo tutte le strutture ingegneristiche e prepareremo le basi necessarie per il ripristino. La seconda fase comincerà dopo la fine dell’occupazione dei territori in cui si trova la centrale idroelettrica e comprenderà i lavori di costruzione veri e propri”.

Igor Syrota, amministratore delegato di Ukrhydroenergo, la società statale che gestisce le dighe lungo il Dnepr, aggiunge che il nuovo impianto sarà più potente: “Prima della distruzione produceva 340 MW, e ora abbiamo in programma di costruire un altro impianto da 220 MW”.

Il passato è distrutto, e potrà esserci un futuro solo quando gli occupanti se ne saranno andati

Sono 118 i monumenti culturali distrutti dall’inondazione della regione di Kherson causata dalla distruzione della diga. Secondo Oleksandr Prokudin, capo dell’amministrazione regionale di Cherson, 102 di questi si trovano sulla sponda sinistra della regione e i rimanenti 16 su quella destra. I territori dell’Olešky Sich [un’amministrazione cosacca storica], la fortezza di Tyahyn nel distretto di Beryslav e il monastero settecentesco nel villaggio di Korsunka sono stati inondati. Dieci biblioteche e cinque musei sono stati parzialmente o completamente sommersi.

I residenti di Olešky sono riusciti a individuare la casa di Polina Raiko, un’artista locale esponente dell’arte naïf: l’alluvione aveva quasi distrutto i suoi straordinari dipinti, appesi alle pareti. La maggior parte delle opere d’arte si è disintegrata o rovinata.

Ma non tutto è perduto. La nostra terra ha sofferto a lungo ed è sopravvissuta a molte avversità terribili: sopravviverà anche a questa. “Le steppe e i laghi torneranno a vivere”, come scrisse il nostro grande poeta Taras Ševčenko. E sarà così anche questa volta!

👉 Articolo originale
Questo articolo fa parte dell'iniziativa dell’Unione nazionale dei giornalisti dell’Ucraina nell’ambito del progetto Voices of Ukraine con il sostegno del Centro europeo per la libertà di stampa e dei media (ECPMF) e del ministero degli esteri tedesco.
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