Rassegna Passaggio a Nordovest

Putin naviga nell’oro (nero): il costo del petrolio russo

Navi cisterna non autorizzate sfuggono ai controlli e solcano i mari europei, contribuendo al deterioramento dell’ambiente marino. L’Europa sta facendo abbastanza per proteggere le sue acque?

Pubblicato il 19 Novembre 2024

Avevamo già parlato della cosiddetta “flotta fantasma”, una serie di petroliere decrepite e non assicurate che trasportano il petrolio russo soggetto a sanzione: “Una bomba a orologeria che naviga nelle acque danesi ogni giorno” riportano Mads Lorenzen e Kresten Andersen su Finans.

Un’inchiesta sul Mare del Nord realizzata da Follow The Money, piattaforma indipendente di giornalismo investigativo con sede ad Amsterdam, ha pubblicato due importanti articoli sulle “petroliere fatiscenti che minacciano l'Europa di disastro ambientale”.

Jesse Pinster e Dimitri Tokmetzis In collaborazione con Global Fishing Watch e la Scuola di Economia di Kiev hanno fornito dati sul numero di navi coinvolte, sul loro stato assicurativo e sulle rotte che seguono, al fine di valutare il rischio che rappresentano per l’Europa e i suoi mari.

“Dall'inizio dello scorso anno”, affermano, “le petroliere russe hanno attraversato il Mar Baltico, proseguito oltre l'Europa nord-occidentale e navigato lungo le coste di Regno Unito, Francia e Portogallo quasi 1.300 volte. La maggior parte di queste navi si dirige nel Mediterraneo, per raggiungere l’Asia. Si tratta di una media di due o tre viaggi al giorno. Alcune sono passate una sola volta, altre molto più spesso. In totale, Follow The Money ha identificato 410 petroliere che trasportavano petrolio russo lungo questa rotta”.

Il fatto che questi bastimenti siano tutti sottoassicurati o privi di copertura assicurativa significa che, in caso di catastrofe nelle acque europee, i costi ricadrebbero sui cittadini europei; inoltre, poiché la maggior parte di queste navi ha più di 20 anni il rischio di sinistri è elevato. “Una petroliera generalmente viene dismessa dopo 22 anni" spiegano gli autori.

La Russia fa ricorso a vari stratagemmi e scappatoie, come paradisi fiscali e società di comodo, per aggirare le sanzioni imposte dall'Unione europea sul greggio russo. Nel giugno di quest'anno, “27 navi, tra cui 18 petroliere, sono state inserite nella lista delle sanzioni europee”. Il che significa che non possono ricevere “equipaggi, rifornimenti o servizi finanziari come l'assicurazione” dai porti e dalle aziende europee.

Come spiegano Pinster e Tokmetzis, le nuove sanzioni si sono rivelate solo parzialmente efficaci: "Secondo i ricercatori nel settore marittimo ed energetico della piattaforma di monitoraggio del traffico navale Vortexa, il 30 per cento di bastimenti soggetti a sanzione ha smesso di trasportare petrolio russo. Tuttavia, in sei occasioni, una di queste navi cisterna è riuscita a eludere i controlli e a solcare il Mare del Nord. La petroliera Kavya è persino entrata nelle acque territoriali olandesi, danesi e britanniche il 27 agosto, secondo i dati di Global Fishing Watch”. 


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È importante sottolineare che 27 è un numero ridotto rispetto alla flotta totale, che si stima essere composta da circa 600 navi. Gli autori concludono che il rischio di catastrofe rimarrà elevato finché le autorità europee non prenderanno seri provvedimenti per fermare queste petroliere.

Il secondo articolo di Follow The Money sulla flotta fantasma russa riporta l’intervista di Jesse Pinster a Jan Stockbruegger, esperto di sicurezza marittima che vive a Copenaghen, sulla questione del “mostro” che si è creato a seguito del tetto massimo sul prezzo del petrolio russo, imposto dall'Ue e dagli Usa. Secondo Stockbruegger, il tetto massimo, introdotto nel 2022, è una soluzione parziale e inefficace, pensata per punire il Cremlino senza causare un disastro economico globale: “Il petrolio russo rappresenta un problema paradossale. Da un lato, continuare a comprarlo finanzia la guerra in Ucraina, dall’altro smettere di comprarlo potrebbe compromettere gravemente l’economia globale. Questo è il dilemma”.

Come attesta Stockbruegger, l’efficacia del tetto massimo è sopravvalutata. Sebbene la domanda del greggio russo sia certamente calata, circa il 90 per cento viene ancora venduto al di sopra del limite di prezzo stabilito. Questo è possibile soprattutto grazie al sostegno della Cina e dell’India. “Le entrate della Russia stanno diminuendo, ma non tanto quanto ci si aspettava”. La Scuola di Economia di Kiev ha stimato che le perdite mensili della Russia sono scese da un picco di 8,4 miliardi di dollari a gennaio 2023 a 2,5 miliardi. Quindi l’economia di guerra russa continua a reggere, almeno in parte, grazie alle esportazioni di petrolio che finanziano il conflitto contro l’Ucraina."

Stockbruegger conclude affermando che l’interesse economico e politico potrebbe aver minato l’efficacia di sanzioni davvero incisive: “Se si elimina il petrolio russo dal mercato... la crisi energetica di due anni fa sembrerà un nonnulla rispetto a quello che accadrebbe in una simile circostanza. Abbiamo bisogno del petrolio russo. E forse è proprio per questo che non vengono sanzionate altre navi.”

”Nella merda fino al collo“

"Abbiamo avuto per troppo tempo una politica agraria sbagliata riguardo alla protezione del nostro ambiente acquatico, e ora siamo nella merda fino al collo." Questa è stata la risposta colorita di Søren Egge Rasmussen, incaricato di rappresentare il partito eco-socialista danese Enhedslisten nelle questioni ambientali, a un nuovo rapporto che mostra livelli record di deplezione di ossigeno nelle acque danesi. 

Il rapporto del National Centre for Environment and Energy dell'Università di Aarhus ha spinto i politici di opposizione a chiedere misure più efficaci per contrastare il “tragico e grave" impatto che l'agricoltura intensiva e le emissioni di azoto che ne conseguono hanno sulla qualità dell'acqua, come riferiscono Marie Møller Munksgaard e Dorte Ipsen Boddum a Altinget. In un altro articolo pubblicato sullo stesso media, Marie Møller Munksgaard fornisce il contesto più ampio per la situazione descritta, che viene definita dal consulente senior del rapporto come "un disastro ambientale".

Stando a quanto riporta l'ultimo rapporto dell'Agenzia europea dell’ambiente sulla qualità delle acque in Europa, guardando al panorama generale europeo, la situazione non è più promettente. "Solo il 37 per cento dei corpi idrici superficiali d'Europa ha raggiunto uno stato ecologico ‘buono’ o ‘alto’, secondo la Direttiva europea che istituisce un quadro per l’azione comunitaria in materia di acque, e solo il 29 per cento ha raggiunto uno stato chimico ‘buono’ dal 2015 al 2021", scrive Leonie Carter su Politico Europe, riassumendo il rapporto della EEA. 

"Sebbene i paesi siano riusciti a evitare un peggioramento dello stato delle acque europee, non è stato rilevato ‘alcun miglioramento complessivo’ rispetto all'ultimo ciclo di monitoraggio. Il progresso lento è in parte dovuto a 'finanziamenti insufficienti e a una scarsa integrazione degli obiettivi ambientali nelle politiche settoriali'".

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ECF, Display Europe, European Union

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