Il riscaldamento climatico dovuto alle emissioni della combustione dei carburanti fossili è stato finora rallentato dall'effetto tampone dei pozzi naturali di carbonio, ovvero gli ecosistemi che assorbono circa metà dell'anidride carbonica da noi immessa nell’atmosfera.
Quanta anidride carbonica catturano ed emettono gli ecosistemi terrestri? È a questa domanda che hanno cercato di rispondere i ricercatori riuniti dal progetto CarboEurope. Tra il 2004 e il 2008 hanno analizzato gli scambi di carbonio in un centinaio di luoghi dell’Europa continentale, dalla costa atlantica agli Urali: foreste, praterie, aree coltivate e torbiere. Nelle ricerche sono state prese in considerazione tutte le sostanze emesse dall’Unione europea e tutte le latitudini. Un bilancio del carbonio globale che ha dato risultati interessanti.
Secondo quanto è emerso, l’insieme degli ecosistemi terrestri dell’Europa continentale è un importante fattore di assorbimento del carbonio. Anche se esistono variazioni regionali, “circa il 20 per cento delle emissioni di co2 dovute all’utilizzo di combustibili fossili è assorbito da questa biosfera. Ma la cifra scende al 10 per cento per l'Europa dei 25”. In quest'ultimo caso il bilancio diventa addirittura nullo se s’includono gli effetti del metano e del protossido d’azoto che, seppur presenti in quantità minori, hanno un potere di riscaldamento nettamente superiore a quello dell'anidride carbonica.
“Circa il 60 per cento dei pozzi di carbonio dell’Europa continentale si trova nei paesi dell’Est, in particolare in Russia. Le foreste costituiscono il mezzo naturale più efficace per immagazzinare l'anidride carbonica a lungo termine”, osservano ancora i ricercatori, ma anche le praterie fanno la loro parte. Le terre coltivate, al contrario, costituiscono una macchia: “Producono più carbonio di quanto ne assorbano. L’agricoltura europea emette poca anidride carbonica, ma è una fonte importante di altri gas serra come il metano e il protossido d’azoto”. Una conseguenza, sembra, dell'agricoltura intensiva.
Lo studio rivela anche altri elementi significativi sulla capacità delle foreste di catturare anidride carbonica. “Adottando una scala spaziale e temporale più ampia, si nota che la variabile più importante è l’età della foresta, ma contano anche i depositi d’azoto atmosferico”. Anche le foreste più antiche continuano ad accumulare carbonio, mentre finora si pensava che il loro bilancio fosse neutro. Un elemento che non mancherà di richiamare l’attenzione dei paesi che hanno ancora estese superfici boschive. Resta invece da capire come gestire al meglio questi “pozzi” per mantenerne e accrescerne l’efficacia.