Analisi I russi e la guerra

Tra stanchezza e sentimento di impotenza i russi si affidano a Putin perché metta fine alla guerra

Sfinita dalle difficoltà economiche, dagli embarghi e sfiancata dalla guerra, la popolazione russa è sempre più favorevole al ritiro delle truppe dall’Ucraina. I risultati di un’inchiesta tra cittadini e cittadine russe, raccontata dal giornale indipendente Verstka.

Pubblicato il 21 Febbraio 2024 alle 16:15

Alla fine del 2023, la parte di popolazione russa che sostiene il ritiro delle truppe dall’Ucraina pur “senza aver raggiunto gli obiettivi di guerra” è più numerosa di quella che sostiene l’"operazione militare speciale" nel paese vicino: i cittadini considerano la guerra come l’esperienza più negativa della loro vita e vogliono che finisca in fretta.

Questa è la conclusione alla quale è giunto un gruppo  indipendente di sociologi che lavora per Khroniky (“Cronache”) e per i progetti del Public Sociology Laboratory; la ricerca  è anche sostenuta dalle istituzioni che rilevano l’opinione pubblica per conto del Cremlino.

Anche altri osservatori – dai cosiddetti “Z-bloggers”, ovvero coloro che sostengono l’invasione, fino  agli psicologi clinici – hanno notato una mancanza di sostegno allo sforzo bellico da parte dei cittadini russi. L’impressione condivisa è la seguente: la popolazione non è pronta a manifestare a favore della fine della guerra, ma si aspetta comunque che Vladimir Putin vi ponga fine. 

Con l’avvicinarsi delle elezioni presidenziali russe di marzo, gli strateghi politici del Cremlino sembrano cercare di soddisfare questa richiesta.

“Il desiderio di porre fine alla guerra è al suo apice”.

“Forse ci sarà un golpe di dissidenti di estrema destra”.

“[Dopo la guerra] temeremo che l’Ucraina ci invada, come Napoleone ha fatto con Mosca”.

“La situazione peggiorerà, perché le sanzioni sono sempre più dure”.

“Se la guerra finirà l’anno prossimo, la ripresa economica comincerà tra due anni”.

“Vogliamo solo la pace, tutto qui!”.

Queste non sono dichiarazioni di politici o di giornalisti dell’opposizione: si tratta di frasi di persone comuni che hanno partecipato a un’inchiesta condotta lo scorso autunno da ricercatori di Khroniky, del Public Sociology Laboratory e di ExtremeScan, realizzate in quattro città russe.

Lo studioso Oleg Žuravlev spiega a Verstka: “Abbiamo esaminato il modo in cui le persone esprimevano la loro posizione nei confronti della guerra durante una vera conversazione. A dicembre i dati delle interviste e dei gruppi di discussione sono stati integrati con i nuovi dati forniti da etnografi volontari che hanno viaggiato in diverse regioni, villaggi e città, comprese quelle in prima linea. Qui hanno vissuto per diverse settimane, integrandosi nella comunità locale e cercando di capire come le persone vivevano il tempo di guerra. La conclusione: il desiderio di porre fine al conflitto il prima possibile è al suo massimo e la percentuale di persone che sostengono l’escalation militare è in calo”.

Secondo il sociologo, questo desiderio si sta rafforzando nonostante “le persone si siano abituate alla guerra e ci convivano”.


“Solo le rivolte per il pane potrebbero cambiare la situazione. Ma sembra un’eventualità improbabile” – Una fonte governativa anonima


A giudicare dai rapporti sui gruppi di discussione esaminati da Verstka le ragioni della stanchezza rispetto alla guerra sono principalmente di natura materiale: la situazione economica del paese sta peggiorando e l’inflazione è alle stelle. “I prezzi stanno aumentando, il reddito reale sta crollando, e non ci si può più permettere molte cose, talvolta anche essenziali”, ha per esempio affermato un partecipante.

Un altro ha osservato che “i salari non sono cambiati, e l’aumento dei prezzi è evidente”. Le persone coinvolte ritengono inoltre che “le sanzioni si stiano inasprendo e abbiano effetti più forti”, e non vedono grandi successi nella sostituzione dei beni che prima venivano importati.

E, soprattutto, non valutano positivamente le loro prospettive future fintanto che la guerra si protrarrà. Una risposta frequente alla domanda sui programmi per il futuro è più o meno la seguente: “Dipendono dalla guerra, quindi non pianifico”.

Non si tratta di opinioni e dati isolati. Secondo le sociologhe e i sociologi di Khroniky nell’ottobre 2023 la percentuale di coloro che desideravano che la guerra finisse, pur senza aver raggiunto gli obiettivi prefissati, per la prima volta superava quella di coloro che erano favorevoli ad andare avanti: rispettivamente il 40 per cento e il 33 per cento. “La percentuale di coloro che non sono favorevoli al ritiro delle truppe è in costante calo. Nel febbraio 2023 erano il 47 per cento, e a luglio erano già il 39 per cento”, osserva Khroniky.

Blogger di guerra “piagnoni”

In effetti Putin sta cercando di non parlare apertamente del conflitto in pubblico, al contrario di come faceva un tempo. Anche il 14 dicembre 2023, durante la “Linea diretta” [trasmissione nella quale risponde a domande che arrivano da tutta la Russia] e la conferenza stampa di fine anno, Putin ha sì parlato delle operazioni militari, ma solo in riferimento ai soldati mobilitati: ha detto che stanno “combattendo molto bene” e che tra loro ci sono 14 “Eroi della Russia”.

Ma anche questo ha provocato l’indignazione del “pubblico target”, ovvero le famiglie di quegli stessi soldati, poiché Putin non ha fatto alcuna dichiarazione sul loro ritorno a casa, per esempio. Per quanto riguarda l’Ucraina, invece, il presidente l’ha menzionata solo in relazione al suo “eroe nazionale [Stepan] Bandera” [un nazionalista radicale degli anni Quaranta] e allo scontro con l’Occidente.

Allo stesso tempo, la propaganda della televisione russa "si è calmata”, secondo quanto afferma la giornalista Maria Borzunova. A suo avviso, “la tipica posizione di ‘non fare un solo passo indietro’ che si sente alla televisione è ancora presente”, ma sembra più sicura rispetto a un anno fa. 


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Questa sicurezza è stata alimentata dagli eventi sul fronte, dalla controffensiva ucraina andata a vuoto e dallo scoppio di altri conflitti mondiali che coinvolgono gli alleati di Kiev: in particolare, l’operazione dell’esercito israeliano nella Striscia di Gaza in risposta all’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre 2023. “L’opinione generale ora è la sicurezza che ‘finiremo il lavoro’ e vinceremo senza dubbio. In televisione, nessuno parla di negoziati di pace”, osserva Borzunova.

La giornalista aggiunge inoltre che, ormai alla fine del secondo anno di guerra, il conflitto non è più la notizia con maggior copertura né in Occidente né in Russia: “Ci sono stati degli altri sviluppi che in qualche modo sono collegati alla guerra, ma non sono la guerra stessa. [… ] sarà interessante osservare quel che accade nei programmi radiotelevisivi. L’anno scorso la guerra è penetrata anche lì: ci sono stati inviti indiretti a iscriversi come volontari al fronte. Mi chiedo se torneranno all’ordinaria amministrazione”.

Il distacco della popolazione dal conflitto è fonte di ira per gli z-bloggers, rappresentanti di quel 12 per cento della popolazione che è favorevole a continuare la guerra fino alla vittoria, ovvero la conquista di almeno Odessa, Charkiv e Kiev.

Ivan Filipov, uno scrittore che studia l’operato di questi blogger e gestisce un canale Telegram chiamato “Tutto tranquillo sul fronte Zzzzzzzz”, che monitora “solo le migliori lagne, quelle di alta qualità, dei principali blogger a favore della guerra”, ritiene che siano proprio i post di costoro a “far capire quanto sia stanco della guerra il popolo russo”.

“Si sono lamentati fin da subito che non c’è sostegno, non ci sono soldi, non ci sono abbastanza volontari”, spiega Filipov. “Ultimamente sono proprio arrabbiati e dicono che sono delusi dal popolo russo: non fanno donazioni, non muoiono per la patria, non vanno al fronte. Ogni volta che si rendono conto che il sostegno è, nella migliore delle ipotesi, marginale, e che gli ‘eroi dell’operazione speciale’ vengono in realtà picchiati, umiliati, non ammessi negli alberghi, nei bar e nei ristoranti della loro patria, la prendono molto male”.

Filipov afferma che anche i contenuti specifici dei blogger sono cambiati: “I post sulla strategia sono quasi scomparsi. Scrivono sempre meno di piani e obiettivi di guerra. Questo perché si rendono conto che le forze disponibili consentono tutt'al più di avanzare di qualche centinaio di metri. Non c’è una nuova chiamata alle armi e sembra che non ce ne sarà un’altra. È possibile che quegli autori stessi siano stanchi dalla guerra? Forse, ma non posso affermarlo con certezza”.

“Impotenza, apatia, mancanza di volontà di fare qualcosa in prima persona”

Polina Grundmane è l’ideatrice del progetto di assistenza psicologica Without Prejudice (“Senza pregiudizi”): “Le persone che si rivolgono a noi per avere un supporto psicologico si trovano in uno stato per cui sentono il bisogno di unirsi a un gruppo. Cercano una direzione da seguire. Coloro che si oppongono [alla guerra] non sono persone molto diverse da quelle alle quali si oppongono”, spiega Grundmane.

Without Prejudice offre un sostegno alle persone russofone che, a causa della guerra in Ucraina, necessitano di una terapia personale o di gruppo. In 21 mesi di lavoro, le psicologhe e gli psicologi del progetto hanno fornito assistenza per un totale di 4.415 ore: sono 1.300 le persone, tutte con segni di depressione, che hanno richiesto una terapia individuale, e più di 2.000 quelle che hanno richiesto una psicoterapia di gruppo.

Il progetto si presenta come un’iniziativa contro la guerra, per cui attira quella parte di popolazione che è scettica rispetto al governo e non sostiene il conflitto. Ma, secondo Grundmane, queste persone ultimamente sono cadute nell’apatia. Prima della guerra, la maggior parte di loro non partecipava alla vita politica, non andava alle manifestazioni di protesta e “viveva la propria vita”.

Dopo lo scoppio della guerra, il picco principale di richieste si è verificato durante la mobilitazione. “La gente più che altro domandava se doveva andarsene, come prendere una decisione e soppesare i rischi, come capire se doveva fuggire subito o calmarsi”.

“Dopo la mobilitazione, invece, le persone sono diventate più apatiche”, dice Grundmane. Nel secondo anno, dopo un brusco calo, il numero di richieste ha raggiunto un picco ad agosto, durante la rivolta del gruppo Wagner guidata da Evgenij Prigožin.

“Qualcosa si è ‘risvegliato’ con l’inizio della ribellione. Mentre era in corso, la gente si preparava a far qualcosa e agire. L’ammutinamento non è stato temuto come la mobilitazione, per esempio. Nessuno ha chiesto aiuto per alleviare l’ansia. È stato trattato come un’opportunità per coordinarsi con altre persone che condividevano la stessa idea. Ma ora ci troviamo di nuovo in uno stato di impotenza, apatia e riluttanza a prendere l’iniziativa”.

Più di una persona che si è rivolta a Without Prejudice ha pronunciato la frase “Vittoria all’Ucraina! Libertà alla Russia!” e la fondatrice del progetto ritiene che possa essere interpretata come “Vogliamo che l’Ucraina vinca e ci liberi”.


”Coloro che comprendono la situazione del paese vi diranno che non c’è alternativa a Putin. Per questo si aspettano che sia lui a risolvere il problema e a porre fine alla guerra, anche se è stato lui a cominciarla”– Grigorij Ûdin, filosofo politico


“Purtroppo si tratta di un rimpallo di responsabilità”, afferma Grundmane. “Ora è chiaro che la controffensiva dell’Ucraina non ha avuto successo e tutto sembra dir loro: ‘L’Ucraina non è riuscita a vincere. Dovrete cercare di fare qualcosa voi in prima persona’. Alla gente, questo non piace. Non vogliono dover fare qualcosa in prima persona. Sono in uno stato di impotenza tale da non essere pronti a fare nulla. Anche il volontariato è diventato troppo pesante”.

Lo sfiancamento per la guerra e la disaffezione, per le autorità, tutt’un tratto rappresentano più un aiuto che non un danno, tanto che, secondo una fonte che ha familiarità con i dati dei sondaggi raccolti per il Cremlino a dicembre, l’80 per cento della popolazione esclude di partecipare a delle proteste, e solo il 10 per cento prenderebbe in considerazione l’idea di farlo.

Secondo i dati dell’istituto demoscopico VTsIOM aggiornati al 17 dicembre 2023, Putin gode infatti della fiducia del 79,7 per cento delle persone intervistate, contro il 62 per cento per il primo ministro Michail Mišustin e il 40 per cento per Dmitrij Medvedev, vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo. Ma un indice di popolarità così alto per il presidente e il primo ministro, responsabili della guerra, non significa che non ci sia insoddisfazione per la guerra stessa.

Oleg Žuravlev spiega: “La condanna morale della guerra da parte della società, sebbene forte, non si è ancora trasformata in una vera e propria posizione politica contro di essa. Una possibile eccezione è rappresentata dalle famiglie delle truppe, che protestano attivamente. È un movimento nuovo. Vediamo se riesce a influenzare l’opinione pubblica e la politica”.

A giudicare dalla ricerca del Public Sociology Laboratory, la Russia confida in Putin per porre fine al conflitto e non vede alternative per la posizione di capo di stato, al punto da non ritenere importanti le elezioni di marzo: la maggior parte della popolazione è pronta a votare per Putin o non intende votare affatto.

Una fonte di Verstka di alto livello e vicina al governo ritiene che “solo le rivolte per il pane potrebbero cambiare la situazione. Ma sembra un’eventualità improbabile”

“Il popolo russo è bravissimo a temere il futuro e il cambiamento”, continua la fonte. “Se cercate di far cambiare un insegnante o un preside, è probabile che incontrerete resistenza. È meglio tenerli così come sono, per quanto siano pessimi, perché non si sa da chi verranno sostituiti. E questo cosa ci dice del presidente? L’esperienza ci dice che in Russia i cambiamenti avvengono solo quando la situazione è del tutto insostenibile, e che si verificano sotto forma di tempesta distruttiva. E ora è questo che temono i vertici e la società”.

È della stessa visione Grigorij Ûdin, professore e direttore del programma di filosofia politica della Scuola di scienze economiche e sociali di Mosca (Shaninka): “La società si schiera e dà forma a una protesta politica non quando la pazienza è al limite, ma quando se ne presenta l’opportunità. A oggi, quest’opportunità non c’è. Coloro che comprendono la situazione del paese vi diranno che non c’è alternativa a Putin. Per questo si aspettano che sia lui a risolvere il problema e a porre fine alla guerra, anche se è stato lui a cominciarla”, afferma il politologo.

Secondo Ûdin, la situazione cambierà solo quando cittadine e cittadini vedranno “che una vita diversa è possibile”. “Quando si presenterà un’alternativa? È una domanda difficile alla quale rispondere. Ma per me è chiaro: il potenziale di attivismo politico nella società russa è molto grande. E, non appena ci sarà la minima opportunità, la popolazione coglierà la palla al balzo. Un’apertura seria potrebbe comparire, per esempio, nel caso di un crollo interno del sistema di governo”.

Oppure, dice Ûdin, potrebbe derivare dalla “pressione accumulata fino al punto in cui c’è un interesse per una proposta alternativa proveniente dall’interno del sistema. Il problema è che ora questo livello di pressione non c’è e nessuno ha ancora formulato una proposta alternativa”.

👉 L’articolo originale su Verstka

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