Addio all’idea federale

La crisi della zona euro ha sbloccato l’impasse dell’integrazione europea, da anni incagliata tra i problemi del consenso. Ma il metodo intergovernativo imposto da Berlino e Parigi non accontenta tutti.

Pubblicato il 21 Ottobre 2011 alle 13:39

Se la crisi dell'euro ha un merito è quello di restituire interesse alla costruzione europea. Dopo il fatidico "no" della Francia nel 2005, molti dicevano che sarebbe stato meglio servirsi degli strumenti istituzionali disponibili piuttosto che perseguire l'opera iniziata dai padri fondatori dell'Europa.

Abbiamo dovuto attendere che l'intera architettura creata nell'ultimo mezzo secolo minacciasse di crollare sotto gli attacchi dei mercati a cui l'Unione monetaria non era affatto preparata per renderci conto dei limiti di questo approccio minimalista.

Infatti prima della crisi nessuno aveva intenzione di aprire il vaso di Pandora della revisione dei trattati, come invece si impone oggi. Il problema è mettersi d'accordo sull'Europa che si vuole e sulle misure che si possono adottare.

E visto che è l'intera zona euro a essere in pericolo, una maggiore integrazione dell'Unione monetaria a 17 è una priorità evidente. Un'integrazione del resto già atto, con un vero e proprio governo economico della zona euro e un coordinamento delle politiche di bilancio e fiscali.

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Nella difficoltà tutti ne sentono il bisogno. La Francia e la Germania sono all'opera, e hanno deciso di dare l'esempio. Il cinquantenario del trattato dell'Eliseo, nel gennaio 2013, sarà un momento significativo per l'integrazione franco-tedesca.

Nonostante i difficili rapporti fra Angela Merkel e Nicolas Sarkozy, questo nocciolo duro si è imposto nel corso della crisi. Il forte coinvolgimento delle due grandi economie europee è stato evidente. La preferenza per il metodo intergovernativo, che ha sostituito il metodo comunitario in vigore ai tempi in cui la Commissione era il motore dell'integrazione, ne è uscita rafforzata.

Berlino e Parigi sono diventate il centro dell'Europa. Bruxelles è ormai solo l'organo amministrativo. L'idea "federale" non sembra più riflettere la realtà. Si tratta di un'evoluzione che i piccoli paesi avranno sempre difficoltà ad accettare, come testimonia la proposta olandese di creare un nuovo posto di commissario incaricato di controllare i bilanci dei paesi in difficoltà che hanno fatto ricorso al Fondo europeo di stabilità finanziaria (Fesf).

Sotto la guida di Parigi e Berlino, il consolidamento dell'Unione monetaria passa soprattutto per un rafforzamento del peso degli stati, come testimonia la designazione di Herman Van Rompuy come futuro "Mister eurozona".

Londra è lontana

Si dovrà inoltre rispondere alla volontà, in particolare tedesca, di instaurare un "controllo democratico" delle decisioni della zona euro. Per fare questo le idee non mancano. Senza la creazione di una nuova assemblea parlamentare si potrebbe immaginare, come ha fatto il fondatore del think tank EuropaNova Guillaume Klossa, a un'istituzione rappresentata da deputati nazionali e parlamentari europei, membri delle varie commissioni.

È interessante osservare come i britannici, estranei alla zona euro, siano indifferenti a questi sforzi in vista di una maggiore integrazione a 17. Sempre più euroscettico, il governo di Cameron non sembra preoccuparsi molto della possibilità che Londra venga emarginata dalle decisioni economiche prese sul continente.

Altri invece non nascondono la loro preoccupazione di fronte all'affermazione di un'Europa a "due velocità". È il caso della Svezia, che non appartiene alla zona euro. In un articolo pubblicato sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung, Anders Borg e Carl Bildt, rispettivamente premier e ministro degli esteri, denunciano "l'affermazione di una nuova divisione" fra i paesi europei. Con un pizzico di perfidia, i due responsabili politici avvertono che se si dovesse arrivare a questo sistema a "due velocità" saranno proprio i paesi periferici, più liberisti nella loro concezione dell'economia e più orientati verso la competitività, a beneficiarne in termini di crescita. (traduzione di Andrea De Ritis)

Dietro le quinte

Tensione al vertice

Secondo Der Freitag Angela Merkel e Nicolas Sarkozy giocano alla "roulette europea" con il salvataggio dell'euro. Stando alla Süddeutsche Zeitung, i principali attori del summit dell'eurozona che si terrà il 23 ottobre sono ai ferri corti. Secondo il quotidiano di Monaco i leader europei "agiscono in maniera totalmente irrazionale, e per questo il risultato della riunione più importante dall'inizio della crisi resta in bilico".

Esistono due diverse versioni dell'incontro del 19 ottobre tra Merkel e Sarkozy. L'Eliseo smentisce l'esistenza di un conflitto a proposito della Bce e assicura che il presidente francese "ha lasciato sua moglie in fase di travaglio per trovare una linea di dialogo comune con Merkel, in modo da convincere gli altri paesi della bontà del piano tedesco per rafforzare il fondo di salvataggio europeo […]. Ma i diplomatici di Berlino rispondono con un sorriso. I testimoni dell'incontro parlano infatti di una serata memorabile. Sarkozy e Merkel si sarebbero scontrati duramente, e nemmeno la notizia della nascita della figlia del presidente avrebbe convinto la cancelliera ad abbracciarlo. I due si sarebbero salutati senza dire una parola".

Tuttavia l'atmosfera di tensione non si limita alla coppia franco-tedesca, scrive la Süddeutsche Zeitung. "La Commissione europea annuncia ogni giorno nuove proposte di legge per combattere i cosiddetti nemici dell'euro […], e centinaia di pagine attendono di essere lette e decifrate. Altrove è invece proprio la mancanza di parole scritte a rappresentare un problema". Il rapporto della troika (Bce, Fmi e Commissione europea) che avrebbe dovuto essere pubblicato martedì 18 ottobre e che dovrebbe contenere le raccomandazioni degli esperti sullo sblocco della prossima tranche degli aiuti alla Grecia è arrivato soltanto giovedì. "E manca la parte cruciale: a pagina 26 (su 106) c'è un riquadro vuoto, proprio dove gli ispettori avrebbero dovuto dichiarare se Atene è in grado di pagare i suoi debiti. La Commissione europea osserva in silenzio. Ma a porte chiuse si vocifera che sulla questione la troika sia profondamente divisa".

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